venerdì 21 febbraio 2014

La vita dopo la vita

 
Paradiso : Verità trascendentale - Vado a prepararvi un posto -
                       Come andare in Paradiso Felicità in Paradiso -
                       Tribunale di DioCos'è il Paradiso

Purgatorio: Luogo di purificazione - Le anime del Purgatorio
                                     Teologia sul Purgatorio - Fondamento Biblico
                                     I primi cristiani e il Purgatorio -

Inferno: Inferno - Il Giudizio Divino e la Punizione dei Peccatori
                           Le Pene dei Dannati  - I Quattro Tormenti - Pene Eterne -
                           Insidie Infernali - Giudizio Universale - Mezzi per evitare l'inferno -
                           La Verità sull'Inferno - La Misericordia Divina -

La Misericordia Divina

Gesù desidera convertire i peccatori e allontanarli dalla via della perdizione. Egli è venuto nel mondo per procurare la vita eterna a tutti e desidera che nessuno si danni. Gesù stesso rivela a Suor Maria Faustina Kowalska "Ho tutta la vita eterna per usare la giustizia e ho solo la vita terrena in cui posso usare la misericordia; ora voglio usare misericordia!". Gesù, dunque, vuole perdonare; non c'è colpa tanto grande che Egli non possa distruggere nelle fiamme del suo Cuore divino. L'unico presupposto richiesto per ottenere la sua misericordia è il pentimento e l'odio al peccato.

In questi ultimi tempi il male sta dilagando nel mondo in modo impressionante mentre il Redentore ha mostrato con più intensità la sua misericordia, fino a voler dare un messaggio all'umanità peccatrice e, per attuare i suoi disegni di amore, si è servito di una creatura privilegiata: Josepha Menendez. Il 10 giugno del 1923 Gesù le apparve in tutta la sua bellezza celestiale improntata a sovrana maestà. La sua potenza si manifestava nel tono della voce. "Josepha, scrivi per le anime. Voglio che il mondo conosca il mio Cuore. Voglio che gli uomini conoscano il mio amore. Lo sanno ciò che ho fatto per loro. Gli uomini cercano la felicità lontano da me, ma inutilmente: non la troveranno".

"Mi rivolgo a tutti, agli uomini semplici come ai potenti. A tutti mostrerò che se cercano la felicità, lo sono la Felicità; se cercano la pace, lo sono la Pace; lo sono la Misericordia e l'Amore. Voglio che questo Amore sia il sole che illumina e riscalda le anime".

"Voglio che il mondo intero mi conosca come il Dio della misericordia e dell’Amore! Voglio che gli uomini conoscano il mio ardente desiderio di perdonarli e dì salvarli dal fuoco dell'inferno. I peccatori non temano, i più colpevoli non mi sfuggano. Li attendo come un Padre, a braccia aperte, per dare loro il bacio di pace e la vera felicità".

"Per essere felice Dio non ha bisogno nè dell'uomo nè dei suoi servizi, perchè basta a se stesso. La sua gloria è infinita e nessuno può diminuirla. Però Dio, che è infinitamente potente e infinitamente buono ed ha creato l'uomo soltanto per amore, come potrà lasciarlo patire e poi morire in quel modo? No! Gli darà un'altra prova di amore e, di fronte a un male infinito, gli offre un rimedio di valore infinito. Una delle tre Divine Persone prenderà la natura umana e riparerà il male causato dal peccato".

"Parlerò prima a coloro che non mi conoscono. Sì, a voi figli carissimi, parlo a voi che sin dall'infanzia vivete lontano dal Padre. Venite! Vi dirò perchè non lo conoscete e quando comprenderete chi è e quale Cuore amante e tenero ha per voi, non potrete resistere al suo amore. Capita spesso che coloro che crescono lontani dalla casa paterna non provino alcun affetto per i genitori. Ma se un giorno esperimentano la tenerezza del padre e della madre non si staccano più da loro e li amano più di quelli che sono sempre stati con i loro genitori".

"Parlo anche ai miei nemici. A voi che non soltanto non mi amate, ma mi perseguitate col vostro odio chiedo soltanto: perchè questo odio così accanito? Che male vi ho fatto perchè mi maltrattiate così? Molti non si sono mai fatti questa domanda ed ora che lo stesso la rivolgo a loro, forse risponderanno: 'Sento dentro di me questo odio, ma non so come spiegarlo'. Ebbene, risponderò io per voi. Se nella vostra infanzia non mi avete conosciuto è stato perchè nessuno vi ha insegnato a conoscermi. Mentre voi crescevate, le inclinazioni naturali, l'attrattiva per il piacere, il desiderio della ricchezza e della libertà sono cresciuti con voi. Poi un giorno avete sentito parlare di me; avete sentito dire che per vivere secondo la mia volontà, occorreva sopportare e amare il prossimo, rispettare i suoi diritti e i suoi beni, sottomettere e incatenare la propria natura, insomma, vivere sotto una legge".


"E voi che, fin dai primi anni non viveste che seguendo il capriccio della vostra volontà e gli impulsi delle vostre passioni, voi che non sapevate di quale legge si trattasse, avete protestato con forza: "Non voglio altra legge che i miei desideri; voglio godere ed essere libero!". Ecco perchè avete cominciato a odiarmi e a perseguitarmi. Ma io, che sono vostro Padre, vi amavo e, mentre con tanto accanimento lavoravate contro di me, il mio Cuore più che mai si riempiva di tenerezza per voi. Così trascorsero troppi anni della vostra vita..."

"Credete nel mio amore e nella mia misericordia. Mi avete offeso? lo vi perdono. Mi avete perseguitato? lo vi amo. Mi avete ferito con le parole e con le opere? lo voglio farvi del bene e offrirvi i miei tesori. Non crediate che lo ignori come siete vissuti finora. So che avete disprezzato le mie grazie e che qualche volta avete profanato i miei Sacramenti. Non importa, lo vi perdono! Si, vi voglio perdonare! lo sono la Sapienza, la Felicità, la Pace, sono la Misericordia e l'Amore".

"Infelici coloro che fanno i sordi alla sua voce! Se non lasciano il peccato, se non si danno all'amore di Dio, per tutta l'eternità saranno vittime del loro odio al Creatore. Se finchè sono su questa terra non accolgono la divina misericordia, nell'altra vita dovranno subire la potenza della giustizia divina. È cosa orrenda cadere nelle mani del Dio vivente!".

La Verità sull'Inferno


 


L'Inferno ci da una misura evidente della malizia del peccato. Noi, che normalmente siamo dominati dal mondo sensibile, tendiamo quasi senza accorgerci, a giudicare il peccato comparandolo alle cose della nostra esperienza: e il giudizio che diamo risulta del tutto sbagliato. Il peccato, occorre ribadire, è un’offesa fatta a Dio; e solo quando cerchiamo di raffigurarci la pena come conseguenza del peccato, che è l’inferno, solo allora possiamo acquistare una conoscenza più viva e più efficace sul nostro comportamento umano. L’inferno, dunque, ci fa capire paradossalmente il peccato.

Pensare che solo lo slancio di amore sia sufficiente all’uomo per realizzare il bene e fuggire il male, significa non comprendere appieno la natura umana.

Per quanto incredibile possa sembrare l’affermazione che l’inferno è opera di giustizia e anche opera di amore, è certamente vera. Vera perché Dio, secondo la rivelazione di Giovanni, è amore; perciò nulla viene da Dio che non proceda dall'amore. Non per nulla il divino poeta ricorda, all'entrare dell'Inferno, che esso fu fatto dalla giustizia divina, ma anche dal "primo amore".



L'Inferno ci dimostra che l'amore di Dio per noi è una cosa seria, perché l'amore non corrisposto ha una punizione superiore a ogni immaginazione.
La vita dell'uomo, di ogni uomo, è una cosa terribilmente seria, poiché si risolve in un unico fondamentale rapporto, quello con l'Assoluto, con Dio. E tale rapporto è ancora più serio, poiché è un rapporto di amore, e l'amore è cosa seria, e implacabile come la morte. Come si potrebbe affermare che l’Amore di Dio per l’uomo è una cosa serie se fosse indifferente alla risposta dell’uomo? Se Dio per assurdo accettasse il nostro "no" al Suo Amore come un "si". Poiché l'Inferno è appunto questo "no" dell'uomo, che si estende senza fine, sbarrando per sempre quel "si" che gli donerebbe la libertà e la salvezza.

Se la meditazione dell’inferno turba il nostro spirito e ci mette in ansietà, pensando alla nostra debolezza, dobbiamo rinfrancarci pensando che Gesù si è fatto uomo per salvarci dall'Inferno, e che ci ha raccomandato di sperare in Lui. Dobbiamo sperare nella nostra salvezza e questa speranza non è un’ipotesi, ma è fermezza, perché fondata non su di noi, ma soltanto su Gesù, che si è fatto uomo proprio per salvarci. E sulla fede e sulla speranza si accenderà forse proprio anche in grazia della meditazione sull'Inferno il più ardente l'amore. Quell'amore travolgente che ci fa rafforzare il proposito di non peccare e il proposito di essere fedeli all'Amore.

