domenica 19 gennaio 2014

Viviamo il presente nel timore del Signore

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XXXIII domenica del
Tempo Ordinario


Anno C


Viviamo il presente
nel timore del Signore

La Liturgia di questa domenica ci parla della fine del mondo, ma non dà delle indicazioni temporali. Vuole istillare in tutti speranza e fiducia. La paura e la timidezza sono estranee allo spirito cristiano, che quando è autentico è al riparo da ogni ingiustizia. Nella prima lettura il Profeta Malachia dice che “il giorno del Signore” è quello del suo ritorno; giorno rovente per i malvagi, ma pieno di sole radioso per i giusti.

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Una raffigurazione del
Profeta Malachia


Nel passo del Vangelo di Luca (21,5-19)  viene presentata la fine di Gerusalemme, sarà allora la fine di un mondo, ma ancora non sarà la fine. Nel tramonto del mondo e della storia, quel che conta è la persevernza nella fede.

Il Vangelo parla della fine ma non della fine del mondo ma bensi della cittá di Gerusalemme che gli ebrei univano alla fine del mondo. Con la distruzione di Gerusalemme termina la antica unione e succede la venuta di Gesú che viene a inaugurare la chiesa, il novo popolo di Dio.
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Gesù parla della distruzione di Gerusalemme dovuto all'osservanza dei discepoli della sua grandiositá e dei suoi adorni e dice a loro:
 
"State osservando queste cose ma verrá un giorno che
non resterá pietra sopra pietra che non sia diroccata" (Lc 21.6)


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Luca ci da una parola molto preziosa che marca bene la distinzione fra la distruzione di Gerusalemme e la fine del mondo: "...e Gerusalemme sará calpestata dai Gentili, finché i tempi dei gentili non siano compiuti" (vers. 2.4.)
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San Luca Evangelista

Di tutto il contesto delle parole di Gesú
dobbiamo ammettere due preposizioni!


La prima è che nessuno si lasci stupire da falsi profeti che annunciano l'arrivo di Cristo. La seconda, per la quale dobbiamo avere tanta attenzione è alla esortazione e alla speranza.
Dio sta sempre con noi, come disse:
"... non andrá caduto neppure un filo di capello dalla vostra testa, con la vostra perseveranza salverete le anime vostre. Nell'anima del vero cristiano mai muore la speranza, anche quando le cose sembrano scure dobbiamo avere la certezza della presenza e misericordia di Dio".

Abbiamo bisogno di una speranza viva dentro di noi e nel mondo in cui viviamo. Quanti segnali di morte, di minacce, di ignoranza!

Felice colui che non perde la speranza e che puó trasmettere speranza agli altri! Quanti giovani, per esempio, nelle nazioni considerate di primo mondo che sembrano ribelli a tutto con diabolica creativitá per manifestazioni le piú stravaganti!

Frattanto comincino a comprendere il valore dei genitori, della casa, del matrimonio, della scuola, della patria e della religione!
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É un nostro dovere non dare loro disillusioni, poi rappresentare la speranza, questa speranza che non puó morire nel loro cuore per nostra causa...

Con Te nel cuore

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Con Te nel cuore
non ho paura
 
Riflessione 
 
Io sono un nomade
 
Mia madre mi disse:
figlio mio, perché tu vai via di casa?
Ti ho appena fatto e te ne vai…
chissà se mai ritornerai.


Due lacrimoni sulle sue rughe
e una porta che mai si chiude,
un figlio parte e sogna il sole…
suo padre invece non ha parole.
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Briciole per Dio
 
Di fuori
sugli scalini della mia vita
sereno..
raccoglievi briciole,
le briciole del mio amore.
Solo allora mi sono accorto
che io dò soltanto briciole.
Mi hai detto che eri lì
da più di quaranta anni
e che ti bastava
soltanto vedermi uscire
di casa il mattino e rientrare la sera…
uno sguardo e via…
la mia fretta di vivere.
Ti assicuro che
non ti avevo mai visto,
uomo degli scalini
della mia vita…


“Non sono un uomo,
per questo non mi hai visto…
io sono il tuo Dio…
anzi... ti ringrazio delle tue briciole”.

