martedì 31 dicembre 2013

Come conoscere Dio personalmente


L’uomo è stato creato per conoscere, amare e avere comunione con Dio.
Le quattro verità che seguono indicano come puoi conoscere Dio personalmente e come fare l’esperienza della vita di cui parla Gesù.

1. Dio ti ama e ti ha creato perché tu abbia un rapporto personale con Lui.

Come puoi sapere che Dio ti ama?
"Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio perché chi crede in lui non muoia ma abbia vita eterna."(Giovanni 3:16)

Dio vuole che tu lo conosca
Gesù ha detto: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo." (Giovanni 17:3)

Se questa è la volontà di Dio, che cosa c’impedisce di avere un rapporto personale con Lui?
2.Il peccato ci separa da Dio: per questo non possiamo avere un rapporto personale con Lui, né godere del suo amore.
Siamo tutti peccatori
"Tutti hanno peccato e sono privi della presenza di Dio che salva." (Romani 3:23)
Che cos'è il peccato?
L'uomo, creato per vivere in rapporto personale con Dio, ha deciso da solo che cosa fare della propria vita.
Dimostriamo questo atteggiamento o ribellandoci apertamente, o ignorandolo, o essendo semplicemente indifferenti al suo amore.
Il peccato ci separa da Dio
"Perché il salario del peccato è la morte." [Separazione da Dio per sempre] (Romani 6:23)
"Le vostre iniquità vi hanno separato dal vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere la sua faccia da voi." (Isaia 59:2)
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Dio è santo, noi siamo peccatori. Un abisso ci separa. C’è un vuoto nella nostra vita che nulla può riempire: né amici, né denaro, né cultura, né carriera, né altro. Possiamo provare a lanciare ponti per raggiungere Dio con le pratiche religiose, comportandoci bene, con la meditazione, ma sono tutti sforzi inutili, perché non risolvono l’origine del problema: il peccato.

La terza verità indica l’unica soluzione del problema.
3. Gesù Cristo è l’unica soluzione. Egli ha distrutto il potere del peccato e ristabilito il rapporto tra Dio e uomo.
E’ morto al nostro posto
"Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio." (1 Pietro 3:18)
"Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi." (Romani 5:8)
E’ risuscitato dai morti
Pietro disse: "Quest’uomo [Gesù], quando vi fu dato nelle mani… voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste; ma Dio lo risuscitò…" (Atti 2:23-24)
Gesù Cristo è l’unica via per arrivare a Dio
Gesù disse: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me." (Giovanni 14:6)
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Ciò che meritiamo come giusta condanna per il nostro peccato è la separazione da Dio. Ma Dio ha mandato suo Figlio per espiare la nostra pena morendo sulla croce. Gesù è così diventato il ponte sopra l’abisso che ci separa da Dio. Per questo ora possiamo conoscere Dio ed essere perdonati per il nostro peccato.

Non è però sufficiente conoscere queste tre verità...
4. Bisogna accettare Gesù Cristo come Salvatore e Signore; solo allora è possibile conoscere Dio personalmente e godere del suo amore.
Devi ricevere Gesù
"A tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome".(Giovanni 1:12)
Devi ricevere Gesù per fede
"Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti.". (Efesini 2:8-9)
Ricevere Gesù è fare l'esperienza di una nuova nascita.
Leggi Giovanni 3:1-8
Ricevere Gesù Cristo nella propria vita significa:
* Mutare atteggiamento interiore: riconoscere di essere peccatore e voler abbandonare il peccato.
* Cessare di essere concentrati su di sé e fidarsi di Dio che perdona perché Gesù è morto per i nostri peccati.
* Decidere di seguire Gesù come Signore della propria vita.
Gesù promette di entrare nella tua vita quando lo ricevi.
Gesù disse: "Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me." (Apocalisse 3:20)

Non basta riconoscere intellettualmente la validità di queste verità, né reagirvi solo emotivamente.
E’ necessario fare una scelta…
Questi due cerchi rappresentano due stili di vita
law41.gif (4851 bytes) Vita controllata dall'io:
Questa persona, anche se si dice cristiana, controlla la propria vita e Cristo ne è fuori. Le persone come questa non hanno mai invitato Gesù Cristo ad entrare nella loro vita. Rimangono colpevoli e il loro peccato li tiene lontani da Dio. Questa situazione porta insoddisfazione, delusione, mancanza di scopo, frustrazione.
law42.gif (4734 bytes) Vita controllata da Cristo:

E’ Cristo a dirigere la vita di questa persona che, confidando in Dio, ha accettato il perdono dei peccati e sottomesso a Cristo ogni interesse. In questo rapporto intimo con Dio realizza sempre di più lo scopo della vita.
Quale cerchio descrive la tua vita?
Quale stile di vita preferisci?
Nella pagina seguente ti spieghiamo come ricevere Cristo.
Puoi ricevere Cristo nella tua vita ora, esprimendo la tua fede in preghiera (pregare significa semplicemente conversare con Dio).
A Dio non importa tanto delle parole, quanto della sincerità del tuo atteggiamento. Quella che segue è un esempio di quanto potresti dirgli.
"Signore Gesù, finora nella mia vita ho fatto di testa mia. Grazie per essere morto per salvarmi dal castigo. Ti prego di entrare nella mia vita e rendermi come tu vuoi che io sia. Grazie che sei in me e mi dai la vita eterna."
Questa preghiera esprime il tuo desiderio?
Se sì, prega in questo modo ora e Cristo entrerà nella tua vita come ha promesso.

Che succede quando ti affidi a Gesù Cristo?...

Invitando Gesù Cristo nella tua vita come Salvatore e Signore, parecchie cose sono accadute, fra le altre:
Come puoi essere certo che questo è realmente successo?
Puoi essere certo che Cristo è nella tua vita, perché Dio l’ha promesso e di Lui ci si può fidare.

"Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me." (Apocalisse 3:20)
"La testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Figlio suo. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio."  (1 Giovanni 5:11-13)
Se hai chiesto a Gesù di entrare nella tua vita, puoi essere certo che Dio ha risposto alla tua preghiera, che lo Spirito di Cristo vive in te e che hai la vita eterna. Non hai bisogno di supplicare Cristo continuamente ripetendo l’invito: Dio mantiene le promesse.

"Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualcosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce. Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di avere le cose che gli abbiamo chieste."
(1 Giovanni 5:14-15)
Che cosa succede se non ti senti diverso?
 Non dipendere da come ti senti.
Non possiamo sempre fidarci dei nostri sentimenti, perché vanno e vengono. Anche se fanno parte della nostra vita, una fede fondata sui sentimenti non sarà mai solida.
E’ per questo che il cristiano vive per fede sulla credibilità di Dio e della sua Parola, perché possiamo sempre fidarci di Dio e delle sue immutabili promesse contenute nella Bibbia.

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La vignetta illustra il rapporto tra fatto (Dio e le sue promesse), fede (la nostra fiducia in Dio e nella sua Parola), sentimenti (la nostra reazione emotiva alle promesse di Dio). Il carico non può far nulla per muovere il trattore o il rimorchio. Il trattore può muoversi e spostare il rimorchio col suo carico. Così la fede è operante quando è poggiata sulle promesse di Dio. Abbiamo fiducia nelle sue promesse e non nelle nostre reazioni emotive a queste promesse.
Per godere a pieno la tua nuova vita...

Consigli pratici per crescere nella vita cristiana
La vita cristiana è una crescita continua e il nostro rapporto con Cristo crescerà quanto più ci affidiamo a Dio per ogni aspetto della nostra vita.
Ecco alcuni consigli pratici sul come e cosa fare:

Frequentare una buona Comunità

La Bibbia definisce la comunità cristiana «Corpo di Cristo» e in  Ebrei 10:25 è messa in risalto l'importanza della comunione dei credenti. Un esempio può aiutare a capire meglio.
In una stufa più pezzi di carbone accesi formano un bel fuoco, se un pezzo è portato fuori e messo da parte, presto si spegne. Così è del tuo rapporto con altri cristiani. Se non fai parte di una chiesa in cui Cristo è onorato e sua Parola predicata con fedeltà, non aspettare che qualcuno ti venga a cercare; prendi l'iniziativa di incontrarti regolarmente con altre persone che hanno accettato Cristo come Salvatore e stanno sperimentando il suo amore.



Miracolo Eucaristico di Siena, Italia (1730)

 
A Siena, nella Basilica di San Francesco, si custodiscono da 274 anni 223 Ostie che miracolosamente si mantengono intatte da allora, contro ogni legge fisica e biologica. Uno dei documenti più autorevoli riguardo al Prodigio è una memoria coeva del 1730, scritta da un certo Macchi. Ma vediamo cosa avvenne precisamente. Il 14 agosto del 1730, alcuni ignoti ladri penetrarono nella chiesa di San Francesco a Siena, tenuta dai Frati Minori Conventuali e rubarono la pisside contenente 351 Ostie consacrate. Appena il furto venne scoperto, si sospese anche il celebre Palio in segno di riparazione.
Nonostante le diligentissime ricerche condotte dalle autorità religiose e civili, le sacre Particole furono ritrovate, casualmente, la mattina del 17 agosto nel vicino santuario di S. Maria in Provenzano, ove i ladri sacrileghi le avevano nascoste dentro la cassetta delle elemosine in mezzo alla polvere e alle ragnatele. Le Ostie allora furono piamente ripulite, esaminate e debitamente identificate come quelle rubate. Tutto il popolo accorse ad omaggiare con una solennissima processione le sante Ostie, che furono riportate in S. Francesco in un tripudio di canti e di preghiere. Intanto il tempo passava, ma nessun segno di alterazione si notava in esse, a differenza di quanto ci si sarebbe dovuto attendere.
Più volte, a distanza di decenni, uomini illustri le esaminarono con ogni mezzo che il progresso metteva loro a disposizione, moltiplicando però, nel contempo, cause ed elementi che avrebbero dovuto favorirne la corruzione (travasamenti, scuotimenti, contatti, conteggi, pulviscolo, umidità, ecc.). Ma la scienza ha sempre concluso i suoi esami, affermando che "le sacre Particole sono ancora fresche, intatte, fisicamente incorrotte, chimicamente pure e non presentano alcun principio di corruzione". L’Arcivescovo Tiberio Borghese ordinò anche una controprova: fece chiudere per 10 anni in una scatola di latta sigillata alcune Ostie non consacrate. Alla riapertura della scatola la Commissione scientifica preposta trovò al posto delle Ostie solo vermi e frammenti putrefatti.
L’ultimo esame fu autorizzato da Papa San Pio X e ad esso parteciparono illustri studiosi. Questo fu il verdetto della commissione, composta da eminenti professori di bromatologia, igiene, chimica e farmaceutica, che compì il grande esame scientifico del 10 giugno 1914; il verbale che stesero diceva: "le Sante Particole di Siena sono un classico esempio della perfetta conservazione di particole di pane azzimo consacrate nell'anno 1730, e costituiscono un fenomeno singolare, palpitante di attualità che inverte le leggi naturali della conservazione della materia organica. È un fatto unico consacrato negli annali della scienza".
Dirette ed immediate constatazioni si rinnovarono nel 1922, quando il Card. Giovanni Tacci trasferì le sante Ostie in un cilindro di puro cristallo di rocca; nel 1950, allorché furono collocate in un più prezioso Ostensorio; nel 1951, nella dolorosa circostanza di una nuova manomissione sacrilega nella quale i ladri, anche questa volta non identificati, strappati i sigilli e rovesciate tutte le sacre Particole in un angolo del piano marmoreo del Tabernacolo, trafugarono il cilindro di cristallo con tutti gli annessi preziosi.
Oggetto di stupore, di ammirazione e di venerazione da parte di gruppi, di pellegrinaggi organizzati, di personaggi celebri, di dignitari ecclesiastici e laici, le sacre Particole furono adorate anche da Sua Santità Giovanni Paolo II, nel corso della visita pastorale effettuata alla città di Siena il 14 settembre 1980. In quella occasione, dopo averne ascoltata la storia, commosso, esclamò: "E' la Presenza!" Il Miracolo Eucaristico permanente di Siena, per il quale il tempo si è fermato, offre a tutti - dai più scettici ai più distratti - la possibilità di vedere coi propri occhi e di toccare con le proprie mani una delle più grandi meraviglie di Cristo sulla terra, dinanzi alla quale anche la Scienza ha piegato la fronte.
Il Miracolo permanente delle SS. Particolare si custodisce nella cappella Piccolomini nei mesi estivi, e nella cappella Martinozzi nei mesi invernali. La devozione viene alimentata da iniziative varie: l'omaggio delle Contrade; l'ossequio dei bambini della prima Comunione; la solenne processione nella festa del Corpus Domini; il solenne Settenario Eucaristico di fine settembre, la giornata eucaristica il 17 di ogni mese a ricordo del ritrovamento avvenuto il 17 agosto 1730; e da varie funzioni settimanali per le vocazioni sacerdotali e religiose.
Il grande scienziato Enrico Medi, si espresse così riguardo al Miracolo di Siena: "Questo intervento diretto di Dio, è il miracolo (...) miracolo nel senso stretto della parola, compiuto e mantenuto tale miracolosamente per secoli, a testimoniare la realtà permanente di Cristo nel Sacramento Eucaristico. In questi tempi, tanto difficili per la cristianità e per la Chiesa, in cui riaffiorano dottrine false che vorrebbero inclinare la nostra fede, la città di Siena alza il suo segno e mostra al mondo il suo miracolo".