Mezzi per evitare l'inferno

La Perseveranza

"Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato" (Mc 13, 13).
La perseveranza è frutto della preghiera, perché è tramite l'orazione che l'anima riceve gli aiuti indispensabili per resistere agli assalti del demonio. Nel suo libro "Del gran mezzo della preghiera", Sant'Alfonso scrive: "Chi prega si salva, chi non prega si danna". Chi non prega, anche senza che il demonio lo spinga... all'inferno ci va con i propri piedi! È consigliabile la seguente preghiera che Sant'Alfonso ha inserito nelle sue meditazioni sull'inferno:

O mio Signore, ecco ai tuoi piedi chi ha tenuto in poco conto la tua grazia e i tuoi castighi.
Povero me se tu, Gesù mio, non avessi pietà di me! Da quanti anni mi troverei in quella voragine ardente, dove già bruciano tante persone come me! O mio Redentore, come non bruciare di amore pensando a questo? Come potrò, in avvenire, offenderti di nuovo? Non sia mai, Gesù mio, piuttosto fammi morire. Già che hai iniziato, compi in me la tua opera. Fa che il tempo che mi dai io lo spenda tutto per te. Quanto vorrebbero i dannati poter avere un giorno o anche solo un'ora del tempo che a me concedi! E io che ne farò? Continuerò a spenderlo in cose che ti disgustano? No, Gesù mio, non permetterlo per i meriti di quel Sangue che finora mi ha impedito di finire all’inferno. E Tu, Regina e Madre mia, Maria, prega Gesù per me e ottienimi il dono della perseveranza. Amen.



L’Aiuto prezioso della Mamma Celeste

Dobbiamo affidarci nelle mani della Madonna perché come Mamma celeste farà l’impossibile per procurarci la nostra salvezza, dobbiamo essergli devoti con la recita quotidiana del Rosario è Lei stessa a suggerircelo attraverso l’apparizione di Fatima.
Nel 1917 la Vergine Santissima apparve a Fatima a tre fanciulli; quando aprì le mani ne sgorgò un fascio di luce che sembrava penetrasse la terra. I fanciulli videro allora, ai piedi della Madonna, come un grande mare di fuoco e, immersi in esso, neri demoni e anime in forma umana simili a braci trasparenti che, trascinati in alto dalle fiamme, ricadevano giù come faville nei grandi incendi, fra grida di disperazione che facevano inorridire.
A tale scena i veggenti alzarono gli occhi alla Madonna per chiedere soccorso e la Vergine soggiunse: Questo è l'inferno dove vanno a finire le anime dei poveri peccatori. Recitate il Rosario e aggiungete ad ogni posta: Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno e porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia.



La buona volontà

Il pensiero dell’inferno e delle tremende sofferenze che in quel luogo si devono subire, talvolta possono essere un buon deterrente per evitare le soddisfazioni spicciole. La volontà è stimolata dalla determinazione del volere per pervenire dove si era prefissato.

Chi non è in grado di attivare la volontà cade facilmente nel vizio impuro in quanto non è in grado di controllare lo sguardo, non ha la forza di dominare gli affetti disordinati del cuore o la determinazione di rinunciare ai divertimenti illeciti. Il numero dei peccati si sommano sino a non averne la percezione in questo modo si vive sull’orlo dell’inferno. E se Dio troncasse la tua vita ora? Non conteranno le tue recriminazioni del tipo "ero deciso prima o poi di attivare la buona volontà", ma di riappacificarmi con Dio, si sistemare ogni cosa. Ricorda che "Nessun servo può servire a due padroni" (Lc 16,13). Talora per un momento di piacere si rischia una eternità di sofferenze, ne vale la pena?

Se desideri salvarti accostati di frequente ai Sacramenti della Confessione e della Comunione, cerca con tutti i mezzi di fuggire le occasioni prossime di peccato. Non mettere alla prova la tua forza, ricorda che talora è l’occasione che fa l’uomo ladro. Dice il Signore: "Chi ama il pericolo in esso si perderà" (Sir 3,25).



È necessario riflettere

Se non si prende la buona abitudine di riflettere ogni giorno per non perdere di vista il senso ultimo della vita altrimenti si spegne il desiderio di un profondo rapporto col Signore e, mancando questo, non si riesce a fare nulla o quasi di buono e non si trova il motivo e la forza per evitare ciò che è male. Chi medita con assiduità, è improbabile che viva in disgrazia di Dio e che vada a finire all'inferno.

La Vita gaudente...la libertà dei sensi...i divertimenti peccaminosi...l’ indifferenza totale o quasi nei confronti di Dio... la derisione della vita eterna e specialmente dell'inferno. Se la morte ci cogliesse in preda a queste brame quale sarebbe il Giudizio di Dio? La sentenza sarà come per il ricco "Epulone" e probabilmente sentire il verdetto "Vai, anima maledetta, nel fuoco eterno!".

Quale potrebbe essere la reazione di questa povera anima: "Maledetta me! Per la gioia di un attimo, che è svanita come un lampo, dovrò bruciare in questo fuoco, lontana da Dio, per sempre! Se non avessi coltivato quelle amicizie pericolose... Se avessi pregato di più, se avessi ricevuto più spesso i Sacramenti... non mi troverei in questo luogo di estremi tormenti!
Maledetti piaceri! Maledetti beni! Ho calpestato la giustizia e la carità per avere un po' di ricchezza... Ora altri se la godono e io devo scontare qui per tutta l'eternità. Ho agito da pazza!
Speravo di salvarmi, ma mi è mancato il tempo di rimettermi in grazia. La colpa è stata mia. Sapevo che mi sarei potuta dannare, ma ho preferito continuar a peccare. La maledizione cada su chi mi dato il primo scandalo. Se potessi ritornare in vita... come cambierebbe la mia condotta!".

Forse è giunto il momento di rinunciare alla bramosia delle ricchezze destinate a finire e porre solamente in esse le nostre speranze. E’ ora di smettere di seguire i desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. E’ il momento di smettere di amare ciò che passa con tanta rapidità e affrettarsi nel cammino che ci può condurre al gaudio eterno.



Riflettiamoci Ora siamo ancora in tempo

"Chi segue me non cammina nelle tenebre" (Gv 8,12) dice il Signore. Sono parole che ci esortano a imitare la vita di Cristo e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore.

Giudizio Universale


 

La resurrezione dei morti sarà l’atto conclusivo della storia umana, il giudizio universale. Nel Credo noi proclamiamo che Gesù Cristo, salito al Cielo, ritornerà un giorno "Per giudicare i vivi e i morti". Gesù Cristo siede alla destra del Padre donde verrà a giudicare i vivi e i morti, e, "Alla sua venuta tutti gli uomini risorgeranno con i loro corpi e dovranno rendere conto delle loro azioni". Il Regno di Dio riceve il suo senso pieno dal suo compimento, dal suo momento finale, che si apre con la scena dell'universale giudizio al cospetto dell'unico giudice, il Cristo. San Paolo afferma che "noi tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Cristo per riportare ciascuno la ricompensa della sua vita mortale secondo quel che avrà fatto, o di bene o di male" (II Cor. 5, 10).

E Matteo così la raffigura: "Quando verrà il Figlio dell'uomo nella sua maestà e tutti gli angeli insieme con lui, allora si assiderà sul suo trono glorioso. Tutte le genti saranno radunate davanti a lui; ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore che separa le pecore dai capri; e porrà a sua destra le pecore e i capri a sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno a destra: venite, o voi, benedetti del Padre mio a prendere possesso del Regno... e a quelli della sinistra dirà: andate via da me o voi, i maledetti, al fuoco eterno" (Mt 25, 31-41).

Questo momento e questa scena ritorna sovente nella narrazione degli evangelisti e ritornano con insistenza nelle lettere di San Paolo. Il tema della parusia, ossia della venuta del Cristo alla fine dei tempi, è intimamente connesso con quello del giudizio universale, tanto da costituire due aspetti di una medesima realtà escatologica. Un eco di questo stato d'animo si ha, nelle lettere che San Paolo scrive ai Tessalonicesi, ammonendoli di non perdersi in vane questioni e di "non lasciarsi facilmente turbare lo spirito da dicerie e da pretese rivelazioni quasi che il giorno del Signore sia imminente"(II Tess. 2, 2), perché del giorno del Signore sappiamo solo una cosa: che "verrà come il ladro di notte": l'importante è tenersi sempre preparati (I Tess. 5, 2). L'attesa del giorno del Signore, documentata dalle lettere ai Tessalonicesi, come attesa di un evento prossimo, è uno degli argomenti su cui si fonda l'interpretazione escatologica della Chiesa.