LA PREGHIERA CONTINUA


Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
«Si giunge quindi alla preghiera, della quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora in poi è lo spirito a pregare dentro di noi ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente, tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera non proviene più da noi. E come se fosse divenuta autonoma».
«Il culmine di tutta l’ascesi è la preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta. Anche quando si dorme, la sua azione continua, di nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in segreto».
L’incontro nella preghiera non è soltanto qualcosa di istantaneo, non avviene solo quando mi pongo coscientemente di fronte a Dio: deve invece diventare un atteggiamento fondamentale e duraturo dell’uomo. La tradizione del monachesimo parla della preghiera continua o della ininterrotta preghiera interiore.
Il fine del monachesimo consisteva nel vivere sempre alla presenza di Dio, nel pregare ininterrottamente e quindi nel vivere costantemente dell’incontro con Dio. L’intera vita deve essere plasmata dall’incontro con Dio. Vivo continuamente di fronte a lui, di fronte ai suoi occhi ed egli mi guarda con amore e con benevolenza. L’incontro con Dio lascia l’impronta su tutta la mia vita, sul mio lavoro e il mio riposo, sul mio pensare e il mio sentire, sul mio parlare e il mio tacere. Non vivo mai al di fuori dei rapporti, ma sempre in rapporto al mio Dio. Non devo certo pensare sempre esplicitamente a Dio; l’incontro è soprattutto lo sfondo nel quale vivo e mi muovo. Paolo ha parlato così nel suo discorso dell’areopago: «In te ci muoviamo e siamo» (At 17,28).
I monaci hanno sviluppato dei metodi che ci possono aiutare a vivere sempre e ovunque dell’incontro con Dio. E' la cosiddetta preghiera interiore che è sempre presente dentro di noi e che non ci può mai essere tolta. Per giungere a questa preghiera interiore, devo però seguire una lunga serie di esercizi. Per i monaci questa serie di esercizi consisteva nella preghiera fatta di una parola, la ruminatio, nel ripetere sempre lo stesso versetto di un salmo o la stessa preghiera di Gesù. La preghiera di Gesù divenne soprattutto nella chiesa orientale l’esercizio di meditazione per antonomasia. Ma anche nella chiesa occidentale essa gode oggi di grande favore e per molti è divenuta una forma concreta della preghiera continua. Consiste nel ripetere continuamente la formula «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!».
Questa formula può anche venir accorciata a seconda del ritmo del respiro del singolo. Si, la preghiera rivolta a Gesù può venir ridotta anche solo al nome di Gesù, che poi si collega all’espirazione
I monaci vedono nella preghiera fatta a Gesù il compendio di tutto il vangelo. Essa rimanda all'episodio della guarigione di Bartimeo (Mc 10,47), in cui Bartimeo prega Gesù di guarirlo dalla sua cecità: «Gesù, abbi pietà di me»; e all’episodio in Lc 18,13 in cui il pubblicano si presenta con umiltà a Gesù e lo prega così: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore!».
Due elementi fondamentali trovano espressione in questa preghiera: uno è la preghiera per la guarigione. Ci portiamo appresso tutte le ferite e nella preghiera chiediamo a Dio che le guarisca. E spesso siamo ciechi: non vogliamo vedere la realtà come è veramente, chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà della nostra vita, di fronte alla realtà del nostro prossimo e del mondo intero. Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
Spesso chiediamo troppo a noi stessi quando vogliamo vedere la realtà in faccia. Solo se Cristo ci prende per mano, come ha fatto con Bartimeo, troviamo il coraggio di guardare la realtà apertamente. Non dobbiamo più averne paura perché sappiamo che Cristo è con noi e ci fa scoprire la verità del mondo. Possiamo vedere il mondo nella sua autenticità perché in ogni parte di esso incontriamo anche Dio.
L’altro elemento fondamentale è l’umiltà del pubblicano, che non ha fiducia in se stesso e in ciò che fa, mentre ripone la propria fiducia nella pietà di Dio. E' la grande fiducia nel fatto che Dio ci accetta così come siamo. Se nelle mie preghiere ripeto sempre: «Gesù Cristo, abbi pietà di me»
, questa non è solo una preghiera incessante perché egli abbia pietà, ma piuttosto rappresenta il prendere coscienza di questa pietà, un ringraziamento nei confronti del Dio misericordioso.
Col passare del tempo questa preghiera produce una profonda pace interiore e una gioia silenziosa nei riguardi di Dio, di fronte al quale posso essere così come sono, anche se debole o colpevole. E gradualmente io stesso divento più misericordioso nei miei confronti. Non mi tormento più con rimproveri se commetto un errore: al contrario, sottopongo l’errore alla pietà di Dio. Così mi concilio con esso e provo maggiore compassione per il mio prossimo. Se sento durante l’ascolto di una confessione che giudizi negativi affiorano dentro di me, la preghiera di Gesù mi aiuta ad assumere un atteggiamento di maggiore misericordia nei confronti dell’altro. In questo modo rendo meglio giustizia al suo mistero di quanto potrei fare attraverso i miei pregiudizi affrettati, nei quali vedo l’altro solo attraverso gli occhiali delle mie proiezioni.
Il tono generale della preghiera di Gesù non è l’implorazione supplichevole affinché Cristo abbia pietà di me, perché sono così malvagio. E piuttosto un tono ottimistico e fiducioso. Per un verso nel nome di Gesù riconosco il mistero dell’incarnazione. Questo Gesù Cristo è il Figlio di Dio, in lui dimora la pienezza della divinità (Col 2,9). Per un altro verso, quando dico "Abbi pietà di me", esprimo il mio rapporto personale con Gesù Cristo. La parola greca eleison ha la stessa radice di elaion, olio, e chiede quindi che Dio riversi la pienezza della sua grazia su di noi.
Per la lingua russa la preghiera di Gesù ha il carattere dell’amore e della tenerezza. «Le parole slave milost e pomiluy hanno le stesse radici delle espressioni che significano tenerezza e carezza»(1).
Nella preghiera di Gesù chiediamo il suo amore e allo stesso tempo esprimiamo il nostro amore per Dio e il nostro anelito nei suoi confronti. Perché si tratta di una preghiera squisitamente intima, un dolce richiamo rivolto a chi mi ama, ed è espressione della certezza che in Gesù Cristo l’amore stesso di Dio è riversato nel mio cuore. La preghiera di Gesù emana la fiducia che questo Gesù Cristo è in me. Non è colui che ha vissuto in un lontano passato: al contrario, è in me.
I monaci consigliano di far scorrere il respiro nel cuore quando si inspira e di sentire, nel respiro, la presenza di Dio stesso nel cuore. Cristo è in me. Nel calore che il respiro genera nel cuore posso sentire la sua presenza misericordiosa e colma d’amore. Sentire il respiro nel cuore allevia la mente, che di solito, quando si prega, ci causa fastidio e inquietudine con pensieri sempre nuovi. Nel cuore, riscaldato dal respiro, possiamo arrivare alla calma in Gesù Cristo. Non lo incontriamo solo per un breve momento: l’incontro invece si protrae e noi ne rimaniamo partecipi. Quindi la preghiera di Gesù aiuta a vivere continuamente nell’incontro con Cristo e a vivere del rapporto con lui. Il mio cuore viene toccato da Cristo, in lui sento il calore. Come chi ama sente la persona amata nel proprio cuore e vive la quotidianità in modo diverso, così la preghiera di Gesù genera dentro di noi un'atmosfera di amore, di misericordia e di benevolenza nella quale si vive bene. Lo spazio in cui viviamo non è freddo e deserto; è abitato da Gesù Cristo, trabocca della sua presenza amorevole e salvifica ed emana la sua affettuosa intimità. In questo spazio vivo sempre dell’incontro con Gesù Cristo.
L’incontro nella preghiera personale continua a fare effetto e lascia il segno anche sul mio lavoro. E la preghiera di Gesù mi ricorda costantemente questo incontro nella preghiera rievocandolo. Tutta la mia vita diventa una vita formata da questo incontro. In tutto ciò che compio e penso, faccio riferimento a Gesù Cristo, gli sono legato, sono a casa. Solo vivere di questo rapporto e in questo rapporto dà valore alla mia vita. Oggi sempre più numerosi sono quelli che vivono al di fuori di questo rapporto, e perciò la loro vita va in frantumi, perché essi sfiorano soltanto il loro vero io. Solo nel rapporto con un altro io vivo il mio vero sè, solo nella relazione sono in contatto anche con il mio vero nucleo.

