lunedì 30 dicembre 2013

VITA DI SAN PIO DA PIETRELCINA



(Bibliotheca Sanctorum)

Francesco Forgione. Nato il 25 maggio 1887, visse la sua infanzia e adolescenza serena e tranquilla in una onesta famiglia contadina. Entrò nel noviziato cappuccino di Morcone il 22 gennaio 1903 e si chiamò fra Pio. Ordinato sacerdote il 10 agosto 1910 a Benevento, restò fra i suoi, per motivi di salute, fino al 1916. Nel settembre dello stesso anno andò al convento di San Giovanni Rotondo e vi rimase fino alla morte. I carismi, in particolar modo le stimmate, di cui Dio arricchì la vita di Padre Pio, richiamarono l'attenzione dell'autorità ecclesiastica e provocarono interventi del S. Offizio, che comandò il suo trasferimento da San Giovanni Rotondo, affermando «non constare della soprannaturalità dei fatti a lui attribuiti» e gli vietò ogni esercizio di ministero, eccetto la messa, da poter celebrare privatamente nella cappella interna del convento.
Fin da giovane Padre Pio comprese che doveva colmare insieme a Gesù lo spazio che separa gli uomini da Dio. Attuò questo programma con tre mezzi: la direzione delle anime, la confessione sacramentale, la celebrazione della messa. Dai quattro volumi del suo carteggio si può cogliere la statura dell'esperto direttore di anime, che fermamente vive e fa vivere le verità fondamentali della fede. Confessarsi da Padre Pio non era impresa facile e con la prospettiva di un incontro non sempre carezzevole, eppure il suo confessionale era sempre assiepato. Ma il momento più esaltante dell'attività apostolica di Padre Pio era quello della santa messa. Le centinaia di migliaia che l'hanno ascoltata hanno percepito in essa il vertice e la pienezza della sua spiritualità. Quell'intenso ministero sacerdotale richiamò intorno al primo sacerdote stigmatizzato una «clientela mondiale» (Paolo VI), che si muoveva da tutti gli angoli della terra per avvicinarlo, oppure affidare a innumerevoli lettere il proprio carico di problemi, materiali e spirituali. L'immagine di Padre Pio è inseparabile dalla corona del Rosario: segno della sua indicibile tenerezza filiale verso la Madre di Gesù, «al quale si sentiva legato per mezzo di questa Madre». «Divorato dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo», egli visse sino in fondo la sua «vocazione a corredimere» l'umanità, secondo la speciale missione che caratterizzò tutta la sua vita.
Sul piano sociale, Padre Pio si impegnò molto per sollevare dolori e miserie di tante famiglie, principalmente con la fondazione della «Casa Sollievo della Sofferenza», inaugurata il 5 maggio 1956. Nel settore spirituale fondò i «gruppi di preghiera», «vivai di fede, focolai di amore» (Padre Pio), «grande fiume di persone che pregano» (Paolo VI).
Il sereno transito di Padre Pio avvenne il 23 settembre 1968. (È stato beatificato il 2 maggio 1999 e canonizzato il 16 giugno 2002).

PREGHIERA DI PENTIMENTO E DI REMISSIONE DEI PECCATI


SIGNORE MIO DIO
TU, PADRE MIO CELESTE

G E S Ù

LA TUA PAROLA
regge il Tuo Specchio Celeste
davanti al mio viso di peccatore
affinché possa riconoscere chi sono:
un grandissimo peccatore al cospetto del
TUO SANTO VOLTO
un peccatore contro la
TUA SANTA VOLONTÀ

Vedo i miei peccati nel Tuo Specchio Celeste
che mi accusano davanti al
TUO SANTO VOLTO, TU,
che non solo ti sei dissanguato per me
sulla Croce del Calvario
ma che di nuovo porti per me
la croce di questo mondo
con il
TUO AMORE INFINITO!

E così mi prosterno davanti a TE
PADRE MIO
NEL POLO PRIMIGENIO DEL TUO CUORE
DELL'AMORE ETERNO
con il mio cuore colmo di umiltà e pentimento
e TI prego di
perdonare tutte le mie colpe terrene!

Perché voglio diventare AMORE
solo L’AMORE ARDENTE E MISERICORDIOSO
DI GESÙ E MARIA
senza eccezione verso ogni anima
affinché possa diventare già qui su questa terra
UN VERO FIGLIO DEI TUOI CIELI
con l’aiuto della
TUA GRAZIA E MISERICORDIA.

E perdono tutti i miei fratelli e le mie sorelle
che hanno peccato contro di me
e cancello la loro colpa
per ora e sempre
così come anche io prego che mi vengano perdonate
tutte le mie mancanze nei loro confronti.

Abbi pietà di me
PADRE MIO, GESÙ
e sollevami dai miei peccati e dalle mie debolezze
perché io TI voglio seguire
NELLA
MADRE DEL TUO CORPO MARIA
MADRE MIA DI REDENZIONE
nell'ubbidienza più assoluta
fino alla consumazione dei tempi
affinché possa vedere nello Specchio
l'immagine purificata di me stesso.

Eternamente si innalza verso di TE
la mia riconoscenza
E SIA FATTA SEMPRE SOLO
LA TUA VOLONTÀ!