La verità del giudizio universale non è solo una realtà rivelata, ma sembra venire incontro anche a certe necessità della ragione, perché la ragione ne avverte la convenienza e il significato. Il giudizio universale risponde alla natura sociale dell'uomo perché la vita del singolo si intreccia inevitabilmente con quella degli altri cosi anche le opere sia che siano buone o cattive si ripercuotono seppur in modo diverso anche nell’ambiente che circonda l’uomo. Anche se il giudizio individuale ha già definito la sorte del singolo tuttavia occorre che questo giudizio e questa sorte sia sancita e motivata dinanzi a tutti. Per questo, il giorno del giudizio è detto "il gran giorno" (Apoc. 6, 1). Quel giorno sarà per Gesù il tempo della glorificazione davanti a tutti gli uomini, e per gli uomini sarà il giorno della verità e della giustizia davanti a Dio.

Il gran giorno
Gesù ha annunciato molte volte questo giorno della sua glorificazione e da ultimo nel momento in cui compariva in veste di accusato davanti al tribunale del Sinedrio, che stava per condannarlo a morte: "allora il sommo sacerdote gli disse "Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio". "Tu l’hai detto – gli rispose Gesù – anzi vi dico: d’ora innanzi vedrete il figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza di Dio e venire sulle nubi del cielo" (Mt. 26, 64).

Ogni peccatore, peccando, lancia la propria sfida blasfema a Dio: "Ho commesso il peccato, e che cosa mi è successo di male?". Nella vita di molti è come se Gesù il figlio di Dio non fosse mai esistito e così vivono "separati da Cristo... senza speranza e senza Dio in questo mondo..." (Ef. 2, 12). Ebbene, è necessario che di fronte a tutta l'umanità il Cristo rivendichi la sua gloria, perché tutti dovranno riconoscere, tremando od osannando, che Egli è il Figlio di Dio, l'Onnipotente, proprio nell’atto stesso del giudizio in quanto sarà l’unico giudice del genere umano.
"Il Padre non giudica nessuno: ogni giudizio l'ha rimesso al Figlio, affinché tutti lo onorino" (Gv. 5, 22). In quel giorno — scrive San Paolo — quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, con angeli potenti e fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. (II Tess. 1, 8)

In quel giorno ci sarà il terrore dei peccatori e la consolazione dei giusti perché sarà il giorno dell'assoluta verità e dell'assoluta giustizia, per cui sia il peccatore che il giusto appariranno quali sono. Tutti vedranno di ciascuno fin nelle zone più inaccessibili della coscienza, ossia là dove si generano le azioni e dove ricevono il loro valore etico, e ogni azione verrà svelata col proprio nome e non con il valore che falsamente le attribuiva il peccatore sbagliandosi e ingannando gli altri. Ora la crudeltà non sarà più chiamata fortezza, e neppure la superbia in dignità così come la sensualità in dolcezza e neppure la mitezza in vigliaccheria e neppure la giustizia in prepotenza. Sarà il giorno della verità per ciascuno e per tutti, ognuno di noi comparirà come realmente è davanti a Dio, a se stesso, a tutti.

Ognuno sarà giudicato secondo le sue opere buone o cattive: "il Figlio dell'uomo... renderà a ciascuno secondo le sue opere" (Mt. 16, 27)... "darà a ciascuno secondo le sue opere..." (Rm. 2, 6). A nulla serviranno i successi, gli onori, le cariche, le ricchezze, la scienza, la potenza economica se non hanno realizzato il bene. Quale sarà lo sconvolgimento nella scala delle umane grandezze! Nella gerarchia dei valori umani! Quanto di quello che si riteneva grano apparirà pula, e di quello che sembrava pula apparirà grano! Il carnefice e il martire, il calunniatore e il calunniato, il profittatore e la vittima, il prepotente e l'umile, il malvagio e l'onesto ritroveranno nella sentenza del giudice il giusto equilibrio di quel rapporto che era stato troppo a lungo alterato. Chi è tanto sicuro di sé per quel giorno quando dovrà apparire davanti al Redentore diventato giudice? "Che cosa potrò dire io, miserabile, a mia discolpa? Quale protettore potrò invocare in mio aiuto?... in quel momento quando a stento il giusto si sente sicuro?". San Pietro nella sua prima lettera scrive: "Se il giusto si salva a fatica, dove compariranno l'empio e il peccatore?".

Con il trionfo di Gesù, ci sarà il trionfo dei buoni : "Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi" (Apoc. 7, 16-17).

Insidie Infernali


Insidie in agguato

Satana porta alla schiavitù molte anime portandole all’irriflessione per farle perdere di vista il fine vero della vita. Alle sue prede il demonio instilla il desiderio e sibila "La vita è un piacere; devi afferrare tutte le gioie che la vita ti regala, pensa al presente perché con la morte tutto finisce". Cosi molte creature non trovano il tempo per riflettere verità rivelate da Dio cosi si incamminano sulla via della superficialità e del peccato. Queste creature immerse nel divertimento catturati dalle varie brame non sospettano minimamente di essere caduti nella rete diabolica tuttavia se ne accorgeranno quando ormai non potranno più porvi rimedio, quando si sarà aperta la porta dell’eternità.

L’insidia dell’egoismo con lo Spreco dei beni

"C’era un uomo ricco, che portava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti... Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti". (Lc 16,19). Il ricco epulone del racconto durante la vita aveva sperperato e peccato di gola, facendo del piacere la ragione della sua vita e ancor più si era ostinatamente reso insensibile ai bisogni del povero Lazzaro. L’egoismo gli aveva soffocato ogni barlume di carità e l’avarizia gli attanagliava la mente. Ora era nei tormenti dell’inferno.
Tremino dunque gli egoisti e certi ricchi che non vogliono esercitare la carità: anche a loro, se non cambieranno la vita, è riservata la sorte del ricco epulone.



L’impurità

Il peccato che più frequentemente porta all'inferno è l'impurità, è la via privilegiata di Satana. Dice Sant'Alfonso: "Si va all'inferno anche solo per questo peccato, o comunque non senza di esso".

Gesù ci ha detto: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5, 8). Senza l’aiuto di Dio l’uomo non è in grado di vincere le tentazioni, di trovare la via della salvezza. Le impurità portano al vizio, indeboliscono la volontà, attaccano la fede e senza la fede minano la preghiera e abbattono la via del bene lasciando la creatura in balia del male.
Questo vizio indurisce il cuore e, senza una grazia speciale, trascina all'impenitenza finale e... all'inferno.



Il sacrilegio

Un peccato che può condurre alla dannazione eterna è il sacrilegio. Disgraziato colui che si mette su questa strada! Commette sacrilegio chi volontariamente nasconde in Confessione qualche peccato mortale, oppure si confessa senza la volontà di lasciare il peccato o di fuggirne le occasioni prossime. Quasi sempre chi si confessa in modo sacrilego compie anche il sacrilegio eucaristico, perché poi riceve la Comunione in peccato mortale.

Racconta San Giovanni Bosco... "Mi trovai con la mia guida (l'Angelo custode) in fondo a un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso con una porta altissima che era chiusa. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva; un fumo grasso, quasi verde e guizzi di fiamme sanguigne si innalzavano sui muraglioni dell'edificio.
Domandai: "Dove ci troviamo?". "Leggi l’iscrizione che c'è sulla porta", mi rispose la guida. Guardai e vidi scritto: "Ubi non est redemptio!", cioè: "Dove non c'è redenzione!" Intanto vidi precipitare dentro quel baratro... prima un giovane, poi un altro e poi altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato.
Mi disse la guida: "Ecco la causa prevalente di queste dannazioni: i compagni cattivi, i libri cattivi e le perverse abitudini".

Quei poveri ragazzi erano giovani che io conoscevo.
Domandai alla mia guida: "Ma dunque è inutile lavorare tra i giovani se poi tanti fanno questa fine! Come impedire tutta questa rovina?" – "Quelli che hai visto sono ancora in vita; questo però è lo stato attuale delle loro anime, se morissero in questo momento verrebbero senz'altro qui!" disse l'Angelo.
Dopo entrammo nell'edificio; si correva con la velocità di un baleno. Sboccammo in un vasto e tetro cortile. Lessi questa iscrizione: "Ibunt impii in ignem aeternum!", cioè: "Gli empi andranno nel fuoco eterno".
"Vieni con me" soggiunse la guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti a uno sportello che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie di caverna, immensa e piena di un fuoco terrificante, che sorpassava di molto il fuoco della terra. Questa spelonca non ve la posso descrivere, con parole umane, in tutta la sua spaventosa realtà.
All'improvviso cominciai a vedere dei giovani che cadevano nella caverna ardente. La guida mi disse: "impurità è la causa della rovina eterna di tanti giovani".
- Ma se hanno peccato si sono poi anche confessati.
- Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o del tutto taciute. Ad esempio, uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne ha detto solo due o tre. Ve ne sono alcuni che ne hanno commesso uno nella fanciullezza e per vergogna non hanno mai confessato o l'hanno confessato male. Altri non hanno avuto il dolore e il proposito di cambiare. Qualcuno invece di fare l'esame di coscienza cercava le parole adatte per ingannare il confessore. E chi muore in questo stato, decide di collocarsi tra i colpevoli non pentiti e tale resterà per tutta l'eternità. Ed ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio ti ha portato qui? - La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo oratorio che conoscevo bene: tutti condannati per questa colpa. Fra questi ce n'erano alcuni che in apparenza avevano una buona condotta.
La guida mi disse ancora: "Predica sempre e ovunque contro l’impurità". Poi parlammo per circa mezz'ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: "Bisogna cambiar vita... Bisogna cambiar vita".