Quando inspiriamo dobbiamo permettere a Gesù Cristo stesso di pervadere tutto il nostro corpo nel nostro respiro. L’inspirazione scende verso il basso, nel bacino. Permettiamo allo spirito misericordioso di Gesù di pervadere tutti i sentimenti che hanno la loro sede negli organi interni: la rabbia e la delusione, la collera e l’amarezza. Dobbiamo anche permettergli di entrare nei nostri istinti, che per i greci sono localizzati nella parte concupiscente dell’uomo, nel basso ventre. Quando lo spirito di Cristo fluisce dappertutto, possiamo riconciliarci con tutto ciò che si trova in noi. Così la preghiera di Gesù può colmarci sempre più di misericordia e bontà verso noi stessi e verso gli altri.
Dopo aver espirato, si giunge ad un breve momento in cui non succede nulla e nel quale nè inspiriamo nè espiriamo. Questo momento è decisivo secondo i maestri della meditazione. Infatti indica se dimentico me stesso e mi abbandono a Dio o se rimango ancorato a me stesso. Se non riesco a sopportare questo istante e voglio subito inspirare, non mi lascio cadere in Dio. Quest’attimo prezioso del puro silenzio e della pura inattività è il luogo in cui ci lasciamo cadere nelle braccia misericordiose di Dio, e li scopriamo che tutta la nostra esistenza ha il carattere di un dono. Come dice Isacco di Ninive, la parola conduce al mistero senza parole di Dio. Abbiamo legato il nostro respiro alla parola per non venir distratti, ma in questo intervallo tra inspirare ed espirare abbandoniamo anche la parola. Lasciamo che esso ci introduca nello spazio colmato soltanto da Dio. Ma questo spazio non è uno spazio divino; è riempito invece dal Padre di Gesù Cristo, dalla misericordia e dalla bontà di Gesù stesso.
Per me la preghiera di Gesù è un modo utile per vivere nell’incontro costante con Gesù Cristo e, attraverso di lui, con il Padre. E una parola familiare che affiora dentro di me spontaneamente, anche se non ne ho coscienza. Mi permette di essere a casa e mi conduce sempre dalla distrazione a ciò che è veramente importante, al Padre di Gesù Cristo. E mi dà la certezza che Gesù Cristo è dentro di me e procede insieme a me. Quando la preghiera è dentro di me, anche Gesù Cristo è dentro di me e con me. Quindi vivo costantemente dell’incontro con lui.
Questo incontro dà un altro sapore a tutta quanta la mia vita. In tutto ciò che faccio c’è qualcosa della misericordia e dell’amore di Dio. L’incontro fa diventare la mia vita una preghiera continua, un incontro con Dio nel mio cuore. La preghiera ininterrotta giunge ad esistere improvvisamente, come André Louf (2) ha descritto molto bene: «Si giunge quindi alla preghiera, della quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora in poi è lo spirito a pregare dentro di noi ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente, tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera non proviene più da noi. E come se fosse divenuta autonoma».
E Isacco il Siro dice: «Il culmine di tutta l’ascesi è la preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta. Anche quando si dorme, la sua azione continua, di nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in segreto».
La preghiera continua di Gesù conduce a una vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Gesù Cristo. Quando preghiamo, il nome di Gesù Cristo stesso scende nel nostro cuore e lo rende la sua dimora.
Esichio di Batos, un autore del medioevo bizantino, scrive: "L’invocazione ininterrotta di Dio, unita ad un ardente anelito e a una grande gioia nei suoi confronti, riempie di beatitudine e di gioia l’atmosfera del nostro cuore... il ricordo di Gesù e l’invocazione ininterrotta del suo nome producono qualcosa di simile a una corrente divina nel nostro spirito".
La preghiera di Gesù risveglia delle forze dentro di me che fino a quel momento erano rimaste sotterrate sotto il peso del mio lavoro e delle mie preoccupazioni. Conduce tutto quanto è presente in me nel rapporto con Gesù Cristo, nel rapporto con colui che mi ama e che ha un cuore per me, un cuore che non condanna, anzi, un cuore che ha pietà di me.
La meta della via spirituale è quella di vivere costantemente in questo rapporto d’amore con Gesù Cristo e di trovarvi salvezza e pienezza. In questo rapporto nulla viene represso o escluso dentro di me: al contrario, tuffo viene considerato e riferito a Dio.
Benedetto ha davanti agli occhi questa vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Dio quando scrive: "Nel primo stadio dell’umiltà si prova sempre un timore riverenziale quando si immagina Dio, e ci si guarda dal dimenticarlo... l’uomo si convinca di questo: Dio ci guarda sempre dall’alto del cielo. L’occhio di Dio segue sempre e ovunque le nostre azioni, e gli angeli gli riferiscono continuamente ogni cosa" (RB 7).
Per Benedetto la vita spirituale è vita nella presenza di Dio, che mi guarda con amore e con benevolenza, ma anche con uno sguardo critico ed esaminatore. Solo in questo sguardo di Dio trovo la strada che porta a me stesso: la mia vita acquista un altro gusto. Sento che la mia vita è una continua risposta al Dio che mi guarda e mi parla. Non vivo da qualche parte in uno spazio qualsiasi; vivo invece davanti agli occhi di Dio, vivo del continuo incontro con Dio che è misericordioso e colmo d’amore. Questo è ciò che significa la preghiera continua. Non è un’attività, è esercizio di una vita che nasce dall’incontro. L’alternativa a questa vita che nasce dall’incontro è la vita che nasce dalla distrazione. Per i monaci era una continua tentazione sottrarsi all’incontro e al rapporto con Dio e ritirarsi negli spazi privati della loro fantasia, dove si può passeggiare liberamente e dove si possono sognare le proprie illusioni.
La vita che nasce dall’incontro deve però essere imparata attraverso la pratica. Non è un dono di natura. I monaci fanno esercizio ripetendo sempre la preghiera di Gesù ovunque si trovino. Ma per poter pregare sempre, devo prima di tutto pregare in certi momenti della giornata. Devo collegare la preghiera a certe mie attività. Quando, ad esempio, mi sveglio al mattino, devo pregare Gesù con coscienza. Quando esco di casa, quando vado al lavoro, quando entro in una casa, quando incontro una persona, quando il campanile batte l’ora, quando squilla il telefono, in tutte queste occasioni potrei recitare la preghiera di Gesù. I fatti esterni sarebbero dei segnali della memoria che la preghiera di Gesù con il tempo risveglia dentro di me. Se in questo modo i fatti esterni mi ricordano la presenza di Gesù Cristo che ha pietà di me, allora la mia vita cambierà. Non sarà più plasmata dagli eventi esterni: in ogni cosa incontrerò Gesù Cristo. Ovunque e in tutto ciò che succede la mia vita trae il suo fondamento dall’incontro con Cristo.
E in seguito all’incontro con Cristo affronto gli uomini e le situazioni della mia vita quotidiana in modo nuovo. Non sono gli avvenimenti esterni a definire la mia situazione emotiva: è Gesù Cristo a farlo, e lo incontro in ogni cosa. La vicinanza di Gesù respinge la vicinanza spesso importuna di persone o di problemi. Allora li posso giudicare come meglio conviene. Non permetto che mi soffochino, anzi li affronto con un distacco interiore. Poiché la mia vita trae sempre il suo fondamento dall’incontro con Cristo, gli avvenimenti esterni non possono più governarmi. La stessa cosa accade agli uomini che si amano. Poiché sanno del loro amore e trovano in esso il fondamento della loro vita, non si lasciano più influenzare dai fatti del giorno. Si fanno invece guidare dal loro amore.
Allo stesso modo il nostro incontro con Cristo dovrebbe plasmare tutta la nostra vita e trasformarla. Ogni cosa deve custodire il gusto della misericordia e della bontà di Dio. L’incontro con Cristo e con il Padre di Gesù Cristo risveglia il vero nucleo della vita dentro di noi, ci rende più vivi e ci dona veramente la vita eterna, una vita che è di un’altra qualità rispetto a quella presente intorno a noi, una vita vissuta nella libertà e nella mitezza, nell’amore e nella gioia. Non siamo noi che dobbiamo trasformarci: è l’incontro con Dio che ci trasforma e ci conduce al nostro vero io.