AMEN

Porta Santa - Basilica di San Pietro



Porta Santa: segno del varco salvifico aperto
da Cristo per l’intera umanità

Corrado Maggioni

Alla luce delle parole di Gesù: «Io sono la porta delle pecore: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,7.9), il Giubileo convoca tutti e ciascuno davanti alla persona del Dio fatto carne duemila anni fa: nell’amore dello Spirito Santo, egli immette nella comunione col Padre quanti credono alla sua parola, stringendoli nell’unità del suo corpo, che è la Chiesa.
Così, la meta del pellegrinaggio giubilare è Gesù Cristo, porta santa dell’incontro con Dio, con se stessi e con gli altri. Non è una porta da superare con la presunzione umana di espugnare il mistero che nasconde, ma una porta spalancata dalla misericordia divina, davanti alla quale inginocchiarsi col cuore per professare la conversione al mistero che essa dischiude e ricevere la grazia che libera dalle chiusure del peccato e fa fiorire il rendimento di grazie. Dinanzi al Dio con noi e per noi, «si pone infatti l’intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza. Egli è “il Vivente” (Ap 1,18), “colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). Di fronte a lui deve piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sottoterra, ed ogni lingua proclamare che egli è il Signore (cf Fil 2,10-11)» (IM 1).
La porta santa che il Papa aprirà la notte di Natale nella basilica Vaticana è, dunque, il segno del varco salvifico aperto da Cristo con la sua incarnazione, morte e risurrezione, chiamando tutti a vivere da riconciliati con Dio e con il prossimo. Per questo passare per essa «evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia… C’è un solo accesso che spalanca l’ingresso nella vita di comunione con Dio: questo accesso è Gesù, unica e assoluta via di salvezza. Solo a lui si può applicare con piena verità la parola del Salmista: “E’ questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti” (Sal 118[117], 20)» (IM 8). E coloro che varcano “la porta del Signore” sanno di essere giusti non per i loro meriti, ma perché giustificati dal sangue del Redentore che li ha purificati, rendendo candide le loro vesti. “Santa” è la porta giubilare, poiché essa chiama alla santità della vita.

Una porta aperta ritualmente

L’adozione di una porta santa sembra da attribuire al Papa Martino V che, per il Giubileo del 1423, l’aprì per accedere alla basilica Lateranense. Nella basilica di san Pietro pare attestata per il Giubileo del 1450, ricavata nella parete di fondo della cappella dedicata da Giovanni VII alla Madre di Dio, in corrispondenza del luogo dove si trova ancora oggi.
Alessandro VI, nel 1500, intese dare risalto a questo segno di inaugurazione dell’anno giubilare: stabilì che si aprisse ritualmente la porta santa in tutte le basiliche patriarcali, riservando a sé quella di san Pietro, opportunamente sistemata e ampliata. Il rituale disposto per quella occasione è rimasto pressoché invariato nel corso dei secoli: cantando «Apritemi le porte della giustizia: voglio entrarvi e rendere grazie al Signore. E’ questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti» (Sal 118, 19-20), il Papa batte tre volte col martello sul muro di mattoni che chiude l’accesso; dopo la rimozione della muratura e che i Penitenzieri abbiano lavato la soglia con acqua profumata, il Papa la varca recando la croce nella destra e un cero acceso nella sinistra, intonando l’inno Te Deum. Tale rituale, leggermente ritoccato, fu seguito ancora nell’Anno santo del 1975 e ripreso in quello del 1983, con l'arricchimento di una processione al canto delle litanie dei Santi.
Anche il tempo tradizionalmente riservato all’apertura della porta santa, ossia la festività del Natale del Signore, è carico di senso: al di là del fatto che all’epoca del primo Giubileo, nel 1300, il Natale segnava l’inizio d’anno nel calendario della Curia romana, anzi in evidente nesso col motivo di simile scelta, il mistero della nascita di Cristo porta con sé il lieto annunzio della misericordiosa apertura del cielo verso la terra. Venendo a stare tra noi, il Figlio di Dio ci ha aperto la porta della vita immortale, richiusa dal peccato di Adamo ed Eva. La nascita di Cristo, predicava san Leone Magno, è la rinascita dell’uomo!

L’appello del Santo Vangelo

In attesa di conoscere le modalità rituali per la prossima apertura della porta santa in san Pietro e nelle altre basiliche patriarcali da parte del Papa stesso - come recentemente notificato -, c’è tuttavia da aspettarsi delle novità, secondo quanto indicato da Giovanni Paolo II nella bolla di indizione del Grande Giubileo: «… il Papa per primo varcherà la porta santa nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1999. Attraversandone la soglia mostrerà alla Chiesa e al mondo il Santo Vangelo, fonte di vita e di speranza per il terzo millennio che viene» (IM 8).
La novità del segno del Santo Vangelo, voce della Parola divina fattasi udibile per annunziare l’anno di grazia al mondo intero (cf Lc 4,14-21), risuona simbolicamente eloquente del significato sotteso al varcare la porta santa nell’anno 2000: il passare per essa esige la risposta positiva all’appello evangelico che rinnova la vita ed infonde speranza ai passi di uomini e donne pellegrini, nella tristezza del tempo, verso la felicità eterna. Il gesto del Papa di «mostrare alla Chiesa e al mondo il Santo Vangelo» richiama con forza la “nuova evangelizzazione”, impegno primario del terzo millennio che non può cristianamente inaugurarsi se non in sintonia col lieto annunzio che fa fare pasqua alla storia umana, aprendo ad essa la porta della comunione inseparabile con Dio. Il libro del Santo Vangelo, infatti, non rischiara solamente l’esordio del Grande Giubileo nella notte di Natale: la sua luce si riflette su ogni giorno dell’anno santo che introduce al nuovo millennio.
I pellegrini che giungeranno a Roma troveranno aperta la porta santa: ma ciò non li esimerà dal sottoporsi al giudizio che rappresenta il passare per essa: «L’indicazione della porta richiama la responsabilità di ogni credente ad attraversarne la soglia. Passare per quella porta significa confessare che Gesù Cristo è il Signore, rinvigorendo la fede in lui per vivere la vita nuova che Egli ci ha donato. E’ una decisione che suppone la libertà di scegliere ed insieme il coraggio di lasciare qualcosa, sapendo che si acquista la vita divina (cf Mt 13,44-46)» (IM 8).
Il varcare la Porta santa non può risultare un semplice cambiamento di spazio: ha il valore di un passaggio purificatore attraverso Cristo, in essa significato. La novità della vita è innanzitutto frutto dell’opera del Redentore in noi, ma insieme anche del nostro impegno concreto a mettere in pratica il suo Vangelo di vita.