Scrive il Padre Francesco Rivignez (l'episodio è riportato anche da Sant'Alfonso) che in Inghilterra, quando c'era la religione cattolica, il re Anguberto aveva una figlia di rara bellezza che era stata chiesta in sposa da diversi principi.
Interrogata dal padre se accettasse di sposarsi, rispose che non poteva perché aveva fatto il voto di perpetua verginità.
Il padre ottenne dal Papa la dispensa, ma lei rimase ferma nel suo proposito di non servirsene e di vivere ritirata in casa. Il padre l'accontentò.
Cominciò a fare una vita santa: preghiere, digiuni e varie altre penitenze; riceveva i Sacramenti e andava spesso a servire gli infermi in un ospedale. In tale stato di vita si ammalò e morì.

Una donna che era stata sua educatrice, trovandosi una notte in preghiera, sentì nella stanza un gran fracasso e subito dopo vide un'anima con l'aspetto di donna in mezzo a un gran fuoco e incatenata tra molti demoni...
- lo sono l'infelice figlia del re Anguberto. - Ma come, tu dannata con una vita così santa?
- Giustamente sono dannata, ...per colpa mia. Da bambina io caddi in un peccato contro la purezza. Andai a confessarmi, ma la vergogna mi chiuse la bocca: invece di accusare umilmente il mio peccato, lo coprii in modo che il confessore non capisse nulla. Il sacrilegio si è ripetuto molte volte. Sul letto di morte io dissi al confessore, vagamente, che ero stata una grande peccatrice, ma il confessore, ignorando il vero stato della mia anima, mi impose di scacciare questo pensiero come una tentazione. Poco dopo spirai e fui condannata per tutta l’eternità alle fiamme dell’inferno.
Detto questo disparve, ma con così tanto strepitio che sembrava trascinasse il mondo e lasciando in quella camera un odore ributtante che durò parecchi giorni.



Matrimoni irregolari

Dio perdona qualunque colpa, purché ci sia il vero pentimento e cioè la volontà di mettere fine ai propri peccati e di cambiare vita. Fra mille matrimoni irregolari (divorziati risposati, conviventi) forse solo qualcuno sfuggirà all'inferno, perché normalmente non si pentono neanche in punto di morte. Purtroppo, molti ormai ragionano come vuole il mondo e non più come vuole Dio.

Pene Eterne

Tratto da: "De Civitatis Dei" di Sant Agostino


Qualità delle pene eterne

Si compirà dunque integralmente quello che Dio ha annunziato per il suo profeto a proposito dell’eterno supplizio dei dannati: "Il loro verme non morrà e il loro fuoco non si estinguerà" (cfr Rom 11,17-24)... "Chi c’è che subisce scandalo senza che io ne arda?" (2Cor 11,29)... sta scritto "Come la tarma rode il vestito e il tarlo il legno, così la tristezza rode il cuore dell’uomo" (Prov 25,20). Si legge infatti nelle Scritture dell’Antico Testamento: "Il fuoco e il verme puniranno la carne dell’empio" (Eccl 7,17). Forse la Sacra Scrittura volle dire che puniranno la carne, perché nell’uomo sarà punita la colpa di essere vissuto secondo la carne, e perciò subirà la morte seconda significata dall’Apostolo quando disse: "Se vivrete secondo la carne morirete" (Rom 8,13).



Può il fuoco della Geenna, se è corporale, bruciare gli spiriti maligni che sono incorporei?

Se il fuoco non sarà incorporeo come lo è il dolore dell’anima, ma corporeo, funesto al tatto in modo da poter torturare i corpi, come potrà servire da pene anche per gli spiriti maligni? Il medesimo fuoco infatti sarà assegnato come supplizio agli uomini e ai diavoli perché il Cristo ha detto: "Via da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per gli angeli suoi" (Mt 25,41).
Direi, senz’altro che questi spiriti bruceranno senza alcun corpo, così come bruciava nell’inferno quel ricco quando esclamava: "Brucio in questa fiamma" (Lc 16,24)... Quella Geenna, chiamata anche "Stagno di zolfo e fuoco", (Ap 20,10) sarà un fuoco corporeo e tormenterà i corpi dei dannati, sia i corpi solidi degli uomini sia quelli aerei dei demoni... Unico infatti sarà il fuoco per gli uni e per gli altri, come ha detto la stessa Verità. (Cfr Mt 25,41).



La giustizia esige pene proporzionate alla malizia, non alla durata del peccato.

Alcuni ritengono ingiusto che a causa dei peccati, per quanto gravi, commessi in un tempo relativamente breve, l’uomo sia condannato a una pena eterna; come se la giustizia delle leggi dovesse esigere che ognuno sia punito in un tempo proporzionato a quello impiegato nel commettere il peccato...
Si giudicherà forse che uno debba stare tanto tempo in prigione quanto ne impiegò a commettere il delitto per cui viene imprigionato? E non vi fu mai nessuno che ritenesse che i tormenti dei colpevoli dovessero durare quel medesimo spazio di tempo impiegato da essi a commettere un omicidio, un adulterio, un sacrilegio o qualsiasi altro delitto, che deve invece essere punito, non in base alla durata del tempo in cui è stato commesso, ma in base alla gravità dell’azione.
Ora, se gli uomini vengono esclusi da questa città mortale con il supplizio della prima morte, è giusto che vengano esclusi dalla città eterna con il supplizio della seconda morte. E come le leggi di questa città non possono far sì che una persona uccisa ritorni, così neppure le leggi di quell’altra città possono permettere che un condannato alla seconda morte sia richiamato alla vita eterna.



Gravità per la quale è dovuta una pena eterna.

La pena eterna sembra dura e ingiusta al sentimento umano, perché nella miseria di questa vita mortale ci manca quel senso di pura e alta sapienza che ci fa comprendere la gravità del peccato commesso in quella prima prevaricazione. Così nessuno sfugge questo giusto e meritato castigo, se non per misericordia e grazia non dovuta; e il genere umano è diviso in modo da apparire quanto possa in alcuni la grazia misericordiosa e quanto negli altri la giusta vendetta. Forse i dannati saranno più numerosi dei beati, affinché, in tal modo, sia chiaro ciò che tutti avremmo meritato.



Alcuni credono che nessuna pena sarà eterna.

Alcuni non ammettono che vi sarà una pena eterna per coloro che il giustissimo giudice giudicherà degni del supplizio della geenna; ma ritengono che costoro saranno liberati dopo un certo tempo, più o meno lungo, secondo la gravità dei loro peccati.
Il più misericordioso a questo proposito fu Origene il quale ha creduto che persino il diavolo ed i suoi angeli, dopo gravi e lunghi supplizi proporzionati ai loro peccati, saranno liberati da quelle pene e associati agli angeli santi. (Origine, per i suoi errori dottrinali fu condannato dalla Chiesa).

Dobbiamo anzitutto chiederci perché la Chiesa non ha potuto accettare l’opinione di coloro che promettono la purificazione e il perdono anche del diavolo, sia pure dopo lunghe e gravi pene.
Si deve credere che non può essere annullata né infirmata la sentenza che il Signore stesso dichiarò di proferire nel giudizio: "Via da me maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per gli angeli suoi" (Mt 25,41). Con queste parole dimostrò che il diavolo e i suoi angeli arderanno nel fuoco eterno. Né può essere annullato ciò che è scritto nell’Apocalisse: "Il diavolo che li seduceva fu precipitato nello stagno del fuoco e dello zolfo, dove erano stati precipitati anche la bestia e il falso profeta; e furono tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli" (Ap 20,9-10).
Nel primo passo si ha eterno, nel secondo, per i secoli dei secoli: due espressioni che nella divina scrittura significano senza fine.

Gesù disse "Così questi andranno all’eterno supplizio, e i giusti alla vita eterna", perciò dire che la vita eterna sarà senza fine e il supplizio eterno avrà fine è assurdo. Perciò, siccome la vita eterna dei santi sarà senza fine, anche il supplizio eterno, per quelli che vi cadranno, sarà certamente senza fine.