VIVERE NELL’IMITAZIONE DI CRISTO

di Ferdinand Krenzer
Matteo, in 4,19 riferisce come Gesù raccolse i suoi discepoli e disse loro: «Seguitemi!». Essi abbandonarono subito le loro reti e si misero a seguirlo.
La vita cristiana non consiste nell’osservanza di un codice morale, ma nel legame a una Persona, cioè a Cristo. Dio stesso, che ci si manifesta in Cristo, diventa misura del nostro agire. Nell’unione di Grazia e di Amore tra Dio e l’uomo, che si protrae per tutta la vita, sta l’essenza della vita cristiana. In una parola, essere cristiano significa vivere con Dio e da Dio.
Pertanto Dio esige che ci facciamo simili a Lui, cioè che diventiamo « alter Christus »: « Rivestitevi di Cristo » (Gal. 3,27); che giungiamo alla «piena maturità di Cristo» (Ef. 4,13), che ci rendiamo «conformi all’immagine del Figlio di Dio» (Rom. 8,29), secondo le espressioni di S. Paolo. Come Gesù vive e ama, anche noi dobbiamo vivere e amare; come lui perdona, anche il cristiano deve perdonare (Pater noster); come Lui vive in perfetto accordo con la volontà di Dio, anche noi dobbiamo vivere. L’interiore conformazione con Cristo costituisce pertanto il contenuto della vita cristiana.
L’essenziale di questo processo di conformazione è avvenuto mediante la Grazia di Dio nel Battesimo. Con esso però il cristiano non è santificato e salvato automaticamente per sempre. Da lui piuttosto si richiede che sviluppi la forza di vita della fede e della carità che gli è stata donata e che stimoli le sue forze, come «i corridori nello stadio» (1 Cor. 9,24). Egli deve «portare frutti di opere buone» (Col. 1,10).
Libero e capace di prendere delle decisioni, egli ha la possibilità di rispondere all’amore di Dio con un consapevole amore. Ma egli può anche rifiutarsi e allora il suo battesimo non gli serve più a nulla. È questo l’inizio di possibili colpe e del suo fallimento come cristiano, poiché lasciare senza risposta l’amore divino significa ingratitudine e presunzione. Dal momento che l’uomo è creatura di Dio, la sua risposta d’amore non è rimessa al suo beneplacito, ma costituisce un dovere. Là però dove regna il vero amore, ivi esso determina e trasforma la vita di coloro che amano e le loro azioni sono regolate sulla volontà di Dio. Essi allora non si chiedono più: « Devo fare o no questo o quest’altro »? Ma si domanderanno piuttosto: « Che cosa posso fare o tralasciare per amore di colui che amo »?
Così il cristiano fedele e ripieno di amore risponde alla parola della rivelazione e chiede: «Signore parla, il tuo servo ti ascolta» (1 Sam. 3,9); poiché egli ha compreso che la «legge di Cristo» è tutta un messaggio d’amore, e che il «suo giogo è soave e il suo peso è leggero » (Mt. 11,30).
L’uomo nuovo è ciò che Dio vuole
Riassumendo, dobbiamo dire: il nuovo uomo che Cristo ha voluto creare è colui il quale non chiede ciò che egli, uomo, vuole, ma ciò che Dio vuole. Quest’uomo vede tutto nella luce di Dio, si apre alla rivelazione e v’indirizza tutta la sua vita con amore; si consiglia sempre con Dio nella preghiera per rinnovare in ogni momento l’accordo della sua volontà con quella di Dio. Non la lista dei comandamenti, ma Iddio stesso diventa la misura del suo giudizio: « Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro che sta nei cieli », si legge in Mt. 11,30.
Imitazione di Cristo, vita secondo la volontà di Dio nella grazia, nella fede, altro non sono se non espressioni diverse per rappresentare sotto un altro aspetto l’unica e medesima realtà cristiana, che ha come scopo la conformazione dell’uomo a Dio.
Ora, ognuno di noi può però obiettare che la realtà è ben diversa, che i cristiani non sono cosi. Nessun uomo può portare a compimento quest’opera. E in realtà se esistessero tali cristiani, tutto sarebbe a posto. Ma proprio questo riconoscimento è necessario per la comprensione della vita cristiana. Con esso infatti il cristiano apprende che nessuna imitazione esteriore può renderci simili a Cristo, ma che Iddio stesso si deve rendere simile a noi, affinché noi gli possiamo piacere. Dal punto di vista umano l’imitazione di Cristo può consistere solo nella fedele corrispondenza del cristiano ai doni di grazia che sono insiti in lui per il battesimo. Solo colui che è rinato nel battesimo, rinforzato nuovamente dai sacramenti e guarito dal peccato attraverso il sacramento della penitenza, riesce in definitiva a sentire la chiamata a imitare Cristo e a seguirlo.
Il cristiano è colui che concepisce sé come amore
Ma persino con questo aiuto divino egli verrà sempre meno. Il Concilio di Trento ha proclamato che «tutta la vita del cristiano deve essere una penitenza continua». L’ideale di imitare Gesù nella propria vita è, per l’uomo che vive su questa terra, una meta assolutamente irraggiungibile; tuttavia egli deve sempre essere in cammino su questa via. Perciò le alte istanze della vita cristiana stanno davanti ai suoi occhi come comandi che lo stimolano verso la vetta. Mai egli deve esser tranquillo nel sentirsi tanto lontano da quanto Dio vuole da lui. Di qui la «continua penitenza».
Per questo motivo, ad esempio, il Sacerdote inizia la Santa Messa con il «Confiteor», cioè con la confessione dei peccati. Questo spirito di penitenza non significa affatto paura od ansia, perché il cristiano sa di essere sicuro dell’amore del Padre celeste. Nei travagli di questa vita egli sa che su di lui veglia la mano provvidenziale di Dio. Per il mondo futuro invece egli spera tutto da lui, perché «noi non abbiamo ricevuto uno spirito di schiavitù, per cadere di nuovo nel timore, ma abbiamo ricevuto lo spirito di adozione in virtù del quale lo chiamiamo Abba, Padre» (Rom. 8,15).
È di S. Agostino l’espressione «Ama e fa ciò che vuoi». L’uomo che ama Dio farà ciò che è giusto e supererà il peccato e, come nel caso dei vasi comunicanti, quando l’amore sale, anche tutte le altre virtù aumenteranno di livello. Così il cristiano, in ultima analisi, ha una sola legge, quella dell’amore. Può in realtà esistere una regola di vita più libera e che rende più liberi?