Valenza ecclesiale

La porta santa raccoglie in sé il simbolismo proprio della porta di una chiesa, la quale evoca l'ingresso nel mistero di Cristo vivente nella sua Chiesa. E’ eloquente al riguardo la raffigurazione della vite e dei tralci (cf Gv 15,5) sul portale centrale della basilica di san Paolo fuori le mura: i battezzati, innestati vitalmente in Cristo, formano con lui e tra loro un solo organismo vivente. Il valore della porta di una chiesa, luogo della santa convocazione nel nome della Trinità, è messa in risalto nel rito di benedizione di una nuova porta: «Dona ai tuoi fedeli che varcano questa soglia, di essere accolti alla tua presenza, o Padre, per il Cristo tuo Figlio in un solo Spirito» (Benedizionale, n. 1449; sul senso della porta della chiesa cf n. 1434).
L’atto del varcare la porta della chiesa dovrebbe esprimere per ogni cristiano il desiderio dell'incontro con Dio e con le membra vive del Corpo di Cristo; dovrebbe ricordare il primo accesso in chiesa per esservi battezzato, come i successivi ingressi per celebrare gli altri sacramenti, specie l'Eucaristia domenicale. L'attraversare la soglia della chiesa segna il passaggio da una situazione di distrazione a quella del raccoglimento, dalla ferialità alla festa, dalla dispersione alla comunione, dalla frenesia delle mille cose da fare al sedere ai piedi del Maestro per ascoltare il suo Vangelo. 
Il rito del passaggio per la porta santa durante il Giubileo ha, dunque, il potere simbolico di richiamare l'attenzione dei credenti sul mistero del loro ingresso nella Chiesa di Cristo. La valenza ecclesiale del passaggio per la porta santa è così ricordata dal Papa: «Attraverso la porta santa, simbolicamente più ampia al termine di un millennio, Cristo ci immetterà più profondamente nella Chiesa, suo Corpo e sua Sposa. Comprendiamo in questo modo quanto ricco di significato sia il richiamo dell’apostolo Pietro quando scrive che, uniti a Cristo, anche noi veniamo impiegati “come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (1Pt 2,5)» (IM 8).

S.Filippo Neri


 

Brevi cenni sulla vita di S.Filippo Neri

“Bisogna desiderare di fare cose grandi per servizio di Dio e non contentarsi di una bontà mediocre”.
Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515. Compie gli studi presso i domenicani del convento di S.Marco, dove era ancora vivo il ricordo di Savonarola. Non ha ancora 18 anni quando si trasferisce a S.Germano vicino Montecassino, per apprendere da un ricco zio l'arte del commercio.
Questa attività non lo soddisfa e, ancora in dubbio sulle sue scelte di vita, decide di spostarsi a Roma dove un fiorentino, Galeotto Caccia, gli offre l'alloggio in cambio dell'educazione dei figli. Completa la sua formazione alla “Sapienza” dedicandosi alla preghiera, alla penitenza, alla visita alle Sette Chiese e alla cura degli ammalati.
Spesso si reca in visita alle catacombe di S.Sebastiano, dove, il giorno di Pentecoste del 1544, riceve lo Spirito Santo sotto forma di globo di fuoco. Nel 1548, ancora laico, fonda la confraternita della SS.Trinità dei pellegrini e convalescenti, che diventa ben presto una scuola di volontariato per molti collaboratori dediti alla cura degli ammalati e all'accoglienza dei pellegrini, in particolare durante l'anno santo del 1550. Nel 1551 Filippo è ordinato sacerdote. Da quel giorno abita a S.Girolamo della Carità, dove molte persone si riunivano ogni giorno accanto a lui per la celebrazione dell'Eucarestia e per la spiegazione delle Sacre Scritture. Particolare importanza ha per lui il sacramento della confessione e la proposta della direzione spirituale. Nasce così, dalla pratica quotidiana, l'oratorio.

Negli anni del Concilio di Trento la sua vita ed il suo apostolato costituiscono un contributo concreto al rinnovamento della chiesa cattolica. Da sempre Filippo dimostra la sua particolare predilezione verso i fanciulli e i giovani, facendosi “fanciullo coi fanciulli, sapientemente”, divenendo loro amico e compagno di giochi. Non apre scuole e non traccia programmi teorici di insegnamento, ma organizza “liete brigate”. “State allegramente, che così mi contento, né altro voglio da voi, se non che non facciate peccati”.

Poiché la malinconia è cattiva consigliera, mette la gioia al primo posto, accanto alla semplicità e alla dolcezza. Per questo è anche chiamato “il santo della gioia”. Nel 1563 è nominato rettore della chiesa di S.Giovanni dei Fiorentini, pur continuando a vivere a S.Girolamo della Carità. Nel 1575 papa Gregorio XIII gli assegna la chiesa di Santa Maria in Vallicella, ove fonda la nuova congregazione dei preti e chierici secolari.

Filippo si trasferisce alla “chiesa nuova” solo nel 1583, rimanendovi fino alla sua morte, avvenuta il 26 maggio 1595. Le spoglie di S.Filippo sono conservate nella cappella, a lui dedicata, alla sinistra del presbiterio della Chiesa Nuova. Sotto l'altare, in una teca di cristallo riposa il corpo del santo, mentre alle pareti della cappella, in un ciclo di 10 tele, sono rievocati i momenti della vita di S.Filippo, i suoi miracoli ed i suoi gesti di carità. Sull'altare è raffigurato S. Filippo in contemplazione della Vergine. Il quadro, in mosaico, è copia dell'originale di Guido Reni che si trova nell'appartamento del Santo.

I luoghi di S.Filippo Neri

S. Filippo nel suo apostolato prima come laico, poi come sacerdote visse ed operò in molte chiese romane. Qui di seguito tracceremo un itinerario di questi luoghi

S.Eustachio

In un appartamento nei pressi della chiesa, Filippo Neri vive, esercitando il mestiere di precettore dei due figli di Galeotto Caccia (dei quali uno diverrà prete e l'altro monaco).