ORIGINE E SVILUPPO DELLE CONFRATERNITE LE CONFRATERNITE NEL DIRITTO




Grande importanza ebbero i sodalizi laici nella erezione o nell'abbellimento di oratori e di chiese, nell'opera compiuta per mantenere in vita gli edifici sacri dove si riunivano e che, senza di loro, sarebbero andati perduti. Molte chiese di Roma debbono l'esistenza alle confraternite, altre recano tuttora i segni della munificenza dei confratelli. E' appunto iI pro­fondo legame tra i sodalizi e i loro luoghi di riunione che, in questo volume, abbiamo cercato di tracciare.


ORIGINE E SVILUPPO DELLE CONFRATERNITE

Per chiarire e porre i limiti dell'oggetto di questo studio e anzitutto necessario stabilire che cosa s'intende per confraternita, e ciò per evitare confusione con istituzioni similari, nell'organizzazione o negli scopi, che fiorirono nella Chiesa fin da tempi antichissimi. La confraternita, è una unione di fedeli, eretta con decreto formale dell'autorità ecclesiastica, organizzata gerarchicamente, che ha per scopo l'esercizio di opere di pietà o di carità e l'accrescimento del culto pubblico ed ha sede in una chiesa, oratorio o cappella.
La parola "Confraternita" deriva dalla voce latina frater - fratello - che ha dato anche origine a fraternitas e confraternitas ed alle parole italiane: fraternita, confratello e cosi via. Qualche autore con ipotetiche argomentazioni vorrebbe far derivare il vocabolo confraternita dal greco (MAGRI, Notitia, ecc.), ma come giustamente osserva Huetter "...ci vuol poco a capire che fraternitas è voce latina e che confrate o confratello vengono dal latino al pari degli altri vocaboli ecclesiastici di compare o comare" (HUETTER, Le Confraternite, ecc.).
Già i primi cristiani usavano chiamarsi "fratelIi" fra loro e la parola si trova spesso in antichissimi scritti come sinonimo di christiani fideles. Fraternitas era pure usato per indicare la totalità dei fedeli, cioè la Chiesa, detta anche Ecclesia Fratrum. In seguito fu adoperata solo dai predicatori nel rivolgersi ai fedeli: fratres dilectissimi, carissimi. Nel IV e V sec. fratello e sorella si chiamarono gli eccliesiastici con le loro sorelle spirituali dette agapete o subintroductae. I religiosi si chiamarono tra loro fratelli, come fanno tuttora, pur con la tendenza a limitare tale appellativo soltanto ai non sacerdoti. Lo stesso uso fu adottato nelle unioni di laici dove ancor oggi i sodali si chiamano "fratello": quando il loro nome viene scritto negli atti ufficiali della confraternita è sempre preceduto dalla abbreviazione Fr.


Nel corso dei secoli le unioni di laici fondate a scopo di culto o beneficenza furono chiamate con vari nomi: Hincmar di Reims nell'852, nei CapituIa presbiteris data, dà a queste associazioni il nome di confratria e di geldonia ed ai membri quello di confrater. Altre parole esprimenti lo stesso concetto furono successivamente in italiano: confraria, confreria, confratia, confratica, compagnia, confratantia, fratria, frateria, fradaria, fratalea, estaurita; in latino: colligatio, coniuratio, sodalitas, congregatio, schola, collegia, sodalitiurn, fraternitas laicorum, societas, coetus, consociatio, ecc.
Quando questi sodalizi cominciarono ad avere una certa importanza ed una più vasta diffusione si fissarono i termini confraternitas ed archiconfraternitas, attualmente usati nel linguaggio corrente ecclesiastico e dal Codice di Diritto Canonico.
Già fino dai primi secoli del cristianesimo fedeli più ardenti sentirono la necessità di unirsi nella preghiera e nella carità: per alcuni di essi tale desiderio prese forma nella vita religiosa in comune, per quelli invece che non volevano rinunziare alla famiglia ed alla vita del mondo, nacquero alcune unioni che avevano, in parte, gli stessi scopi spirituali e di pietà.
Le prime fraternità medievali si ispirarono al bisogno di appoggio e di mutuo aiuto in vita e del suffragio dopo Ia morte: di queste fraternità furono propagatori tenaci San Bonifacio e San Beda, il Venerabile.
In seguito esse ebbero grande sviluppo specie fra i monasteri che stabilirono vicendevolmente di pregare gli uni per gli altri. Il clero secolare seguì l'esempio di quello regolare: nel 762, San Crode­gando, vescovo di Metz, fondò ad Attigny una fraternità che assicurava ad ogni suo appartenente le preghiere di suffragio di tutti i fratelli dopo la morte. A Savonniere nell'859, numerosi sacerdoti promisero di celebrare ogni mercoledì la messa secondo le intenzioni degli altri associati. Anche Roma ebbe sodalizi di questo genere, ma non è possibile dire quando essi abbiano avuto inizio; i documenti più antichi sono le iscrizioni delle chiese dei Santi Cosma e Damiano e dei Santi Giovanni e Paolo che riportano il testo di Bolla di Giovanni XIV dell'anno 984, che si riferisce alla Romana Fraternitas.