Vi farò pescatori di uomini


 

Vi farò diventare pescatori di uomini
Dio chiama noi. Si, chiama proprio noi che siamo fragili ed incostanti, che ci lasciamo plagiare molte volte dalle confusioni del nostro tempo, trascurando l’unica voce capace di dare senso e consistenza al nostro camminare: il Verbo incarnato. Gesù, passando lungo la sua strada fissa lo sguardo su di noi, occupati e preoccupati nelle nostre quotidiane faccende, troppo affannati nelle nostre attività per sentire il richiamo che ci invita a VIVERE, e non solo a passare per la storia.
Il racconto di Marco ci presenta a Gesù che, mentre cammina lungo il mare di Galilea, incontra ad alcuni pescatori e li invita ad associarsi alla sua missione nell’annuncio del Vangelo di salvezza. È la storia di una chiamata alla sequela e alla missione: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. Probabilmente Andrea e Simone non hanno capito il significato pieno di quelle parole, tuttavia, visto che poco tempo prima il Battista lo aveva indicato come “l’Agnello di Dio”, i chiamati “subito, lasciate le reti, lo seguirono”.
Nella loro semplicità di pescatori, si verifica una risposta generosa: lasciarono le loro reti, questi strumenti indispensabili di quel loro lavoro che dava loro da vivere. I pescatori lasciarono, dunque, tutto quel che dava loro un minimo di sicurezza per seguire quel Maestro che prospettava davanti ai loro occhi un altro tipo di pesca, una pesca insolita: la pesca degli uomini.
Gesù chiama proprio loro, semplici pescatori; Gesù chiama proprio noi, nella nostra fragilità, ad essere pescatori di uomini. Rispondere alla chiamata di Dio significa, dunque, fidarsi di Lui e affidarsi a Lui, anche quando la sua proposta sembra esser troppo al di sopra delle nostre possibilità e capacità, quando sembra essere al di fuori del nostro orizzonte quotidiano. Ma è sulla sua parola e per la sua grande misericordia, che l’uomo può rispondere affermativamente alla chiamata ed impegnarsi nella missione che gli viene affidata.
Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni non hanno dubitato, lasciarono le loro barche, le loro reti, le loro case, i loro familiari, e seguirono Gesù, rischiando tutta la loro esistenza sulla parola di Lui che li chiamava ad un compito che, solo in seguito, avrebbero compreso in tutta la sua portata e in tutto il suo valore: orientare gli uomini a Dio, avviarli alla salvezza, annunciando loro il Regno e richiamandoli alla conversione.
La vocazione che ci è stata fatta esige, lo sappiamo, che si lasci qualcosa o tutto per le esigenze del Regno. È infatti in vista della missione, dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo, che Dio chiama, che Cristo chiama a condividere il suo cammino, qualunque sia la forma che Egli ha scelto per ciascuno di noi.
Alcuni, infatti, lasceranno definitivamente famiglia ed occupazioni; altri continueranno ad operare nel loro ambiente ma con uno stile di vita diverso, che sarà, esso stesso, annuncio del Vangelo. In ogni luogo, in diverse maniere, ognuno di noi è chiamato ad assumere questo richiamo di salvezza diventando pescatori di uomini.
È questo il distacco che la sequela di Cristo chiede ad ogni uomo o donna, un distacco, che non è negazione delle normali espressioni del vivere, ma che comporta un nuovo orientamento della nostra vita avendo come centro la figura, la parola, la presenza di Cristo, attorno al quale, ogni esistenza deve ruotare, perché, come dice Paolo, “passa infatti la figura di questo mondo”, mentre la vita in Cristo è eterna, come eterna è la sua Parola che salva.
Dio, dunque, chiama tutti, uomini e donne, chiama sempre, in ogni tempo e in qualunque situazione, chiama nel suo Figlio Gesù e, ad ognuno, affida una missione, alla quale dobbiamo dare il nostro libero consenso.
Tuttavia, non è sempre facile dire si a Dio, e non tutti riescono ad accettare facilmente il suo progetto, che è, in sostanza, una conversione dalla quale nasce, successivamente, la missione dell’annuncio, una missione che talvolta ci sembra di dover affrontare da soli, ma che in realtà è sostenuta dallo Spirito, che ci aiuta a portarla a compimento.
Dietro l’opera umana c’è sempre l’opera di Dio, la potenza dello Spirito. Lo capiranno anche Andrea, Simone, Giacomo, Giovanni e gli altri che formeranno il gruppo dei “dodici”, lo capiranno quando dopo la resurrezione di Cristo per opera dello Spirito, ricorderanno e comprenderanno le parole del Maestro quando aveva detto loro: “Quando verrà il Paraclito, che vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, che procede dal Padre, lui mi darà testimonianza, e anche voi mi renderete testimonianza” (Gv.15,26-27).
Per questi testimoni, non importa a quale tempo essi appartengano, il Cristo ha pregato alla vigilia della sua morte: “Padre, io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo (…) non ti chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li preservi dal maligno (…)Padre, consacrali nella verità (…)come tu mi hai mandato nel mondo, così anch’io li ho mandati nel mondo. Per loro io consacro me stesso, affinché siano, anch’essi, consacrati nella verità” (Gv.17,14-19).
Cari amici, Dio chiama noi, chiama proprio noi che siamo fragili ed incostanti, che siamo sommersi di tante preoccupazioni e agitazioni di questo tempo. Gesù ci invita a VIVERE, non solo a passare per la storia. Gesù ci invita perché crede nella nostra capacità di fare una opzione per Lui. E anche se il compito che ci viene affidato ci sembra così grande ed arduo, non vi dimenticate che la nostra forza si trova proprio nella nostra fede. Perché crediamo, ci abbandoniamo, e nell’abbandono fiducioso le nostre povere mani di pescatori sono in grado di assumere questa nuova missione.
Questo il senso profondo della “chiamata”: una vocazione alla conversione e alla evangelizzazione; una vocazione alla Verità che santifica e che salva; una vocazione che nasce dall’amore di Cristo Redentore e che fruttifica, fecondata e sostenuta dalla preghiera di Lui, termine ultimo di ogni esistenza.