SS.Trinità dei Pellegrini

Legata alla fondazione dell'Arciconfraternita dei Pellegrini e dei convalescenti, istituita da S.Filippo nel 1548 e avente finalità di accoglienza dei pellegrini, soprattutto durante gli Anni Santi, legata alla rinascita religiosa che si avverte a Roma dopo il “sacco” del 1527. La Confraternita si incaricava dell'ospitalità dei pellegrini giunti a Roma. Nobili e gentildonne, guidati da S.Filippo, prestavano la loro opera caritatevole. Questa Chiesa era tra le più antiche di Roma. Venne ricostruita nel 1603-16 dal Maggi. L'Ospizio che si apre a fianco della Chiesa venne eretto nelle forme attuali in occasione del Giubileo del 1625. In questi locali, usati come infermeria durante l'assedio del 1849, morì Mameli. Da notare due acquasantiere poste all'esterno che servivano per farsi il segno della croce prima di entrare ed uscire dall'Ospizio.

S.Giovanni in Laterano


D.Persiano Rosa, suo padre spirituale, che risiede all'epoca a S.Girolamo della Carità, lo guida a divenire sacerdote.
Nella Basilica di S.Giovanni, Filippo Neri viene ordinato diacono il 29 marzo 1551.

S.Tommaso in Parione

Nella chiesa di S.Tommaso in Parione, vicino piazza Navona, Filippo viene ordinato sacerdote il 23 maggio 1551.

S.Girolamo della Carità

Dal 1551 Filippo Neri per ben trentadue anni è ospite della Chiesa di S.Girolamo della Carità. Trova infatti congeniale al suo spirito l'ordine spontaneo che regna nel convento. Accetta la vita comune del clero, vivendo nella stessa comunità in cui abita il suo padre spirituale, insieme al altri sacerdoti. S.Girolamo della Carità nel Cinquecento è un centro poco frequentato, ma con l'arrivo di Filippo diventerà la meta più ricercata dalla popolazione, richiamata dalla sua personalità piena di fascino. A quell'epoca la Chiesa presentava un orientamento perpendicolare a quello attuale (quindi parallelo al corso del Tevere) con l'ingresso su piazza S.Caterina della Rota. Dell'edificio originale, distrutto da un incendio nel 1631 non rimane nessun reperto a causa della totale ricostruzione avvenuta durante il XVII secolo. L'interno è di Domenico Castelli la facciata di Carlo Rainaldi. Di particolare suggestione le stanze disposte su tre piani che contengono i ricordi di S.Filippo.

S.Giovanni dei Fiorentini

S.Filippo, nel 1564, divenne rettore della Chiesa. Qui avviene la grande azione della apostolato di “Pippo il buono”: accoglienza di laici e religiosi con i quali S.Filippo prega nella semplicità a lui congeniale. Fu papa Leone X a volere la chiesa Al progetto lavorarono in successione Sangallo il giovane, Baldassarre Peruzzi e Michelangelo. La cupola viene realizzata da Carlo Maderno nel 1602 e la facciata, del 1734, è opera di Alessandro Galilei. L'interno a 3 navate, a croce latina, è riccamente decorato con affreschi legati alle tematiche del Concilio di Trento (anche se parzialmente modificati successivamente).

S.Maria in Vallicella

Gregorio XIII affida a Filippo, nel 1575, l'antica chiesa. Essa è ridotta in rovina e per metà interrata. Scartata l'idea di restaurarla, i padri optano per la sua demolizione e ricostruzione. I lavori hanno inizio immediatamente, secondo un progetto di Matteo da Castello. La fede e la tenacia di Filippo riescono a superare le molte difficoltà e controversie. Egli afferma infatti che, secondo un suo patto con la Vergine, la chiesa sarebbe sorta prima della sua morte. Nel 1577 la chiesa è dotata di copertura lignea ed i preti possono stabilirvisi. L'interno è progettato dall'architetto Martino Longhi, con la collaborazione di Giacomo della Porta. La chiesa viene solennemente consacrata nel 1599.

L'Oratorio dei Filippini

La consapevolezza di dover affrontare il problema della formazione cristiana degli uomini del suo tempo lo aveva portato a dar vita agli incontri che chiamerà “l'oratorio”, incentrati su di una educazione alla fede cristiana, attraverso la conoscenza e la meditazione delle vite dei santi alternata ad orazioni e canti, dando a tutti i partecipanti la possibilità di intervenire e di dibattere su questioni di varia natura. L'Oratorio divenne sede della riforma musicale, avvenuta proprio in questo luogo. Lentamente, infatti, le laudi monodiche si trasformarono in composizioni a più voci (ad “Oratorio”). Il più noto compositore, amico di Filippo Neri è Giovanni Animuccia.
Gli incontri dell'oratorio avvennero nelle stesse stanze delle chiese dove Filippo abitò. L'attuale edificio viene, invece, costruito da Francesco Borromini, dopo la morte di S.Filippo, dal 1638 al 1640 e si affianca alla facciata della Chiesa di S.Maria in Vallicella, alla quale rimane subordinato per altezza e per il materiale usato (in mattoni), con elementi decorativi in travertino. La facciata con andamento leggermente concavo, vuole raffigurare l'abbraccio cordiale dei Filippini. L'interno è concepito in funzione della grande sala dell'Oratorio, dove, nelle pareti ad intonaco, vengono ripetute le tipologie esterne e con l'utilizzazione della pianta ellittica si viene a creare una nuova concezione di sala dove tutti potessero vedersi mentre pregano, cantano o parlano. Oltre a questo spazio centrale esistono altri ambienti, come la biblioteca, legati alla vita quotidiana dei Filippini.