Queste istituzioni, formate da sacerdoti secolari, si estesero in tutta la Chiesa; nella cattedrale di Munster in Westfalia ne esiste una ancor oggi. Ma essendo esse costituite esclusivamente da sacerdoti, non avevano le caratteristiche che furono particolari alle confraternite dei secoli successivi. Ne differivano anche per "l'obbligo che avevano tutti preti cittadini di appartenervi per la giurisdizione ecclesiastica di cui erano insignite" (MONTI, Confraternite medievali eec.) mentre uno degli elementi basilari della confraternita è la libertà lasciata ai fedeli di associarsi o no.
Nel periodo in cui i laici non avevano ancora associazioni proprie chiedevano ai monaci di pregare per Ia salute delle loro anime e di quelle dei loro cari defunti, facendo loro, in segno di riconoscenza, donazioni più o meno considerevoli specie di beni immobili. Notevoli furono quelle di Wihtred, re di Kent (696-716) e di Pipino il Breve (?- 768). I nomi dei fedeli in unione di preghiera coi monasteri venivano segnati su libri appositi: il superiore rilasciava loro una dichiarazione di ammissione. La formula del documento d'ammissione dei fedeli nell'Ordine dei Domenicani, rilasciato dal superiore del convento era, nel XIII sec., la seguente: "Ego ex potestate mihi concessa in conventu isto, do vobis participationem in omnibus bonis quae Dominus dederit fieri per fratres hujus conventus, sive sint missae, sive orationes, sive ieiunia, vel abstinentiae, vel vigiliae, vel praedicationes, vel labores ali i, seu alia quaecumque bona et ad omnia ista recipio vos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti" (Ordinarium O.P., Roma 1921).


Sull'esempio di questi gruppi di fedeli, più o meno strettamente legati ai monasteri e che hanno soltanto una vaga analogia con le confraternite, si organizzarono altri gruppi completamente laici che, con lo stesso scopo dei precedenti iniziarono vita propria. Il primo documento che testimonia chiaramente l'esistenza delle unioni di laici è uno statuto scritto da Hincmar Vescovo di Reims neIl'anno 852 per il clero della sua diocesi, dal quale risulta che già allora tali sodalizi erano organizzati, amministrati e usavano riunirsi in assemblea.
Le prime notizie di sodalizi laici in Italia ci vengono dall'Emilia e dalla Toscana. A Napoli furono chiamate "staurite" o "estaurite": nel 924 si riunirono in S. Michele, nel 957 nacque nella chiesa di S. Severo Ia Compagnia di S. Giorgio.
Tutte avevano come scopo le pratiche del culto, il suffragio dei defunti oltre a forme varie di beneficenza: i membri, laici e sacerdoti, soccorrevano i fratelli malati, i sacerdoti celebravano Messe secondo la loro intenzione, diaconi e suddiaconi recitavano i salmi, mentre i laici assistevano i poveri e gli infermi.
Secondo alcuni autori queste associazioni avevano tutte le caratteristiche per essere considerate vere e proprie confraternite: formate in prevalenza da laici, i loro scopi erano ben definiti, praticavano gli esercizi di pietà in una chiesa o in un oratorio pubblico e, secondo quanto afferma il Muratori, occorreva loro per essere erette la licenza del Vescovo. Ma la mancanza di documentazione e di solidi elementi di prova che attestino tali affermazioni, non ci consente di accettare nel novero delle confraternite, intese nel senso espresso all'inizio di questo capitolo, tali associazioni anche se avevano con queste una profonda rassomiglianza, così da poterle considerare come loro progenitrici.


Col sorgere dei Comuni l'individuo, sentendosi maggiormente libero, poté soddisfare più agevolmente alla sua istintiva necessita di associazione e iniziò a riunirsi sia per fini materiali, di ordine economico, che per fini spirituali.
Notevole importanza presero allora le Corporazioni delle arti maggiori e minori che aggregarono in corpi organizzati le persone interessate ad una stessa attività, e assursero a tale potenza da influenzare, e a volte determinare, la condotta politica del loro Comune.
I sodalizi di laici, con scopo di culto e beneficenza, che esistevano da tempo, agevolati dalle nuove condizioni di vita, acquistarono una maggiore possibilità di sviluppo. L'evoluzione sociale unita ad una più intensa attività spirituale favorì la loro affermazione, che giunse alla completezza organizzativa e alla piena attività del culto nel XIII sec.
Ad allargare e diffondere le associazioni laiche, che oramai avevano acquistato la fisionomia di confraternità, venne a formarsi, intorno alla metà del '200, quel movimento dei Disciplinati, dovuto ad una rivolta spirituale di reazione al male ed alla dilagante corruzione. Nel 1260, l'eremita Ranieri Fasani incitò i cittadini di Perugia alla penitenza e con parole infiammate e vestito di sacco, con una disciplina di strisce di cuoio in mano, spinse il popolo a flagellarsi pubblicamente, creando cosi la Compagnia dei Disciplinati di Cristo. Già dall'XI sec. San Pier Damiani e San Domenico Loricato avevano incoraggiato la pratica della flagellazione, diffondendola nei monasteri, allo scopo soprattutto di placare l'ira divina durante guerre e pestilenze.
L'esempio di Ranieri venne seguito in tutta Italia ed in Europa. Le numerose confraternite che si formarono presero il nome di Flagellanti, Battuti,Disciplinati, Frustati e cosi via; nel mezzogiorno d'Italia, specialmente in Sicilia ed in Calabria, ne esistono tuttora chiamate dialettalmente i "Vattenti".
L'esercizio della disciplina si praticava in oratori o in chiese lasciando solo due lumi accesi: uno sull'altare e l'altro sul banco del Governatore o Priore. Prostratisi tutti i fratelli, il Governatore intonava il Salmo 66: Deus miserere nostri et benedicat nobis, alternando i versetti al coro; e durante Ia recita del Salmo si distribuivano le discipline che erano state disposte ordinatamente sull'altare. Dopo altre preci e dopo aver cantato il capitolo commemorativo della Passione di Gesù Cristo, oppure parte dell'Epistola di S. Paolo ai Filippesi, il Governatore recitava il versetto Servite Domino in timore, et exultate ei cum tremore; alle parole Apprehendite disciplinam i fratelli cominciavano a battersi rispondendo Miserere nobis alle diverse invocazioni fatte sempre dal Governatore a Gesù Cristo.