IL DONO DELLE LINGUE



 

E' probabilmente il piu' spettacolare e il piu' controverso tra i doni dello Spirito.
D'altra parte ha un solidissimo fondamento biblico e non solo, anche storico, se gli studi di McDonell-Montague e di Bentivegna in Italia dimostrano, come dimostrano, che la manifestazione del dono delle lingue era comunemente attesa al momento della ricezione del Battesimo degli adulti almeno fino al V secolo (ma ci sono diverse attestazioni che dimostrano che questo dono non sia mai sparito del tutto, si dice tra gli altri che lo avessero S. Francesco, S. Filippo Neri e il curato d'Ars).

Se avete mai partecipato ad una preghiera carismatica avete probabilmente un'idea di cio' che intendo dire, se non lo avete mai fatto fatelo, perche' il momento in cui un'intera assemblea canta in lingue e' un momento assolutamente commovente e di altissima spiritualita', d'altra parte e' davvero difficile spiegare cosa e' il dono delle lingue a chi non lo ha mai sentito esercitare.

Dunque, cosa e' il dono delle lingue?
Innanzitutto bisogna distinguere, ci sono alcuni che pensano che si tratti di vere lingue effettivamente esistenti (soprattutto questa e' l'opinione dei nostri fratelli protestanti), personalmente pero' non credo questo.
E' vero che mi e' capitato a volte di udire singole parole appartenenti a questa o quella lingua, soprattutto Greco o Ebraico, ma mai ho sentito in queste due lingue (che un po' ho studiato) una frase di senso compiuto.
Del resto i fonemi si presentano in una successione e in una cadenza tale che difficilmente farebbe pensare ad un linguaggio.
Sono piuttosto propenso a credere che sia una forma di comunicazione pre-verbale e pre-concettuale, come quella dei bambini di circa un anno di eta', come se la preghiera salisse a Dio direttamente senza la mediazione del cervello o dell'umanita', il che spiega perche' quando noi ne parliamo attribuiamo a questo dono le espressioni paoline dello Spirito che prega in noi con gemiti inesprimibili.

Per cosi' dire e' il momento in cui davvero l'io lascia lo spazio allo Spirito che prega in noi ed infatti avviene generalmente in momenti di profondo abbandono interiore.
S. Ignazio di Antiochia in una delle sue lettere ha una enigmatica espressione: "c'e' in me un'acqua viva che mormora: vieni al Padre", credo che queste sue parole siegano bene cosa e' il dono delle lingue, e' come un'acqua zampillante dentro di noi, che in realta' c'e' sempre, fin dal momento del battesimo, ma e' come una fonte coperta da una botola, il carisma delle lingue consente di scoperchiare questa botola e di attingere a questa fonte tutte le volte che si vuole.

Cos'e' questa fonte?

Chi ne fa esperienza non ha dubbi: e' davvero lo Spirito che prega in noi.
Va detto che non e' tuttavia qualcosa che accade nell'uomo senza la sua cooperazione e se la prima volta si manifesta in maniera prepotente e incontrollata, di solito e' un dono affidato alla mia liberta' che io posso scegliere di usare o non usare e quando lo si usa solitamente si rimane perfettamente padroni di se' e coscienti della realta' circostante, non e' percio' in alcun modo assimilabile ad uno stato di trance o ad una condizione piu' o meno estatica, ne' proviene dalla suggestione emotiva della preghiera comunitaria, giacche' puo' accadere di pregare in lingue anche in perfetta solitudine (e a volte anche in situazioni imbarazzanti, io ho sentito la preghiera in lingue salirmi sulle labbra e ho dovuto reprimerla molte volte in circostanze davvero poco opportune).