Testi di S.Filippo

Sull'amore a Cristo e a Dio

A questo fine diceva spesso che non si cercasse altro che Christo, dicendo spesso: Chi vuol altro che Christo non sa quel che vole, e chi vuole altro che Christo non sa quel che domanda. Diceva ancora: Vanitas vanitatum et omnia vanitas, se non Christo (ricordo n.45 del Maffa)

Di più diceva che era tanto utile e necessario questo staccamento dalle cose terrene per servire a Dio, che se havesse avuto diece persone veramente staccate e che non volessero altro che Christo, gli bastava l'animo di convertir tutto il mondo (ricordo n.49 del Maffa)

Se l'anima ha da Dio l'esser perfetto,
sendo, com'è, creata in un istante,
e con mezzo di cagion cotante
come vincer la dee mortal oggetto?

Là 've speme, desio, gaudio e dispetto
la fanno tanto da se stessa errante,
sì che non veggia, e l'ha pur sempre innante,
chi bear la potria sol con l'aspetto.

Come ponno le parti esser rubelle
ala parte miglior, né consentire?
e quella servir dee, comandar quella?

Qual prigion la ritien, ch'indi partire
non possa, e alfin col pie' calcar le stelle;
e viver sempre in Dio, e a sé morire?

Sull'equilibrio umano
Et per instruir meglio i suoi figlioli spirituali nello stato della discrezione, dicea che non bisognava fare ogni cosa in un giorno, et che non si diventa santo in quattro dì, ma a poco a poco, di grado in grado. (ricordo n.14 del Maffa)
Essortava ancora a fugire ogni sorta di singularità e voler mostrare di essere e fare di più degli altri, e per questo diceva spesso che non gli piacevano queste estasi o ratti in pubblico, come cosa pericolosissima, e che chi vole volare senza ale bisogna pigliarlo per i piedi e tirarlo in basso. (ricordo n.25 del Maffa) Come lei sa la poesia è faticosa alla testa e per conseguenza non può partorire sanità, generando humore malenconico et altri mali quali detto Padre dice havere cognosciuto in molti che hanno atteso a simile esercitio… (parole riportate da p.Fedeli, portavoce di S.Filippo Neri presso Giovenale Ancina, convalescente da una grave malattia) Io Filippo Neri sopraintendente affermo non solo quanto di sopra, ma è molto più bisognerà crescere nelle spese, accrescendo il popolo e la divotione (lettera nell'Archivio di S.Giovanni dei Fiorentini con cui Filippo chiede più soldi alla “nazione fiorentina”).
E' proverbiale l' episodio nel quale una madre porta a S.Filippo Neri la figlia che afferma di vedere i santi e la Madonna; S.Filippo la guarda negli occhi ed esclama: “Che si sposi!”
Non giudico atto a questo offitio il p.Giovanni Francesco Bordini, quale, se bene ha di molte belle parti e virtù, che ne deve rendere gratie a Nostro Signore Iddio, l'ho trovato sempre duro et di proprio parere, monstratolo in particolare nel volere vencere di comprare le case delle monache contro mio volere et senza necessità; il che, oltra al havere comprato case vecchie et muraglie fracide…
(inoltre a S.Giovanni dei Fiorentini) si stava colle porte aperte, de sorte che la chiesa era impraticabile et a forestireri et a noi di casa, pel freddo grande et vento che entrava per tutto. Si che, non havendo imparato, tra l'altre virtù ch'ha, d'obedire et de credere troppo al suo parere et giudicio, non è atto a comandare né governare…
Né meno reputo atto a questo governo il p.Antonio Talpa, che anco egli è troppo affetionato alle sue opinioni, senza cedere all'altrui quantunche migliore siano: come mostrò per voler fare un disegno de cavar acqua, quando si incomenzò a fabricare, nel che nacque et spesa et inconvenienti in casa… (dalle Disposizioni del 1585, quando era stata da poco annessa l'Abbazia di S.Giovanni in Venere e si stava per aprire la filiale di Napoli)
Sul rapporto con i Papi
Il signor Cardinale si fermò poi sino a doi hore di notte, e disse tanto bene di vostra Santità, più di quello che mi pareva, essendo ella Papa, dovrebbe essere l'istessa humiltà. Christo, a sett'hore di notte, si venne a incorporare con me, e vostra Santità guarda che la venisse, pur una volta nella nostra chiesa. Christo è huomo et è Dio, e mi viene, ogni volta che io voglio, a visitare; e vostra Santità è huomo puro, nato d'un huomo santo e da bene; esso nato da Dio Padre. Vostra Santità nato dalla signora Agnesina, santissima donna; ma esso nato dalla Vergine delle Vergini. Harei che dire, se volessi secondare la collera che ho. (dalla lettera che Filippo malato scrisse negli ultimi anni al Papa Clemente VIII, rimproverandolo di non essere ancora venuto a trovarlo; il Papa, suo carissimo amico, mandò a rispondere, fra l'altro: “Del non essere venuta a vederla, dice che Vostra Reverentia non lo merita, poiché non ha voluto accettare il cardinalato, tante volte offertoli… Et quando Nostro Signore la viene a vedere, lo preghi per lui et per i bisogni urgenti della Christianità”)
Sull'amore ai fratelli
Per questo diceva spesso che il lasciare i suoi gusti per aiuto del prossimo, cioè spirituali, era atto di gran perfezione et era lasciar Christo per Christo (ricordo n.53 del Maffa)
Soleva dire alle persone che andavano a servir gli infermi degli hospedali o a far altra simil opera di charità che non bastava far il servitio semplicemente a quello infermo, ma che bisognava, per farlo con maggior charità, imaginarsi che quello infermo fosse Christo e tener per certo che quello che faceva a quell'infermo lo faceva all'istesso Christo e così si faceva con amore e maggior profitto dell'anima (ricordo n.40 del Maffa)
…diceva che per essere perfetto non basta a obedire et honorare i superiori, ma bisognava honorare gli uguali et inferiori (ricordo n.24 del Maffa)
Sulla grazia Signore, non aspettar da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò al certo, se non m'aiuti (ricordo n.42 del Maffa)
Sull'umiltà
Diceva ancora che per arrivare alla perfettione della vita spirituale e per acquistare perfettamente il dono dell'humiltà sono necessarie quattro cose, cioè: spernere mundum, spernere nullum, spernere se ipsum, spernere se sperni (ricordo n.3 del Maffa)
Sulla gioia
Voleva ancora che le persone stesser alegre dicendo che non gli piaceva che stessero pensose e malinconiche, perché faceva danno allo spirito, e per questo sempre esso beato Padre, ancora nelle se gravissime infermità, era di viso gioviale et allegrissimo, et che era più facile a guidare per la via dello spirito le persone alegre che le malinconiche (ricordo n.33 del Maffa)
Non gli piacevano gli scrupoli, come cose che inquietano assai la conscientia, et per questo molte volte da chi gli voleva dire in confessione, non voleva sentirle (ricordo n.35 del Maffa)
Raccomandava a tutti la quiete della conscientia e per questo a un certo suo proposito disse una volta che quando la persona volesse fare qualche voto cercasse di farlo condizionato: se potrò, se mi si ricorderà, o in altro simil modo (ricordo n.34 del Maffa)
Diceva ancora che doppo le tentationi non bisognava starvi a discorrere se la persona haveva consentito o no, perché molte volte per simili pensieri solevano tornare le medesime tentazioni (ricordo n.91 del Maffa)
Amo, e non posso non amarvi, quando
resto cotanto vinto dal desio
che 'l mio nel vostro, e 'l vostro amor nel mio;
anzi ch'io 'n voi, voi 'n me ci andiam cangiando.