Da principio i fratelli si riunivano soltanto per flagellarsi, ma successivamente passato il primo momento di eccitazione, degenerato talvolta in fanatismo, cominciarono ad esercitare Ia carità sotto varie forme, fino a che, in molti casi, tale attività divenne lo scopo del sodalizio indispensabile a tutta la società. In seguito a tale movimento nacquero a Roma le vane confraternite che si raggrupparono poi in quella del Gonfalone e in quelIa dei Disciplinati del Sancta Sanctorum.
Sull'esempio dei Battuti del 1260 si ebbero in Italia e in Europa altri moti similari: quello del 399 fu detto dei Bianchi dal colore dell'abito che indossavano. Uniti in folti gruppi, uomini e donne di ogni condizione sociale, praticarono la flagellazione a scopo di penitenza pellegrinando da una città all'altra. Le confraternite sorte a seguito di questo movimento non furono però numerose sia perché il sentimento religioso era diminuito d'intensità, sia perché già molte ne esistevano. Per tutto il XV sec. continuarono a svilupparsi i sodalizi già sorti e se ne crearono dei nuovi sempre con gli stessi scopi religiosi e benefici. Importanza notevole ebbero anche, dal medioevo fin quasi ai giorni nostri, le confraternite sorte a lato delle associazioni professionali alle quali erano strettamente unite. Il governo dei due organismi veniva spesso affidato alle stesse persone così che in molti casi non vi era una netta distinzione fra l'uno e l'altra. Molte confraternite infatti hanno seguito la sorte delle associazioni professionali e sono scomparse con loro; nelle poche superstiti l'ammissione dei confratelli non era più rigorosamente ristretta agli appartenenti all'arte.
Il medioevo è dunque il periodo del pieno sviluppo di questa forma di associazioni laiche, alle quali secondo alcuni storici apparteneva alla fine del '400 la quasi totalità dei Cattolici; molti fedeli erano iscritti a più d'una confraternita. A Firenze, Siena, Pisa e Cortona il Monti ha trovato nel XIII sec. 39 confraternite e ben 66 nel XV sec.
All'inizio dell'Evo moderno, prima ancora della riforma protestante, in seno alla Chiesa ed in piena ortodossia si venne concretando un movimento riformatore cui partecipavano clero regolare e secolare e laicato. Nacquero così nuove confraternite che al misticismo ed alla carità delle più antiche unirono lo scopo della riforma della Chiesa. Ne è luminoso esempio la Compagnia del Divino Amore sorta a Genova nel 1497, che annovera fra i fondatori il famoso Ettore Vernazza, Cancelliere della Repubblica, il quale contribuì alla fondazione dell'Oratorio romano con lo stesso titolo.
Durante i successivi secoli le confraternite continuarono nella loro evoluzione, crebbero di numero cercando nello stesso tempo di estendere la loro benefica opera a tutte le classi sociali, nel trovare nuove formule per intensificare la missione di spiritualità e di carità. Per la breve cronaca delle confraternite romane dopo il 1870 ci atterremo a quanto ha scritto con la sua abituale chiarezza Luigi Huetter (Le Confraternite, ecc.), citando spesso per esteso le sue parole che tanto bene esprimono la dolorosa realtà. Superato il trauma spirituale e politico della caduta del potere temporale anche i sodalizi romani, egli scrive, "...cadevano ad un tratto insieme con le 11.707 confraternite del Regno uccise dalla legge del 20 lugho 1890".
Dopo l'approvazione di questa legge, nella quale le confraternite non venivano soppresse, ma assoggettate al diritto comune e in alcuni casi soltanto trasformate, uscì questo jus singulare espresso dal legislatore con le seguenti parole: "I beni delle confraternite, confratrie, congreghe, congregazioni romane saranno indemaniati e le loro rendite destinate ad istituti di beneficenza della capitale". La convinzione irreligiosa dei promotori del drastico provvedimento era stata cosi esposta nella relazione ministeriale al progetto di legge sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza: "Non perderò molte parole riguardo alle confraternite ed altre istituzioni consimili. Non si può riconoscere un carattere di utilità pubblica in enti che, salvo poche eccezioni, hanno per fine lo spettacolo di funzioni religiose, causa ed effetto di fanatismo ed ignoranza: di regolare il diritto di precedenza nelle processioni, di difendere le prerogative di un'immagine contro un'altra; di stabilire il modo e l'ora delle funzioni; di regolare il suono delle campane; lo sparo dei mortaletti e via dicendo. Sono continui e gravi gli inconvenienti di ordine morale, politico e sociale, a cui esse danno luogo nell'esercizio della propria azione. Sono in una parola più dannose che utili alla Società'. (Atti parlamentari, leg.16, sess. 3, seduta 18 febbraio 1890).
 