Questo dono porta con se' una grande grazia, innanzitutto ha una straordinaria efficacia di liberazione interiore e di guarigione di certe profonde ferite dell'anima, perche', io credo, saltando la mediazione concettuale, e'come se tutto il mio essere si accordasse, coe un violino, in sintonia sulla preghiera, nasce cosi' una grande unita' interiore, che produce pace e crea l'ambiente favorevole alle grandi decisioni della vita.
Ormai non inizio mai una preghiera liturgica (anche fuori da un contesto carismatico) senza raccogliermi un attimo e pregare in lingue, perche' e' come se predisponessi cosi' tutto il mio essere alla preghiera.

Molte volte poi, soprattutto pregando sulle persone o per certe situazioni specifiche accade di non sapere con certezza cosa chiedere al Signore, ecco perche' in quei casi ci affidiamo allo Spirito, lasciando che sia Lui a pregare in noi, perche' Lui certo sa cosa e' meglio chiedere.

Nelle preghiere di guarigione e di liberazione poi la pregheiera in lingue ha una efficacia particolare. Soprattutto nelle preghiere di liberazione, allora il dono delle lingue assume una forma insolita, mentre di solito si manifesta come una canto molto dolce, in quei momenti assume un tono fortememente assertivo e di autorita', a volte di aperto rimprovero.

Sappiamo che il diavolo non sopporta questo, soprattutto credo, perche' a lui questo dono, questa immediata comunicazione con Dio, e' negata (come a tutti gli angeli del resto) e vederlo condiviso da noi che siamo meno di niente lo fa letteralmente impazzire.
Va detto infine che e' il dono piu' comune, nella nostra esperienza dobbiamo dire che almeno il 90% dei battezzati lo condividono, ed e' molto raro che quando si riceve una preghiera di effusione questo dono non si manifesti.

La frase del giorno 31 dicembre

 L'anno in arrivo ti offre l'opportunità di vedere quali meraviglie Dio può fare nella tua vita.

 
 
Affida ogno giorno a lui e lascia che sia lui a guidarti e a riempirti col suo amore.

La parola del giorno 31/12/2013

♥ Antifona d'ingresso____________
È nato per noi un bambino,
un figlio ci è stato donato:
egli avrà sulle spalle il dominio,
consigliere ammirabile sarà il suo nome. (cf. Is 9,5)

† Lettura____________________ 1Gv 2,18-21
Avete ricevuto l’unzione dal Santo e tutti avete la conoscenza.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Figlioli, è giunta l’ultima ora. Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora.
Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri.
Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità.

Parola di Dio

† Il Vangelo del giorno (Daily Gospel)_________________
Gv 1,1-18
Il Verbo si fece carne.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

Parola del Signore

† Salmo______________________
Sal 95
Gloria nei cieli e gioia sulla terra.
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome,
annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli.

Commento: In principio, prima della creazione, era il Verbo, divino, dinamico e vivo. Era con Dio ed era Dio. Con queste tre brevi affermazioni, eccoci condotti al mistero stesso della Trinità. Ci è stato concesso di vedere che il Verbo divino ha origine nell’eternità di Dio, vive in un’unione particolare e ineffabile con Dio, è Dio stesso, uguale al Padre e non subordinato o inferiore. E questo Verbo, personale e trascendente, è sceso dalla sua dimora celeste perché Dio fosse presente, in carne ed ossa, sulla terra e per insegnarci a conoscere direttamente il Padre, che lui solo aveva visto. Perché il Verbo è da sempre e per sempre il Figlio Unigenito e prediletto di Dio. In Cristo si trovano unite la divinità e l’umanità. In Cristo vediamo la gloria di Dio brillare attraverso la sua umanità. Ma l’identità del Figlio col Padre è espressa nella dipendenza, nell’obbedienza completa rivelata nel sacrificio, nel dono totale di sé. Si intravede qui l’umiltà della Trinità, così come è manifestata nella carne mortale di Cristo.
Parlandoci del suo legame con il Padre, Gesù vuole attirarci a sé per fare di noi i suoi discepoli e figli di Dio. Vuole insegnarci che la nostra vita deve riflettere, nella condizione umana, la vita della Trinità, la vita di Dio stesso, se desideriamo ricevere i suoi doni apportatori di salvezza.
 
 

lunedì 30 dicembre 2013

VITA DI SAN PIO DA PIETRELCINA



(Bibliotheca Sanctorum)

Francesco Forgione. Nato il 25 maggio 1887, visse la sua infanzia e adolescenza serena e tranquilla in una onesta famiglia contadina. Entrò nel noviziato cappuccino di Morcone il 22 gennaio 1903 e si chiamò fra Pio. Ordinato sacerdote il 10 agosto 1910 a Benevento, restò fra i suoi, per motivi di salute, fino al 1916. Nel settembre dello stesso anno andò al convento di San Giovanni Rotondo e vi rimase fino alla morte. I carismi, in particolar modo le stimmate, di cui Dio arricchì la vita di Padre Pio, richiamarono l'attenzione dell'autorità ecclesiastica e provocarono interventi del S. Offizio, che comandò il suo trasferimento da San Giovanni Rotondo, affermando «non constare della soprannaturalità dei fatti a lui attribuiti» e gli vietò ogni esercizio di ministero, eccetto la messa, da poter celebrare privatamente nella cappella interna del convento.
Fin da giovane Padre Pio comprese che doveva colmare insieme a Gesù lo spazio che separa gli uomini da Dio. Attuò questo programma con tre mezzi: la direzione delle anime, la confessione sacramentale, la celebrazione della messa. Dai quattro volumi del suo carteggio si può cogliere la statura dell'esperto direttore di anime, che fermamente vive e fa vivere le verità fondamentali della fede. Confessarsi da Padre Pio non era impresa facile e con la prospettiva di un incontro non sempre carezzevole, eppure il suo confessionale era sempre assiepato. Ma il momento più esaltante dell'attività apostolica di Padre Pio era quello della santa messa. Le centinaia di migliaia che l'hanno ascoltata hanno percepito in essa il vertice e la pienezza della sua spiritualità. Quell'intenso ministero sacerdotale richiamò intorno al primo sacerdote stigmatizzato una «clientela mondiale» (Paolo VI), che si muoveva da tutti gli angoli della terra per avvicinarlo, oppure affidare a innumerevoli lettere il proprio carico di problemi, materiali e spirituali. L'immagine di Padre Pio è inseparabile dalla corona del Rosario: segno della sua indicibile tenerezza filiale verso la Madre di Gesù, «al quale si sentiva legato per mezzo di questa Madre». «Divorato dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo», egli visse sino in fondo la sua «vocazione a corredimere» l'umanità, secondo la speciale missione che caratterizzò tutta la sua vita.
Sul piano sociale, Padre Pio si impegnò molto per sollevare dolori e miserie di tante famiglie, principalmente con la fondazione della «Casa Sollievo della Sofferenza», inaugurata il 5 maggio 1956. Nel settore spirituale fondò i «gruppi di preghiera», «vivai di fede, focolai di amore» (Padre Pio), «grande fiume di persone che pregano» (Paolo VI).
Il sereno transito di Padre Pio avvenne il 23 settembre 1968. (È stato beatificato il 2 maggio 1999 e canonizzato il 16 giugno 2002).