E tempo ben saria veder il quando
ch'alfin io esca d'esto carcer rio,
di così folle e così cieco oblio,
dov'io mi trovo, e di me stesso in bando.

Ride la terra e 'l cielo e l'ora e i rami,
stan quieti i venti, e son tranquille l'onde,
e 'l sol mai si lucente non apparse.

Cantan gli augelli: Chi dunc'è che non ami
e non gioisca? Io sol, che non risponde
la gioia alle mie forze inferme e scarse.

Sulla preghiera
Diceva ancora che non si domandasse mai al Signore una gratia assolutamente, come la sanità o altra simil cosa, ma sempre con conditione se gli piace o se è per il meglio (ricordo n.36 del Maffa)
Sulle virtù e i vizi
Essortava tutti spessissime volte con infocati raggionamenti alla virtù della castità, dicendoli: Si guardino li giovani dalla carne e li vecchi dall'avaritia (ricordo n.64 del Maffa)
Sulla preghiera e il padre spirituale
…diceva che non ci era cosa che il demonio havesse più a male quanto l'oratione (ricordo n.74 del Maffa)
Diceva anche che non bisognava mai fidarsi di se stesso, ma consigliarsi sempre con il padre spirituale e raccomandarsi all'oration di tutti (ricordo n.85 del Maffa)
Diceva poi a tutti quelli che desideravano la salute dell'anima loro che avanti si eleggessero un confessore ci pensassero bene, ma poi che l'havessero preso non lo lasciassero mai e gl'havessero grandissima fede, conferendogli ogni minima cosa, perché il Signore non lo lascerà mai errare in cosa che fusse per la salute dell'anima loro (ricordo n.109 del Maffa)
Sulle sofferenze altrui
Avvertiva ancora che quando una persona andava a visitare un infermo non facessi del profeta con dire che l'infermo morirebbe overo non morirebbe, perché diceva che vi erano state persone che havevano detto che un infermo sarebbe morto, e poi quando guariva gli rincresceva che fusse guarito perché la profezia non era riuscita (ricordo n.107 del Maffa)
Diceva anche che quando si andava a raccomandar l'anima di alcun moriente che un bonissimo aiuto era a pregar per quell'anima e che bisognava dile poche parole et di raro (ricordo n.139 del Maffa)
Sull'aridità Diceva ancora che le persone spirituali dovevano esser designate tanto a sentire i gusti di Dio come a stare in aridità di spirito et della devotione tutto quello tempo che piace a Dio, non si lamentando mai di cosa alcuna (ricordo n.139 del Maffa)
Sui sacerdoti
Consigliava alli sacerdoti, massime che vivono in comune, che cercassero in quanto fusse possibile di non haver niente in particolare in sacrestia e gli diceva che non havessero mai hora particolare, né altare, né altra cosa, ma che dicessero la messa quando erano chiamati e dove erano mandati (ricordo n.106 del Maffa)

Il Cammino Cristiano

Il Perdono

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"Siate invece gli uni verso gli altri benigni, misericordiosi, perdonandovi a vicenda, come anche Dio vi ha perdonati in Cristo" (Efesini 4:32).
Per molte persone la parola "perdono" non ha alcun senso. Un episodio di risentimento lo troviamo descritto perfino negli evangeli. In viaggio verso Gerusalemme, Gesù aveva bisogno di ospitalità forse per il pernottamento. Per questo dalla schiera dei discepoli partirono Giacomo e Giovanni per domandare ai samaritani del vicino villaggio qualche posto per l'alloggio.
Ma i samaritani sono duri e non trattano coi giudei! Ci sono vecchi attriti storici e religiosi che hanno sempre impedita una leale amicizia tra i due popoli, perciò essi non intendono ricevere Gesù.
I discepoli vogliono vendicarsi di un simile atteggiamento e dicono: "Signore vuoi tu che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li consumi?". L'Evangelo dice che Gesù sgridò i discepoli. Li sgridò come sgridò gli spiriti immondi e come sgridò il mare in tempesta. Era necessario che nel loro cuore albergasse il sentimento della carità e che imparassero a perdonare.