Così senza far distinzione tra confraternita, chiesa e università d'arte, quando questa risiedevanello stesso luogo, furono incamerati i beni di tutti, facendo nascere numerose liti che solo in pochissimi casi si conclusero favorevolmente per i sodalizi
"Ecco dunque - scrive Huetter - condannate le confraternite romane. Eppure, confessa il Bovet, avevano avuto abilità e bellezza incontestabili. Dinanzi alla legge avevano interpretato spesse volte il buon senso popolare. Contro la bestemmia e il delitto significavano preghiera, fede, sacrificio.
"Nell'urto delle fazioni, di mezzo ai potenti oppressori, riunivano ogni classe sociale sotto un identico stendardo, davanti il comune altare.
"L'esteriorità stessa appariva consona ai tempi. Quegli incappucciati litanianti a lume di torcia facevano colpo sugli animi semplici. Tutti piegavano il ginocchio davanti ai fratelli ignoti.
"Questo arcano religioso in cui il Dolore e la Morte prendevano parte si grande, lasciava negli spiriti un po' di dolcezza, faceva balenare un raggio di Speranza".
Nel 1927, quando Huetter pubblicò il suo prezioso saggio sulle confraternite romane, osservava che, malgrado tutto, solo pochi sodalizi erano scomparsi. Ma da allora la situazione si è ulteriormente aggravata e, per motivi di vario genere, numerosi altri sodalizi hanno cessato ogni attività. Essi sono dunque ridotti di numero, e molti di quelIi ancora esistenti si limitano a riunirsi soltanto una volta l'anno, il giorno della festa titolare.
Alla inevitabile decadenza, che segui la spoliazione dei beni, va aggiunto il nuovo indirizzo preso dalla Chiesa circa le organizzazioni di laici e la tendenza di riunire tutti i fedeli nell'Azione Cattolica e, ora, nei vari Movimenti ecclesiali. Le mutate condizioni di vita e l'espansione della città hanno anche esse contribuito alla decadenza di questi secolari organismi, rimasti nelle loro antiche sedi in zone ormai quasi completamente spopolate, concentrate per la maggior parte nel centro di Roma, le une vicine alle altre, così che in una parrocchia come, ad esempio, S. Maria in Campitelli ci sono ben 12 chiese od oratori, in gran parte dedicati a Confraternite.
Al tempo in cui M. Maroni Lumbroso e A. Martini scrivevano, (ovvero gli anni '60) tutto lasciava presagire che le secolari e gloriose confraternite romane fossero destinate in breve volgere di tempo a scomparire del tutto, tuttavia negli ultimi anni si assiste a un rifiorire di interesse e di partecipazione alle loro attività soprattutto a quelle di carattere religioso, sociale e culturale.


LE CONFRATERNITE NEL DIRITTO

Il Diritto Canonico medievale non dettava alcuna norma per l'ordinamento delle confraternite, salvo Ia generica prescrizione che imponeva la soggezione delle organizzazioni laiche a scopo di culto all'Ordinario della diocesi di residenza.
Per tutto il medioevo questi sodalizi ebbero dunque sviluppo autonomo senza obblighi ben definiti verso Ia Chiesa, basandosi solo su regole che non sempre avevano però l'approvazione ecclesiastica.
Alcuni Concili Provinciali o Diocesani francesi, in varie occasioni stabilirono che il sorgere delle confraternite fosse subordinato all'approvazione del Vescovo, ma queste decisioni non ebbero sempre attuazione. Gli inconvenienti, a volte gravi, creati dall'imperfetto ordinamento giuridico, richiamarono l'attenzione del Concilio di Trento che se ne occupò nella XXII Sessione, nel settembre 1562.
Uno degli scopi della Riforma Cattolica era quello di dare ai Vescovi l'effettivo governo della Diocesi, garantendo loro i mezzi per poterlo esercitare in modo concreto.
L'erezione di associazioni di fedeli senza l'approvazione dell'Ordinario e senza il suo controllo ne sminuivano naturalmente l' autorità; lasciata senza controllo, la direzione laica delle confraternite portava ad errori di interpretazione dei dettami spirituali della Chiesa e ne indeboliva Ia coesione, anche se questi errori venivano commessi in buona fede.
Per tali motivi il Concilio prescrisse l'approvazione del Vescovo per la fondazione delle confraternite, dandogli la facoltà di visitarle e obbligando gli amministratori a rendere annualmente conto della gestione.


Da allora il controllo del clero sulle confraternite fu assai più attivo e crebbe dopo le norme emanate, nel 1604, da Clemente VIII circa la loro erezione.
Con l'entrata in vigore del Codex Juris Canonici (19 maggio 1918), la posizione delle confraternite nella Chiesa era gia chiaramente stabilita al libro II, tit. 19, cann. 707-725.
Il 25 gennaio 1983 Giovanni Paolo II promulgava il nuovo Codice di Diritto Canonico. In esso non si parla esplicitamente delle Confraternite, ma esse sono ragionevolmente incluse nel Titolo V: "Le associazioni dei fedeli", dal canone 208 al 329, dove sono separatamente esposte le disposizioni circa le norme comuni (Cap. I), le associazioni pubbliche (Cap. II), le associazioni private (Cap. III), alcune norme speciali (Cap. IV); non sempre le associazioni pubbliche dei fedeli e quelle private sono di facile distinzione. In linea generale si può dire che, secondo il nuovo Diritto Canonico, le Confraternite, particolarmente legate al culto, alle opere di bene, lodate e raccomandate dall'autorità ecclesiastica, devono avere la loro specifica finalità, i loro statuti, la loro indole, la loro modalità di appartenenza e di azione, sotto la vigilanza dell'autorità ecclesiastica competente: ad essa spetta il diritto-dovere di attendere all'integrità della fede e dei costumi e a non permettere abusi nell'esercizio della liturgia e delle vane iniziative.
L' accettazione dei membri avvenga a norma del diritto e dei propri statuti.
La stessa persona può essere iscritta a più associazioni.
Ogni associazione ha diritto di emanare norme circa Ia assemblea e la nomina dei moderatori, officiali, amministratori dei beni.
Gli statuti e il loro cambiamento necessitano dell' approvazione dell' autorità ecclesiastica.
Il cappellano, se soprattutto è Rettore della Chiesa, è nominato dal Vescovo ordinano della diocesi.
La Confraternita amministra legittimamente i beni che possiede, sotto l'alta direzione dell'autorità ecclesiastica, alla quale ogni anno deve rendere conto dell'amministrazione, dando anche un fedele rendiconto delle offerte e delle donazioni raccolte (Can. 319).