PREGHIERA DI PENTIMENTO E DI REMISSIONE DEI PECCATI


SIGNORE MIO DIO
TU, PADRE MIO CELESTE

G E S Ù

LA TUA PAROLA
regge il Tuo Specchio Celeste
davanti al mio viso di peccatore
affinché possa riconoscere chi sono:
un grandissimo peccatore al cospetto del
TUO SANTO VOLTO
un peccatore contro la
TUA SANTA VOLONTÀ

Vedo i miei peccati nel Tuo Specchio Celeste
che mi accusano davanti al
TUO SANTO VOLTO, TU,
che non solo ti sei dissanguato per me
sulla Croce del Calvario
ma che di nuovo porti per me
la croce di questo mondo
con il
TUO AMORE INFINITO!

E così mi prosterno davanti a TE
PADRE MIO
NEL POLO PRIMIGENIO DEL TUO CUORE
DELL'AMORE ETERNO
con il mio cuore colmo di umiltà e pentimento
e TI prego di
perdonare tutte le mie colpe terrene!

Perché voglio diventare AMORE
solo L’AMORE ARDENTE E MISERICORDIOSO
DI GESÙ E MARIA
senza eccezione verso ogni anima
affinché possa diventare già qui su questa terra
UN VERO FIGLIO DEI TUOI CIELI
con l’aiuto della
TUA GRAZIA E MISERICORDIA.

E perdono tutti i miei fratelli e le mie sorelle
che hanno peccato contro di me
e cancello la loro colpa
per ora e sempre
così come anche io prego che mi vengano perdonate
tutte le mie mancanze nei loro confronti.

Abbi pietà di me
PADRE MIO, GESÙ
e sollevami dai miei peccati e dalle mie debolezze
perché io TI voglio seguire
NELLA
MADRE DEL TUO CORPO MARIA
MADRE MIA DI REDENZIONE
nell'ubbidienza più assoluta
fino alla consumazione dei tempi
affinché possa vedere nello Specchio
l'immagine purificata di me stesso.

Eternamente si innalza verso di TE
la mia riconoscenza
E SIA FATTA SEMPRE SOLO
LA TUA VOLONTÀ!

AMEN

Porta Santa - Basilica di San Pietro



Porta Santa: segno del varco salvifico aperto
da Cristo per l’intera umanità

Corrado Maggioni

Alla luce delle parole di Gesù: «Io sono la porta delle pecore: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,7.9), il Giubileo convoca tutti e ciascuno davanti alla persona del Dio fatto carne duemila anni fa: nell’amore dello Spirito Santo, egli immette nella comunione col Padre quanti credono alla sua parola, stringendoli nell’unità del suo corpo, che è la Chiesa.
Così, la meta del pellegrinaggio giubilare è Gesù Cristo, porta santa dell’incontro con Dio, con se stessi e con gli altri. Non è una porta da superare con la presunzione umana di espugnare il mistero che nasconde, ma una porta spalancata dalla misericordia divina, davanti alla quale inginocchiarsi col cuore per professare la conversione al mistero che essa dischiude e ricevere la grazia che libera dalle chiusure del peccato e fa fiorire il rendimento di grazie. Dinanzi al Dio con noi e per noi, «si pone infatti l’intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza. Egli è “il Vivente” (Ap 1,18), “colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). Di fronte a lui deve piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sottoterra, ed ogni lingua proclamare che egli è il Signore (cf Fil 2,10-11)» (IM 1).
La porta santa che il Papa aprirà la notte di Natale nella basilica Vaticana è, dunque, il segno del varco salvifico aperto da Cristo con la sua incarnazione, morte e risurrezione, chiamando tutti a vivere da riconciliati con Dio e con il prossimo. Per questo passare per essa «evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia… C’è un solo accesso che spalanca l’ingresso nella vita di comunione con Dio: questo accesso è Gesù, unica e assoluta via di salvezza. Solo a lui si può applicare con piena verità la parola del Salmista: “E’ questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti” (Sal 118[117], 20)» (IM 8). E coloro che varcano “la porta del Signore” sanno di essere giusti non per i loro meriti, ma perché giustificati dal sangue del Redentore che li ha purificati, rendendo candide le loro vesti. “Santa” è la porta giubilare, poiché essa chiama alla santità della vita.