I Quattro Tormenti

Da: "Dialogo della Divina Provvidenza" di Santa Caterina da Siena

Lingua umana non basta, figlia mia, a narrare la pena di queste anime miserande. Se tre sono i principali vizi - cioè l'amore di sé onde nasce il secondo, ossia la considerazione di se stessi, dal quale procede il terzo, che è la superbia accompagnata da falsa giustizia e crudeltà, con gli altri iniqui e immondi peccati che conseguono a questi - così ti dico che nell'inferno vi sono quattro tormenti principali, ai quali conseguono tutti gli altri.

Il primo tormento consiste nel fatto che essi si vedono privati della mia visione; cosa che è di tanta sofferenza che, se fosse loro possibile, sceglierebbero piuttosto di vedermi, anche stando nel fuoco e tra i più crudi tormenti, piuttosto che esser privi d'ogni pena senza vedermi. Questa prima pena produce in loro la seconda, quella del verme della coscienza che sempre li rode, poiché per loro colpa si vedono privati di me e della conversazione con gli angeli, e per di più si vedono divenuti degni della conversazione con i demoni e della loro visione.

II vedere poi il diavolo, che è la terza pena, moltiplica ogni loro sofferenza. Se infatti i santi sempre esultano nella mia visione ripensando con gaudio al frutto dei sacrifici che hanno sopportato per me con grandissimo amore e disprezzo di sé, il contrario è di questi sventurati, che nella visione dei demoni acuiscono il proprio tormento: nel vedere i demoni riconoscono se stessi, cioè capiscono che per propria colpa se ne son resi degni. In tal modo il tarlo della coscienza ancor più li rode e mai ha tregua il fuoco bruciante di questa consapevolezza". (cfr Isaia 66,24)

Pena ancor più grande deriva loro dal vedere la figura stessa del demonio, tanto orribile che non v'è cuore umano che possa figurarsela. Se ben ricordi, infatti, saprai che, avendoti Io mostrato il demonio nella sua forma, e per un piccolo spazio di tempo - quasi un punto! - tu, dopo esser tornata in te, hai scelto, piuttosto, di camminare lungo una strada lastricata di fuoco, durasse pure sino al giorno del giudizio, disposta a calpestare il fuoco coi tuoi piedi, piuttosto che vederlo ancora. Ma quantunque tu l’abbia visto, ancora non sai quanto egli sia orribile, perché, per divina giustizia, egli si mostra ancor più repellente all'anima che si è privata di me, e in modo più o meno grave a seconda della gravità delle colpe commesse.

E il quarto tormento è il fuoco. È un fuoco che brucia ma non consuma l'anima; questa non si può consumare, non essendo cosa materiale che il fuoco possa ridurre a niente, dal momento che è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso che il fuoco la bruci tormentosamente, la tormenti e non la consumi, e la tormenti e bruci con grandissime sofferenze, in modi diversi a seconda della gravità dei peccati, chi più chi meno, secondo il peso delle colpe.

Da questi quattro tormenti derivano tutti gli altri, con freddo e caldo e strider di denti. Ecco in che modo miserabile hanno ricevuta la morte eterna, dopo i rimproveri loro rivolti in vita per il falso giudizio e per l'ingiustizia, non essendosi corretti in occasione di questa prima accusa, come ho detto, né della seconda, cioè in punto di morte quando non vollero sperare, né dolendosi dell'offesa fatta a me ma affliggendosi soltanto per la propria pena.

Le Pene dei Dannati

La pena del danno

Gesù chiama gli abissi eterni: "Luogo di tormento" (Lc 16, 28). San Tommaso d'Acquino definisce la pena del danno come la "Privazione del Sommo Bene", cioè di Dio.
Quando un'anima entra nell'eternità, avendo lasciato nel mondo tutto ciò che aveva ed amava e conoscendo Dio così com'è nella sua infinita bellezza e perfezione, si sente fortemente attratta ad unirsi a Lui, più che il ferro verso una potente calamità. Riconosce allora che l'unico oggetto del vero amore è il Sommo Bene, Dio, l'Onnipotente.
Ma se un’anima disgraziatamente lascia questa terra in uno stato di inimicizia verso Dio, si sentirà respinta dal Creatore: "Via, lontano da me, maledetta! nel fuoco eterno! preparato per il diavolo e per i suoi angeli!" (Mt 25, 41 ).
Aver conosciuto il Supremo Amore... sentire il bisogno impellente di amarlo e di essere riamati da Lui... e sentirsene respinti... per tutta l'eternità, questo è il primo e più atroce tormento per tutti i dannati.



La pena dell’amore Impedito

Chi non conosce la potenza dell'amore umano e gli eccessi a cui può giungere quando sorge qualche ostacolo?
Che cos'è l'amore umano in confronto all'Amore divino...?
Che cosa non farebbe un'anima dannata pur di arrivare a possedere Dio...?
Pensando che per tutta l'eternità non potrà amarLo, vorrebbe non essere mai esistita o sprofondare nel nulla, se fosse possibile, ma essendo questo impossibile sprofonda nella disperazione.
Ognuno può farsi una sua pur debole idea della pena di un dannato che si separa da Dio, considerando ciò che prova il cuore umano alla perdita di una persona cara. Ma queste pene, che sulla terra sono le sofferenze più grandi tra tutte quelle che possono straziare il cuore umano, sono ben poca cosa davanti alla pena disperata dei dannati.
La perdita di Dio, dunque, è il più grande dolore che tormenta i dannati.
- San Giovanni Crisostomo dice: "Se tu dirai mille inferni, non avrai ancora detto nulla che possa uguagliare la perdita di Dio".
- Sant'Agostino insegna: "Se i dannati godessero la vista di Dio non sentirebbero i loro tormenti e lo stesso inferno si cambierebbe in paradiso".
- San Brunone, parlando del giudizio universale, nel suo libro dei "Sermoni" scrive: "Si aggiungano pure tormenti a tormenti e tutto è nulla davanti alla privazione di Dio".
- Sant'Alfonso precisa: "Se udissimo un dannato piangere e gli chiedessimo "Perché piangi tanto?", ci sentiremmo rispondere: "Piango perché ho perduto Dio!". Almeno il dannato potesse amare il suo Dio e rassegnarsi alla sua volontà! Ma non può farlo. È costretto a odiare il suo Creatore nello stesso tempo che lo riconosce degno di infinito amore".
- Santa Caterina da Genova quando le apparve il demonio lo interrogò: "Tu chi sei?" - "lo sono quel perfido che si è privato dell'amore di Dio!".



La pena del tormento e del rimorso

Parlando dei dannati, Gesù dice: "il loro verme non muore" (Mc 9, 48). Questo "verme che non muore", spiega San Tommaso, è il rimorso, dal quale il dannato sarà in eterno tormentato. Mentre il dannato sta nel luogo dei tormenti pensa: "Mi sono perduto per niente, per godere appena piccole e false gioie nella vita terrena che è svanita in un lampo... Avrei potuto salvarmi con tanta facilità e invece mi sono dannato per niente, per sempre e per colpa mia!". Nel libro "Apparecchio alla morte" si legge che a Sant'Umberto apparve un defunto che si trovava all'inferno; questi affermò: "il terribile dolore che continuamente mi rode è il pensiero del poco per cui mi sono dannato e del poco che avrei dovuto fare per andare in paradiso!".



La pena del senso

Si legge nella Bibbia: "Con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato" (Sap 11, 10). Quanto più dunque uno avrà offeso Dio con un senso, tanto più sarà tormentato in esso. La più terribile pena del senso è quella del fuoco, di cui ci ha parlato più volte Gesù.
Dice Sant'Agostino: "A confronto del fuoco dell’inferno il fuoco che conosciamo noi è come se fosse dipinto". La ragione è che il fuoco terreno Dio l'ha voluto per il bene dell'uomo, quello dell'inferno, invece, l'ha creato per punire le sue colpe.
Il dannato è circondato dal fuoco, anzi, è immerso in esso più che il pesce nell'acqua; sente il tormento delle fiamme e come il ricco epulone della parabola evangelica urla: "perché spasimo dal dolore in questa fiamma" (Lc 16, 24).
Parlando a chi vive incoscientemente nel peccato senza porsi il problema della finale resa dei conti, San Pier Damiani scrive: "Continua, pazzo, ad accontentare la tua carne; verrà un giorno in cui i tuoi peccati diventeranno come pece nelle tue viscere che farà più tormentosa la fiamma che ti divorerà in eterno!".
La pena del fuoco comporta anche la sete. Quale tormento la sete ardente in questo mondo! E quanto più grande sarà lo stesso tormento all'inferno, come testimonia il ricco epulone nella parabola narrata da Gesù! Una sete inestinguibile.