La legge del perdono è la grande rivoluzione spirituale che il cristianesimo ha introdotto nel mondo. Per gli antichi esisteva la legge del "fai come ti è stato fatto". Se uno ti spezza un dente, spezza anche tu il dente all'avversario, se uno ti acceca un occhio, cava l'occhio al tuo avversario. Ed i giudei, che erano educati religiosamente, dicevano di perdonare fino a tre volte.
L'apostolo Pietro parlando con Gesù va oltre: "Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù a lui: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (Matteo 18:21-22). Gesù non voleva porre un limite matematico facendo pensare che si dovesse perdonare 490 volte e poi si è liberi di vendicarsi. No, egli esclude in senso assoluto il sentimento di vendetta, dovendosi perdonare sempre, senza limiti.
Bisogna che si segua la pratica del Padre che è nei cieli. Egli è largo nel perdonare, dice il profeta Isaia. Egli fa risplendere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Nel Salmo 103 troviamo scritto: "Quanto i cieli sono alti al disopra della terra, tanto è grande la sua benignità verso quelli che lo temono. Quanto è lontano il levante dal ponente, tanto ha egli allontanato da noi le nostre trasgressioni. Come un padre è pietoso verso i suoi figliuoli, così è pietoso l'Eterno verso quelli che lo temono. Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere" (vv. 11-14).
Come cristiani, siamo chiamati ad agire alla maniera di Cristo che ci insegna un metodo nuovo dicendo: "Non contrastate al malvagio" (Matteo 5:39), ed anche: "Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano... Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete?... Voi dunque siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro celeste" (Matteo 5:44-48).

Gesù ha realizzato pienamente queste parole nella sua vita, non solo perdonando un gran numero di peccatori, ma chiamando "amico" Giuda Iscariota, pur sapendo che stava per tradirlo. E quando sul legno della croce, inchiodato, sente l'insulto dei suoi carnefici, Egli dice: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Luca 23:34).
In Matteo 18 vi è la parabola del servitore spietato. Essa inizia dicendo che il Regno dei Cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servitori. Gliene fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti, una somma rilevante che corrisponde a 60 milioni delle nostre lire. Ma il servitore non aveva di che pagare. Il re dispose che fosse venduto schiavo lui insieme alla moglie ed i figli. Ma egli gettatosi ai piedi del re disse: "Abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto".
Il re, mosso a compassione, gli rimise il debito. Ma quel servitore a sua volta doveva ricevere del denaro da un suo compagno, una somma assai modesta di solo 100 danari, circa 90 lire. Il modo con cui gli chiese il danaro fu violento: gli strinse fortemente la gola quasi a farlo morire dicendo: "Paga quello che devi!".
Il poveretto chiese di aver pazienza con lui, ma il crudele creditore lo fece mettere in carcere finché non gli avesse pagato il debito. La cosa fu saputa dal re il quale, mandando a chiamare il servitore a cui aveva rimesso il debito, gli disse: "Malvagio servitore, io t'ho rimesso tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, com'ebbi anch'io pietà di te?".
Il re lo consegnò in mano degli aguzzini che lo avrebbero trattenuto fino al tempo del pagamento di tutto il debito.

La parabola aggiunge una parola che è valida per noi: "Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello". Il che significa che il Signore non ci userà misericordia se a nostra volta non usiamo misericordia. Il debito del nostro fratello è piccolo, rispetto a quello che abbiamo noi col Signore. La nostra ribellione a Dio costituisce il debito impagabile dei diecimila talenti. Dio perdona solo se a nostra volta perdoniamo di cuori i nostri debitori.
Questa prassi è tanto importante nella legge di Dio che Gesù l'ha inclusa nella preghiera modello: "Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori" (Matteo 6:12).
E l'apostolo Paolo scrive: "Siate invece gli uni verso gli altri benigni, misericordiosi, perdonandovi a vicenda, come anche Dio vi ha perdonati in Cristo" (Efesini 4:32).

Vogliamo concludere ricordando l'insegnamento biblico riguardante il perdono dei peccati e la salvezza. Ogni essere umano è peccatore per natura, e a causa del peccato è caduto, separato in modo irrimediabile da Dio, e condannato alla morte eterna. Questa è la condizione di tutto il genere umano, nessuno escluso. Dio, essendo santo e giusto, deve condannare il peccato, e ciò implica la morte del peccatore (Ebrei 9:22). Ma, nella sua misericordia e amore, Dio ha dato all'uomo la possibilità di essere perdonato da ogni peccato, reso giusto, riconciliato con Dio e, da creatura di Dio, diventare figlio di Dio.
Gesù Cristo, il figlio di Dio, è venuto nel mondo a morire per noi, affinché la morte che doveva colpire noi in quanto peccatori, cadesse su di Lui, il Signore e Creatore di ogni cosa! Chiunque crede in Lui, nel suo sacrificio, e abbandonato ogni peccato, Lo accetta come personale salvatore e Signore, è salvato e riconciliato con Dio. Ciò implica il perdono dei peccati, e la giustificazione del peccatore non per la propria giustizia, ma per la giustizia di Gesù Cristo stesso.

Questo però può avvenire a una sola condizione: che vi siano il ravvedimento e la fede in Gesù Cristo. Bisogna cioè riconoscere umilmente davanti al Signore il proprio stato di peccatori caduti e separati da Lui, abbandonare i propri peccati e credere in Gesù. "Io vi dico che così vi sarà in cielo più allegrezza per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti i quali non han bisogno di ravvedimento" (Luca 15:7).
Non c'è perdono senza il ravvedimento. "Ravvedetevi dunque e convertitevi, onde i vostri peccati siano cancellati" (Atti 3:19).
"Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità" (1 Giovanni 1:9).
"Poiché Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna" (Giovanni 3:16).