Una porta aperta ritualmente

L’adozione di una porta santa sembra da attribuire al Papa Martino V che, per il Giubileo del 1423, l’aprì per accedere alla basilica Lateranense. Nella basilica di san Pietro pare attestata per il Giubileo del 1450, ricavata nella parete di fondo della cappella dedicata da Giovanni VII alla Madre di Dio, in corrispondenza del luogo dove si trova ancora oggi.
Alessandro VI, nel 1500, intese dare risalto a questo segno di inaugurazione dell’anno giubilare: stabilì che si aprisse ritualmente la porta santa in tutte le basiliche patriarcali, riservando a sé quella di san Pietro, opportunamente sistemata e ampliata. Il rituale disposto per quella occasione è rimasto pressoché invariato nel corso dei secoli: cantando «Apritemi le porte della giustizia: voglio entrarvi e rendere grazie al Signore. E’ questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti» (Sal 118, 19-20), il Papa batte tre volte col martello sul muro di mattoni che chiude l’accesso; dopo la rimozione della muratura e che i Penitenzieri abbiano lavato la soglia con acqua profumata, il Papa la varca recando la croce nella destra e un cero acceso nella sinistra, intonando l’inno Te Deum. Tale rituale, leggermente ritoccato, fu seguito ancora nell’Anno santo del 1975 e ripreso in quello del 1983, con l'arricchimento di una processione al canto delle litanie dei Santi.
Anche il tempo tradizionalmente riservato all’apertura della porta santa, ossia la festività del Natale del Signore, è carico di senso: al di là del fatto che all’epoca del primo Giubileo, nel 1300, il Natale segnava l’inizio d’anno nel calendario della Curia romana, anzi in evidente nesso col motivo di simile scelta, il mistero della nascita di Cristo porta con sé il lieto annunzio della misericordiosa apertura del cielo verso la terra. Venendo a stare tra noi, il Figlio di Dio ci ha aperto la porta della vita immortale, richiusa dal peccato di Adamo ed Eva. La nascita di Cristo, predicava san Leone Magno, è la rinascita dell’uomo!

L’appello del Santo Vangelo

In attesa di conoscere le modalità rituali per la prossima apertura della porta santa in san Pietro e nelle altre basiliche patriarcali da parte del Papa stesso - come recentemente notificato -, c’è tuttavia da aspettarsi delle novità, secondo quanto indicato da Giovanni Paolo II nella bolla di indizione del Grande Giubileo: «… il Papa per primo varcherà la porta santa nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1999. Attraversandone la soglia mostrerà alla Chiesa e al mondo il Santo Vangelo, fonte di vita e di speranza per il terzo millennio che viene» (IM 8).
La novità del segno del Santo Vangelo, voce della Parola divina fattasi udibile per annunziare l’anno di grazia al mondo intero (cf Lc 4,14-21), risuona simbolicamente eloquente del significato sotteso al varcare la porta santa nell’anno 2000: il passare per essa esige la risposta positiva all’appello evangelico che rinnova la vita ed infonde speranza ai passi di uomini e donne pellegrini, nella tristezza del tempo, verso la felicità eterna. Il gesto del Papa di «mostrare alla Chiesa e al mondo il Santo Vangelo» richiama con forza la “nuova evangelizzazione”, impegno primario del terzo millennio che non può cristianamente inaugurarsi se non in sintonia col lieto annunzio che fa fare pasqua alla storia umana, aprendo ad essa la porta della comunione inseparabile con Dio. Il libro del Santo Vangelo, infatti, non rischiara solamente l’esordio del Grande Giubileo nella notte di Natale: la sua luce si riflette su ogni giorno dell’anno santo che introduce al nuovo millennio.
I pellegrini che giungeranno a Roma troveranno aperta la porta santa: ma ciò non li esimerà dal sottoporsi al giudizio che rappresenta il passare per essa: «L’indicazione della porta richiama la responsabilità di ogni credente ad attraversarne la soglia. Passare per quella porta significa confessare che Gesù Cristo è il Signore, rinvigorendo la fede in lui per vivere la vita nuova che Egli ci ha donato. E’ una decisione che suppone la libertà di scegliere ed insieme il coraggio di lasciare qualcosa, sapendo che si acquista la vita divina (cf Mt 13,44-46)» (IM 8).
Il varcare la Porta santa non può risultare un semplice cambiamento di spazio: ha il valore di un passaggio purificatore attraverso Cristo, in essa significato. La novità della vita è innanzitutto frutto dell’opera del Redentore in noi, ma insieme anche del nostro impegno concreto a mettere in pratica il suo Vangelo di vita.

Valenza ecclesiale

La porta santa raccoglie in sé il simbolismo proprio della porta di una chiesa, la quale evoca l'ingresso nel mistero di Cristo vivente nella sua Chiesa. E’ eloquente al riguardo la raffigurazione della vite e dei tralci (cf Gv 15,5) sul portale centrale della basilica di san Paolo fuori le mura: i battezzati, innestati vitalmente in Cristo, formano con lui e tra loro un solo organismo vivente. Il valore della porta di una chiesa, luogo della santa convocazione nel nome della Trinità, è messa in risalto nel rito di benedizione di una nuova porta: «Dona ai tuoi fedeli che varcano questa soglia, di essere accolti alla tua presenza, o Padre, per il Cristo tuo Figlio in un solo Spirito» (Benedizionale, n. 1449; sul senso della porta della chiesa cf n. 1434).
L’atto del varcare la porta della chiesa dovrebbe esprimere per ogni cristiano il desiderio dell'incontro con Dio e con le membra vive del Corpo di Cristo; dovrebbe ricordare il primo accesso in chiesa per esservi battezzato, come i successivi ingressi per celebrare gli altri sacramenti, specie l'Eucaristia domenicale. L'attraversare la soglia della chiesa segna il passaggio da una situazione di distrazione a quella del raccoglimento, dalla ferialità alla festa, dalla dispersione alla comunione, dalla frenesia delle mille cose da fare al sedere ai piedi del Maestro per ascoltare il suo Vangelo. 
Il rito del passaggio per la porta santa durante il Giubileo ha, dunque, il potere simbolico di richiamare l'attenzione dei credenti sul mistero del loro ingresso nella Chiesa di Cristo. La valenza ecclesiale del passaggio per la porta santa è così ricordata dal Papa: «Attraverso la porta santa, simbolicamente più ampia al termine di un millennio, Cristo ci immetterà più profondamente nella Chiesa, suo Corpo e sua Sposa. Comprendiamo in questo modo quanto ricco di significato sia il richiamo dell’apostolo Pietro quando scrive che, uniti a Cristo, anche noi veniamo impiegati “come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (1Pt 2,5)» (IM 8).