Il grado della pena

Dio è infinitamente giusto per questo all'inferno da pene maggiori a chi l'ha offeso di più. Chi è nel fuoco eterno per un solo peccato mortale soffre orribilmente per quest'unica colpa; chi è dannato per cento, o mille... peccati mortali soffre cento, o mille volte... di più. Più legna si mette nel forno, più aumenta la fiamma e il calore. Perciò chi, inabissato nel vizio, calpesta la legge di Dio moltiplicando ogni giorno le sue colpe, se non si rimette in grazia di Dio e muore nel peccato, avrà un inferno più tormentoso di altri.

Per chi soffre è un sollievo pensare: "Un giorno finiranno queste mie sofferenze".
Il dannato, invece, non trova alcun sollievo, anzi, il pensiero che i suoi tormenti non avranno fine è come un macigno che rende più atroce ogni altro dolore.
Non è un'opinione, ma è verità di fede, rivelata direttamente da Dio, che il castigo dei dannati non avrà mai fine. Ricordo soltanto quanto ho già citato delle parole di Gesù: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25, 41 ).
Sant'Alfonso scrive: "Quale pazzia sarebbe quella di chi, per godersi una giornata di spasso, accettasse la condanna di star chiuso in una fossa per venti o trent'anni! Se l'inferno durasse cento anni, o anche solo due o tre anni, pure sarebbe una grande pazzia per un attimo di piacere condannarsi a due o tre anni di fuoco. Ma qui non si tratta di cento o di mille anni, si tratta dell'eternità, e cioè di patire per sempre gli stessi atroci tormenti che non avranno mai fine.

Dice San Tommaso - la pena non si misura secondo la durata della colpa, ma secondo la qualità del delitto. L'omicidio, anche se si commette in un momento, non viene punito con una pena momentanea.
Dice San Bernardino da Siena: Con ogni peccato mortale si fa a Dio un'ingiustizia infinita, essendo Egli infinito; e a un’ingiuria infinita spetta una pena infinita.



La pena del tormento del corpo

La risurrezione dei corpi avverrà certamente e Gesù stesso che ci assicura di questa verità. "Non vi meravigliate di questo, perché viene l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la mia voce, e quelli che hanno operato il bene ne usciranno per la risurrezione della vita; quelli, invece, che fecero del male, per la risurrezione della condanna." (Gv 5, 28-29). Quindi anche il corpo, essendo stato strumento di male durante la vita, prenderà parte ai tormenti eterni.

Dopo la risurrezione tutti i corpi saranno immortali e incorruttibili. Non tutti però saremo trasformati allo stesso modo. La trasformazione del corpo dipenderà dallo stato e dalle condizioni in cui si troverà l'anima nell'eternità: saranno gloriosi i corpi dei salvati e orrendi i corpi dei dannati.

Per cui se l'anima si troverà in paradiso, in stato di beatitudine, rifletterà nel suo corpo risorto le caratteristiche proprie dei corpi degli eletti: la spiritualità, l'agilità, lo splendore e l'incorruttibilità.
Se invece l'anima si troverà all'inferno, nello stato di dannazione, imprimerà nel suo corpo caratteristiche del tutto opposte. L'unica proprietà che il corpo dei dannati avrà in comune col corpo dei beati è l'incorruttibilità: anche i corpi dei dannati non saranno più soggetti alla morte.

Riflettano molto coloro che vivono nell'idolatria del loro corpo e lo appagano in tutte le sue brame scellerate! I piaceri immorali del corpo saranno ripagati con molti tormenti per tutta l'eternità.

Il Giudizio Divino e la Punizione dei Peccatori


 

Tratto da: "L’Imitazione di Cristo"

In ogni cosa tieni l'occhio fisso al termine finale; tieni l'occhio a come comparirai dinanzi al giudice supremo; al giudice che vede tutto, non si lascia placare con doni, non accetta scuse, e giudica secondo giustizia (cfr. Is 11,4).
Oh! sciagurato e stolto peccatore, come potrai rispondere a Dio, il quale conosce tutto il male che hai fatto; tu che tremi talvolta alla vista del solo volto adirato di un uomo? Perché non pensi a quel che avverrà di te nel giorno del giudizio, quando nessuno potrà essere scagionato e difeso da altri, e ciascuno costituirà per se stolto e disprezzato per amore di Cristo.

In quel giorno sarà cara ogni tribolazione che sia stata sofferta pazientemente, e «ogni iniquità chiuderà la sua bocca» (Sal 106, 42); l'uomo pio sarà nella gioia, mentre sarà nel dolore chi è vissuto senza fede.
In quel giorno il corpo tribolato godrà piú che se fosse stato nutrito di delizie; risplenderà la veste grossolana e quella fine sarà oscurata; una miserabile dimora sarà piú ammirata di un palazzo dorato.
In quel giorno una pazienza che non sia venuta mai meno, gioverà piú che tutta la potenza della terra; la schietta obbedienza sarà glorificata piú che tutta l'astuzia del mondo.
In quel giorno la pura e retta coscienza darà piú gioia che la erudita dottrina; il disprezzo delle ricchezze varrà di piú che i tesori di tutti gli uomini.

In quel giorno avrai maggior gioia da una fervente preghiera che da un pranzo prelibato; trarrai piú gioia dal silenzio che avrai mantenuto, che da un lungo parlare.
In quel giorno le opere buone varranno di piú che le molte parole; una vita rigorosa e una dura penitenza ti saranno piú care di ogni piacere di questa terra.

Impara a patire un poco adesso, affinché allora tu possa essere liberato da patimenti maggiori. Prova te stesso prima, quaggiú, per sapere di che cosa sarai capace allora. Se adesso sai cosi poco patire, come potrai sopportare i tormenti eterni? Se adesso un piccolo patimento ti rende così incapace di sopportazione, come ti renderà la geenna?
Ecco, in verità, non le puoi avere tutte e due, queste gioie: godere in questa vita e poi regnare con Cristo. Che ti gioverebbe, se, fino ad oggi, tu fossi sempre vissuto tra gli onori e i piaceri, e ora ti accadesse di morire improvvisamente?
Tutto, dunque, è vanità, fuorché amare Iddio e servire a Lui solo. E perciò, colui che ama Dio con tutto il suo cuore non ha paura né della morte, né della condanna, né del giudizio, né dell'inferno. Un amore perfetto porta con tutta sicurezza a Dio; chi invece continua ad amare il peccato ha paura e — ciò non fa meraviglia — della morte e del giudizio.
Se poi non hai ancora amore bastante per star lontano dal male, è bene che almeno la paura dell'inferno ti trattenga; in effetti, chi non tiene nel giusto conto il timore di Dio non riuscirà a mantenersi a lungo nella via del bene, ma cadrà ben presto nei lacci del diavolo.

Inferno

L’inferno è una verità?

L’inferno è una di quelle verità che oggi vengono sottese o date per scontate, che sono "chiacchierate" ma non prese sul serio, lasciate ancora in quel tratto della teologia dove c’è esposto il cartello "lavori in corso".

Non ci sfiora neppure la mente né proviamo timore di essere scacciati dal regno di Dio per essere gettati dagli Angeli nell’inferno, anzi abbiamo la convinzione che sia l’invenzione di un retaggio ormai sorpassato. Così la realtà tragica della condanna eterna descritta nei Vangeli si è trasformata sino a divenire una favola per adulti.



L’inferno esiste? Ecco le prove della ragione

Giustizia deriva dal latino iustitia che a sua volta deriva da iustus "giusto" e questo da ius, diritto, ragione. L’ideale di giustizia, in ciascuno di noi, si fonda sul concetto di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto. Pur con tutti i limiti di una giustizia che inevitabilmente si discosta dal nostro concetto ideale, la giustizia impone la condanna per coloro che violano la legge, ossia prevede il castigo per coloro che hanno commesso un reato.

D’altra parte in quasi tutti i campi dell’attività umana tanto per citare la scuola, i voti sono relativi alla preparazione dello studente, alti per gli studenti bravi e brutti per gli studenti non volenterosi. Se dunque noi che siamo imperfetti prevediamo la possibilità del premio o del castigo, tanto più Colui che dovrebbe applicare la giustizia perfetta per l’uomo dovrà dare secondo equità.

Come è possibile immaginare una Giustizia divina protesa a premiare gli assassini, gli immorali, i sacrileghi, gli empi e gli iniqui? Per tutti coloro che hanno calpestato ogni sentimento, ogni pietà e si sono nutriti dell’ingiustizia pur di soddisfare ogni loro brama, in nome di che cosa dovrebbero meritare il gaudio e la gioia eterna? Forse di un pentimento che non si è nemmeno affacciato nelle loro coscienze. Forse in nome di una Misericordia divina che è stata intesa come pretesto ad ogni illecito. Questa è la giustizia divina pensata addirittura inferiore a quella umana? In realtà la Misericordia di Dio non può scontrarsi con la Sua perfetta Giustizia e tanto meno distruggerla. La Misericordia per poter concedere il perdono pretende il pentimento.