Le apparizioni di Maria a Medjugorje


Madonna di Međugorje, detta anche Regina della Pace o Gospa, è l'appellativo con cui viene chiamata dai credenti la venerata Maria, madre di Gesù, in seguito ad alcune presunte apparizioni, iniziate a Međugorje e testimoniate da sei veggenti: Ivanka Ivanković, Mirjana Dragićević, Vicka Ivanković, Ivan Dragićević, Jakov Čolo e Marija Pavlović; queste apparizioni mariane sarebbero tuttora in atto. I veggenti affermano di aver ricevuto la prima apparizione della Vergine Maria il 24 giugno 1981; in seguito si presenterà con il titolo di "Regina della Pace" (Kraljica Mira), altro appellativo con cui è venerata. Per questo motivo Međugorje è divenuta meta di numerosi pellegrinaggi.

Storia

La chiesa parrocchiale di San Giacomo
Il 24 giugno 1981 sei ragazzi avrebbero visto «una figura femminile luminosa sul sentiero che costeggia il Podbrdo», con un bambino fra le braccia. Il giorno seguente ella si sarebbe presentata come la «Beata Vergine Maria».[1][2]
Bisogna premettere che nel 1981 la Bosnia-Erzegovina apparteneva alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, guidata da una dittatura comunista. Verso la metà di luglio 1981 un ragazzo pubblicò un articolo su un giornale di Zagabria, che racconta i fatti di Međugorje, facendo conoscere questa storia anche all'estero e ripresa anche da altri giornali. Ciò attirò diversi pellegrini e ammalati dall'estero. La polizia, pertanto, iniziò ad irritarsi assieme alle autorità comuniste slave, tanto da decidere di chiudere la zona del Podbrdo a chiunque.[3] Le apparizioni iniziate sul Podbrdo continuarono, nei primi tempi, nelle case dei veggenti e nella casa parrocchiale, tanto che padre Jozo, allora parroco di Međugorje, fu arrestato per attentato alla sicurezza e all'unità dello Stato.[3]
Dal 1981 ad oggi, i veggenti avrebbero continuato ad avere visioni, anche se non vivono più tutti a Međugorje. Il gruppo definitivo dei veggenti è così costituito: Ivanka Ivanković, Mirijana Dragičević, Vicka Ivanković, Ivan Dragičević (dal 24 giugno 1981), a cui si sono aggiunti (il 25 giugno 1981) Marija Pavlović e Jakov Čolo. Tra i veggenti esiste una fitta trama di parentele.

Descrizione della Madonna di Međugorje

Il frate francescano Janko Bubalo ha interrogato i presunti veggenti e ha chiesto loro di descrivere l'aspetto della Madonna.
In base ai loro racconti, la Madonna ha tra i 18 e i 20 anni, è snella ed è alta circa 165 cm. Il suo viso è lungo e ovale con capelli neri. Gli occhi sono azzurri con ciglia delicate, il naso è piccolo e grazioso e le guance sono rosee. Ha belle labbra rosse e sottili e il suo sorriso è di una gentilezza indescrivibile.
Ha una semplice veste azzurro-grigia che scende liberamente verso il basso mescolandosi con la piccola nuvola biancastra su cui sta in piedi. Il suo velo è bianco e copre la testa e le spalle e scende anch'esso fino alla piccola nuvola. Ha una corona con 12 stelle dorate sulla testa.
Padre Bubalo chiese infine: «La Madonna è veramente bella come dite?»
La loro risposta fu: «In realtà noi non abbiamo detto nulla a proposito di questo. La sua bellezza non può essere descritta. Non è il nostro genere di bellezza. È qualcosa di etereo, di celestiale, che si vede solo in paradiso e solo in una certa misura.»[4]

Richieste della Madonna di Međugorje

Il Gesù crocifisso a Međugorje
Secondo i veggenti, la protagonista delle presunte apparizioni inviterebbe i fedeli alla conversione, alla preghiera, alla pace. Il messaggio principale è la pace (nel suo significato più ampio: con Dio, con gli uomini, ma anche interiore) e i veggenti affermano che la Madonna avrebbe indicato loro che si può raggiungere attraverso cinque strumenti ("le cinque pietre" paragonate ai ciottoli scelti da Davide, armato solo di fionda e bastone, per abbattere Golia[5]):
Chiesa parrocchiale di San Giacomo di Međugorje
Secondo i messaggi diffusi dai veggenti, se rispettati i cinque precetti appena indicati, la Madonna avrebbe promesso la sua intercessione favorendo anche la conversione personale.

I dieci segreti

Secondo quanto riferito dai veggenti, la Madonna avrebbe comunicato loro «dieci segreti», affidando a Mirijana Dragićević il compito di rivelarli al mondo tre giorni prima del loro verificarsi, utilizzando come portavoce il padre francescano Petar Ljubicic.[6]
Per quanto riguarda modo, tempi e luoghi della loro realizzazione, i veggenti hanno ovviamente mantenuto il riserbo, ma sarebbero noti alcuni elementi di contorno. Riferendosi ai segreti, dice Mirjana che rivelerà a padre Petar «cosa succederà e dove dieci giorni prima che accada». Entrambi trascorreranno «sette giorni nel digiuno e nella preghiera», poi il francescano, tre giorni prima, dovrà rivelare al mondo quanto appreso. I segreti sarebbero scritti su di un foglio speciale, di materiale sconosciuto, dove la scrittura non si vede: il testo di ogni segreto diventerebbe visibile anche a padre Petar al momento opportuno.[7] I primi due segreti conterrebbero degli «ammonimenti», il terzo riguarderebbe un «segno» visibile sulla collina del Podbrdo, gli altri sette annuncerebbero dei «castighi».[8]
Secondo i veggenti, la Madonna avrebbe poi richiamato l'attenzione sulla necessità della conversione, aggiungendo che, dopo la realizzazione dei segreti, ci sarebbe un «tempo di pace». Nel messaggio del 28 febbraio 1984, inoltre, la Madonna avrebbe anticipato un tema, ripreso più volte nei messaggi successivi: «Non preoccupatevi per il futuro. Limitatevi a pregare e io, vostra Madre, mi prenderò cura di tutto il resto».[9]