Le prove della rivelazione

Dio ha voluto svelare all’uomo cose a lui misteriose. Nel Vangelo Gesù ha più volte ammonito con parole che non ammettono alcun fraintendimento, che arriverà nel tempo stabilito il giorno del Giudizio ed a ognuno sarà dato secondo giustizia; il premio per i buoni e il castigo per i malvagi. Che non sia facile percorrere la via del bene è lo stesso Gesù a svelarcelo. "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanta stretta è la porta e angustia la via che conduce alla vita, e sono pochi quelli che la trovano!" (Mt 7,13-14). In quel tempo gli Ebrei credevano di aver diritto al Paradiso soltanto perché erano discendenti di Abramo, Gesù in un modo molto efficace li ammonisce: "Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 8,11). Gesù instancabilmente ci esorta ad impegnarci in quanto "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21).

Questo impegno deve portare inevitabilmente molti frutti altrimenti "Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco" (Mt 3,10). Sovente Gesù ribadisce il concetto della solerzia verso le cose di Dio: "Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano" (Gv 15,6). Il fuoco come castigo ricorre anche per gli operatori di scandali: "Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è bene per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geèna, nel fuoco inestinguibile" (Mr 10,43). La Geenna, o la Valle dell’Hinnom, era un luogo vicino a Gerusalemme dove si bruciavano le immondizie, ma anche il luogo dove al tempo del dominio cananeo venivano eseguiti sacrifici di bambini tramite roghi e che valeva come luogo di giudizio divino. Per coloro che non credono nell’esistenza dell’inferno attraverso la parola rivelata, ci sarà ancora qualche speranza di ripensamento? Gesù stesso ci risponde attraverso la parabola del ricco epulone: "Allora, Padre ti prego di mandare Lazzaro a casa da mio padre, perché ho cinque fratelli. Li metta in guardia, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se fra i morti qualcuno andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti" (Lc 17,27-30).

Come avverrà il Giudizio è Gesù stesso a rivelarcelo: "Quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, sederà sul trono della sua gloria […] Egli separerà gli uni dagli altri […] venite benedetti del Padre mio, riceverete in eredità il regno […] Poi dirò anche a quelli che saranno alla mia sinistra: via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli […] e se ne andranno: questi al supplizio eterno" (Mt 25,31-46).

Chi saranno i maledetti? "I maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna" (Ap 22,14).
Ecco, io vengo presto e ho con me il salario per rendere a ciascuno le sue opere.

La prova più forte dell’esistenza dell’inferno è data proprio dalle parole di Gesù. Dubitare o negare di questa tremenda verità sarebbe come distruggere il Vangelo, dubitare dell’esistenza della luce del sole.

La "dannazione" non va attribuita ad un progetto di Dio, perché nel suo amore, egli desidera la salvezza degli uomini, in realtà sono le creature che si chiudono al suo amore. La "dannazione" in sintesi consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo, la sentenza dopo la morte ratifica proprio questo stato.

La dannazione è una realtà possibile e il pensiero dell’inferno deve rappresentare un necessario monito alla libertà di peccare.

La logica del peccato è l'Inferno. Se il peccatore permane nel peccato, se prova rimorso ma questo non si trasforma in pentimento, la Misericordia Divina non può intervenire, perché Dio non può perdonare una volontà che in nessun caso mai si pente, che mai gli chiede perdono, che sempre gli è ribelle. Sarebbe paradossale pretendere da Dio il dono della vista dopo essersi strappati gli occhi e non voler ricorrere al Suo aiuto.

Paradossalmente la riflessione sull’inferno ci mette comunque di fronte alla nostra responsabilità in modo molto efficace e ci fa recepire che la nostra scelta del bene è veramente il "caso serio" da non poter eludere e tanto meno da snobbare.

Di seguito potrai comprendere meglio su quale fondamento si basa la tremenda verità dell’inferno, le pene e i tormenti dei dannati, attraverso le argomentazioni e le visioni di Santi tra i quali Veronica Giuliani, Teresa D’Avila, Faustina Kowalska, Emmerick, Alfonso, Agostino, per comprendere questo luogo infelice e a prendere sul serio la possibilità reale di poter sprofondare in quel luogo di tormento ed essere infelici per sempre.


I primi cristiani e il Purgatorio


 

Cosa pensavano i primi cristiani

La risposta va cercata nelle tracce che la storia ci ha lasciato. Il primo esempio è tratto dal diario di una grande martire cristiana, di nome Perpetua, che fu uccisa a Cartagine, in Africa, il 7 marzo dell’anno 203 insieme ad altri cinque cristiani: Felicita, Revocato, Saturnino, Secundolo e il loro catechista Saturo. Siamo nell’anno 203, all’inizio del terzo secolo dopo Cristo.

Perpetua e i suoi compagni, fratelli nella fede, furono prima feriti gravemente da belve feroci e poi finiti con un colpo di grazia, passati a fil di spada.

Perpetua, mentre è in prigione, ha una duplice visione. Nella prima visione vede suo fratello Dinocrate, "morto a sette anni per un cancro che gli aveva devastato la faccia" al punto che, scrive Perpetua "la sua morte aveva fatto inorridire tutti". Nella prima visione, Perpetua vede suo fratellino uscire "da un luogo tenebroso dove vi era molta altra gente; era accaldato e assetato, sudicio e pallido. Il volto era sfigurato dalla piaga che l’aveva ucciso". E ancora, in questa prima visione, Perpetua vede suo fratello che tenta senza riuscirci di abbeverarsi ad una piscina e capisce che Dinocrate sta soffrendo. Non riesce ad abbeverarsi e questo era per lui motivo di grande sofferenza.

Perpetua prega per l’anima di suo fratello defunto. Il Signore ascolta le sue preghiere e in una seconda visione, Perpetua vede Dinocrate perfettamente guarito, in grado di abbeverarsi, capace di giocare come fanno tutti i bambini. Interpretando questa seconda visione, Perpetua scrive nel suo diario: "Mi svegliai e compresi che la pena (del Purgatorio) gli era stata rimessa".

Nel terzo secolo dopo Cristo i cristiani credevano pacificatamene all’esistenza del Purgatorio, come dimostra il diario della martire Perpetua.

Basta questo documento per smantellare l’accusa che il Purgatorio sarebbe stato inventato dalla Chiesa cattolica nel Medioevo.

Nella documentazione storica si colloca il notissimo epitaffio di Abercio. In questo epitaffio leggiamo: "Queste cose dettai direttamente io, Abercio, quando avevo precisamente settantadue anni di età. Vedendole e comprendendole, preghi per Abercio." Abercio era un cristiano, probabilmente vescovo di Ierapoli, in Asia Minore il quale, prima di morire, compose di propria mano il suo epitaffio, vale a dire l’iscrizione per la sua tomba. Si può facilmente comprendere come la Chiesa primitiva, la Chiesa dei primi secoli, credeva al Purgatorio e alla necessità di pregare per le anime dei defunti.

Un’altra preziosa testimonianza ci giunge da Tertulliano (ca 155 – ca 222).

Nel suo De Corona, Tertulliano scrive: "Nel giorno anniversario facciamo preghiere per i defunti". Nel suo De monogamia, scrive: "La moglie sopravvissuta al marito offre preghiere per la gioia di suo marito nei giorni anniversari della sua morte", dove si intende bene che la moglie prega perché l’anima del defunto giunga presto alla gioia del Paradiso.

Sant’Agostino attesta la fermissima fede della Chiesa dei primi secoli nella esistenza del Purgatorio. Scrive: "Non si può negare che le anime dei defunti possono essere aiutate dalla pietà dei loro cari ancora in vita, quando è offerto per loro il sacrificio del Mediatore (qui sant’Agostino sta parlando del sacrificio della Santa Messa), oppure mediante elemosine" (De fide, spe, et caritate).

Scrive sant’Efrem nel suo testamento: "Nel trigesimo della mia morte ricordatevi di me, fratelli, nella preghiera. I morti infatti ricevono aiuto dalla preghiera fatta dai vivi" (Testamentum). San Girolamo (ca 347 – 419 o 420) attesta che gli scritti di sant’Efrem erano letti pubblicamente in Chiesa, dopo la Sacra Bibbia.

Fondamento Biblico

Dalle Sacre Scritture Bibliche

La dottrina della Chiesa sul Purgatorio trova fondamento nella Bibbia, quando questa si sa interpretare correttamente:

Il testo 2 Maccabei 12, 43-46 presuppone che esiste una purificazione dopo la morte.

(Giuda Maccabeo) effettuò tra i suoi soldati una colletta... al fine che gli si offrisse un sacrificio per il peccato... perché... credevano con fermezza in una preziosa ricompensa per quelli che muoiono in grazia di Dio... offri questo sacrificio per i morti; affinché fossero perdonati del loro peccato.

Ugualmente le parole del nostro Signore:

A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro. (Mt 12,32).

Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esecutore e questi ti getti in prigione. Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo. (Lc 12,58-58).

In questi passaggi Gesù fa riferimento ad un castigo temporale che non può essere l'inferno e nemmeno il cielo.

Si arriva a una conclusione simile nella lettera di San Paolo:

Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. (1 Corinzi 3,11-13)

Di modo che ha un fuoco dopo la morte che, differente dall'inferno, è temporale. L'anima che per lì passa si salverà. Questo stato di purgazione lo chiamiamo "Purgatorio".

Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per i morti? (1Corinzi 15,29)

La parola "battesimo" è utilizzata qui come una metafora per esprimere sofferenza o penitenza;

- Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete». (Mc 10, 39-40);

- Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». (Lc 3, 16);

Teologia sul Purgatorio

Nota teologica sul Purgatorio

In un primo tempo, attraverso la sua intercessione per i morti, la Chiesa manifesta chiaramente fin dalle sue origini la sua fede nel Purgatorio. Poi, con una saggia lentezza, essa definirà la sua dottrina specialmente nel concilio di Lione II (1274), nel concilio di Firenze (1438), infine nel concilio di Trento (Sessione 25', 3 dicembre 1563). Ecco le grandi linee di questa dottrina:

- In Purgatorio, le anime dei giusti saldano il loro debito nei confronti della Giustizia divina subendo pene purificatrici molto dolorose. è bene sottolineare subito che la purificazione del Purgatorio non verte sulla colpa, ma sulla pena. Se il perdono divino concesso all'anima pentita cancella la colpa, non fa sparire altresì la pena, e per mezzo dell’espiazione l’uomo ripara al disordine causato dai suoi peccati. Quaggiù, l'anima subisce la pena sotto la forma di una penitenza volontaria e meritoria; nell'altro mondo, sotto la forma di una purificazione obbligatoria.

- Secondo la dottrina della Chiesa, vi sono due tipi di pene in Purgatorio. Il principale è quello della privazione temporanea della visione di Dio. Questa privazione è associata a una sofferenza incredibile. L'ora dell'unione è suonata: l'anima brucia del desiderio di vedere Dio, ma non può appagare tale desiderio, perché non ha sufficientemente espiato, prima della morte, i suoi peccati. L'espiazione si compie dunque in Purgatorio e riveste la forma di una sofferenza di cui nulla, quaggiù, può rendere l'idea. In Purgatorio esistono altre pene conosciute come pene dei sensi. La Chiesa, però, mai si è pronunciata sulla loro natura esatta; il loro scopo è quello di riparare l’attaccamento disordinato delle creature.

- Le pene del Purgatorio non sono le stesse per tutte le anime. Esse variano, quanto alla loro durata e alla loro intensità, e dipendono dalla colpevolezza di ciascuno. Le anime del Purgatorio ricevono serenamente le sofferenze espiatrici che Dio infligge loro; esse non cercano, in effetti, che la gloria di Dio e desiderano ardentemente contemplare Colui che è ormai tutta la loro speranza. In Purgatorio regna una gran pace, e anche una certa gioia, perché le anime hanno la certezza della loro salvezza e vedono la loro pena come un mezzo per glorificare la Santità di Dio e giungere alla visione beatifica. Le sofferenze del Purgatorio, non essendo più meritorie, non aumentano la carità dell’anima che le subisce.

- La Chiesa della terra può soccorrere, con i suoi suffragi, perché uno stesso amore le unisce nel Cristo. Questa unione crea la possibilità di una comunione di meriti. Le anime del Purgatorio, incapaci di procurarsi da sole il benché minimo sollievo, possono così giovarsi delle opere soddisfatorie che i vivi compiono in loro favore con l’intenzione di saldare i loro debiti. Queste opere espiano la pena delle anime del Purgatorio offrendo per loro una compensazione; Dio regola secondo la sua infinita Sapienza l’applicazione dei suffragi ai defunti. La messa è l’aiuto più efficace che la Chiesa della terra può fornire all’anima che si purifica. L’elemosina, la preghiera, come tutte le forme di sacrificio sono egualmente un mezzo per aiutare le anime dei sofferenti.

- Il purgatorio avrà fine con il Giudizio universale, dato che tutte le anime destinate alla Gloria avranno soddisfatto, in una maniera o nell’altra, alla Giustizia divina.

Questo è l’essenziale degli insegnamenti della Chiesa sul mistero del Purgatorio. La Chiesa lascia ai teologi l'incarico di portare qualche lume su certe questioni secondarie. Ne citiamo alcune: in quale luogo si trova il Purgatorio? Il peccato veniale viene rimesso nell'istante della morte o nel luogo della purificazione? Le anime del Purgatorio pregano per noi?

Per le anime dei giusti, il Purgatorio è dunque quello stato e quel luogo di sofferenza dove esse espiano la pena per la quale non hanno soddisfatto in questo mondo (pena dovuta per i peccati mortali e veniali già rimessi) e dove i loro peccati veniali sono rimessi quanto alla colpa, se non lo sono stati durante la vita.

- L'esistenza del Purgatorio è una verità di fede; San Tommaso d'Aquino non esita ad affermare che negare il Purgatorio significa parlare contro la Giustizia divina e commettere un errore contro la fede. Questa verità di fede è fondata sull'insegnamento esplicito della Sacra Scrittura per quanto riguarda il giudizio e l'esigenza di una purità perfetta per entrare in Cielo.

Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica "Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, perciò o passerà attraverso una purificazione o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà per sempre.

Nel momento del Giudizio particolare, l'anima non vede Dio intuitivamente, altrimenti sarebbe già beatificata. Lei non vede neppure l'Umanità del Cristo - se non per favore eccezionale - ma, attraverso una luce infusa, essa conosce Dio come Sommo Giudice, e anche il Redentore come Giudice dei vivi e dei morti".

Le anime del Purgatorio


Tutti gli umani hanno un’anima e quando moriamo queste anime andranno al cielo o all'inferno o temporalmente in purgatorio per camminare verso il cielo.

Si possono né invocare, né evocare o chiamare i morti, è una pratica di divinizzazione utilizzata dallo spiritismo o da altre pratiche legate al satanismo, ma bisogna permettere che Dio disponga nella sua sovranità le cose nel migliore dei modi. Ebbene, Dio può permettere nella sua immensità, bontà e misericordia, che alcune anime purganti facciano ricorso ai fratelli terreni. Noi non possiamo evocare queste visite, però dobbiamo rispettarle e rispondere alle loro richieste d’aiuto, offrendo specialmente la Santa Messa.

La Santa Chiesa non esige di credere alle rivelazioni private. Questo difatti non aggiungono nessuna nuova verità alla fede. Se un’anima del Purgatorio ci fa una visita particolare o no, questo non cambia la nostra fede, tuttavia è una grande mancanza disprezzare le manifestazioni del Cielo o del Purgatorio senza una ragione.

Le Sante Anime, con le loro apparizioni, sempre cercano il bene: promuovono la catechesi, aumentano il fervore, la devozione, incrementano l'amore alla Santa Eucaristia, formano la vita alla preghiera, alla pratica della carità, stimolano a vigilare sopra ai propri difetti e a distruggere i vizi tramite la confessione e la conversione.

In generale, le Sante Anime hanno visitato persone pietose o in cammino verso la santità. Tra le persone che hanno ricevuto visite delle sante Anime, ci sono: Santa Gemma Galgani, il papa San Gregorio Magno, Santa Brígida di Svezia, Santa Caterina di Genova, Santa Faustina e molti altri. Non si può negare le testimonianze riconosciute dalla Chiesa.

Ci sono circostanze psicologiche ed emozionali che, per il grande dolore morale, possono fare credere per autosuggestione, per emozioni profonde, alle visite dei nostri cari morti. Ma nemmeno, si deve scartare queste visite come fraudolenti o spiegabili dalla mera psicologia; negandovi la sua libertà di apparire per permesso di Dio. Santa Teresa d’Avila, donna di straordinaria sensatezza e realismo, riconosciuta dalla Chiesa come dottore, raccontò che San Pedro d’Alcantara la visitò dopo morto per avvisarla che andava in cielo.

Le Sacre Scritture non esauriscono tutto il patrimonio di FEDE della Santa Chiesa Cattolica. Ma la Bibbia si deve interpretare assieme alla Tradizione Apostolica. La Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, come promise Gesù Cristo, riconosce l'autenticità di certe esperienze mistiche e gli insegnamenti di quelli che canonizza come santi. Negarlo sarebbe negare alla Chiesa il diritto di canonizzare o beatificare, e corroborare la veridicità di tali esperienze mistiche.

Gesù nel vangelo parla del caso del ricco Epulone ed il povero Lazzaro. In questo racconto la visita del defunto Lazzaro alla terra è chiesta dal ricco Epulone che è nell'inferno. Vedisamo che le anime stanno sotto l'autorità di Dio e in questo caso gli nega la visita.