Nella Diocesi di Roma, le Confraternite hanno trovato maggiore chiarezza. Intanto con la recente Costituzione "Ecclesia in Urbe" è Stato costituito, al n. 28, un vero Ufficio diocesano per "le Aggregazioni laicali e le Confraternite" (1 gennaio 1998).
Ma già nel Sinodo Romano del 1993, si ordinava che "le Confraternite e i Sodalizi della città di Roma si rinnovino negli statuti e nelle strutture alla luce del Sinodo e si  inseriscano sempre più nel progetto pastorale della Diocesi e delle parrocchie" (Cap. II: i Laici nella comunità cristiana; indicazioni pastorali n. 8). A proposito della parrocchia si davano per la prima volta specifiche indicazioni: essa deve accogliere le Confraternite e ne deve garantire la partecipazione agli organismi parrocchiali; deve sostenere Ia formazione e la crescita spirituale dei soci; deve aiutarle ad essere se stesse, ecclesialmente; deve, la parrocchia, promuovere intesa e collaborazione tra le varie confraternite, favorendo la stima reciproca e il collegamento per una formazione permanente e per una pastorale comune.
Così, oggi, anche le Confraternite potranno avere una nuova vitalità, che non si scosta dalla tradizione se non per un vocabolario più aggiornato: in pratica devono aiutare i Laici cattolici "ad avere una coscienza sempre più chiara della loro specifica vocazione e spiritualità e della loro responsabilità nell'edificazione della Chiesa e nell'evangelizzazione della Città" (Libro del Sinodo della Diocesi di Roma, pag. 87).

SOLDATI DI CRISTO RE.


San Pietro di G.B. Castiglione (1609-1664)





DALLE MASSIME EVANGELICHE
A
SOLDATI DI CRISTO RE.



«Non vi è albero buono
che produca un frutto cattivo...
Ogni albero si riconosce dal suo frutto...»
(Lc 6,43).




NEL CONTESTO DI QUANTO ESPOSTO
NELLE PAGINE DEI NOSTRI LINK,
FORMULIAMO UN APPELLO
AD OGNI UOMO DI BUONA VOLONTA'




Il mondo cammina sulle sabbie mobili; solo la Parola di Gesù è la sicura Pietra su cui poter edificare la Vita.



<< Signore, da chi andremo?
Tu hai Parole di vita eterna;
noi abbiamo creduto e conosciuto
che Tu sei il Santo di Dio>> (Gv. 6, 60-69)


<< Io Sono la Vite, voi i tralci >> (Gv. 15, 1-8)
“Con la bocca dei lattanti e dei bimbi, Affermi la Tua Potenza contro tutti gli avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli” (Salmo 8)

“La scienza gonfia, mentre la carità edifica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere“(1 Cor 8,2).

Ogni Parabola di Gesù, ogni gesto della Chiesa, hanno sempre avuto l’obiettivo di “fare la Volontà del Padre, Nostro Creatore”, cioè di realizzare il Regno di Dio.
Gesù, con i gesti sacramentali, istituisce la Chiesa che, a sua volta, con i Sacramenti diffonde sulla Terra la Speranza, il Perdono, la comunione con Dio, fattoSi Uomo.
Al di la di ogni considerazione etica, con tutti i risvolti etnici, culturali e religiosi, il compito essenziale del cristiano non è solo quello di aprirsi con umiltà alle esigenze dei fratelli in Cristo, ma anche quello di difendere la dignità di ogni figlio di Dio. Se la Carità è legata alla Fede (San Paolo), altrettanto la carità non deve far tramontare la vera Fede; l’abbandono al folclore religioso, che spesso conduce ad una facile e discutibile socialità, può creare subdole tendenze e falsi idoli.
In questa epoca di relativismo, di individualismo, di particolarismo e di transizione, il cristiano deve saper riconoscere i limiti del qualunquismo, per saper difendere le radici naturali del cristianesimo, per ricondurre alla preghiera ed alla spiritualità l’essenza del vero Credo.


Rispettare i Sacramenti,
il Tempio Divino e la Santa Eucaristia.
Occorre riconoscere ciò che è Sacro
da ciò che è profano!
Difendere la Chiesa,
il Santo Padre Benedetto XVI
("Ubi Petrus, ibi Ecclesia" -San Ambrogio-)...
il Sacerdozio !
Tutto ciò è un dovere inoppugnabile
da parte di ogni Cattolico!



Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore Che ci ha creati. Egli E’ il Nostro Dio, e noi il popolo del Suo pascolo, il gregge che Egli conduce(salmo 94).


Il Tempio Divino, il Santo Altare con il Santo Tabernacolo, sono l’essenza delle Fede Cattolica, dell’Amore e della devozione verso Dio, Nostro Signore.

E’ qui, nella Sua Casa,
innanzi a Gesù che si ricevono le Grazie.
Innanzi al Santo Tabernacolo Egli ti parla liberamente,
per animarti alla Sua Luce,
perché tu possa ascoltarLo
nell’intimo del tuo cuore e parlarGli,
come Lui ti parla,
liberamente, fiduciosamente, amorevolmente.
Accetta questo Suo invito e fanne tesoro.


Il Santo Altare è il Luogo inviolabile Consacrato a Dio, a Gesù Che ci ha redenti; occorre rispettare e far rispettare questa Realtà Sacra, riconducendo al primordio rispetto tutto ciò che è stato (volutamente od incoscientemente) violato o profanato con tanta superficialità, genuflettendosi innanzi al Santo Tabernacolo, a Gesù Sacramentato.
Spesso il Santo Altare viene profanato anche con l'allestimento di fiori inadeguati (vedi "Un fiore irriverente" cliccando qui).


Finché tutto quanto sopra non sarà osservato e rispettato, non vi sarà mai una vera Devozione, con un giusto richiamo alla Viva Fede.


Esaltate il Signore Nostro Dio, prostratevi allo sgabello dei Suoi Piedi, perché E’ Santo(salmo 98).


Cuore Sacerdotale di Gesù,
Santifica i Tuoi Sacerdoti.


"Il Sacerdozio è l'Amore del Cuore di Gesù"
- Santo Curato d'Ars -


Così ha insegnato e pregato Gesù: “Padre Nostro, Che sei nei Cieli, sia Santificato il Tuo Nome … “. Santificare il Nome di Dio significa anche santificare ed avere supremo rispetto per la Sua Casa, il Luogo Sacro, Luogo di Preghiera e di Culto verso Dio Padre, Nostro Creatore e Nostro Signore, verso il Suo Santo Altare.


Recarsi in chiesa con vestiti non adatti ed immodesti, procurare chiasso con microfoni ad alto volume, con chiacchierio inutile ecc. (battute di mani, che spesso producono seri disturbi ai malati di cuore -e non solo-), eseguire in chiesa spettacoli musicali, teatrali ecc. (come ormai d’uso in molte importanti chiese),  è un chiaro sintomo di una mancanza di rispetto verso il Luogo Sacro, che deve essere dedicato esclusivamente al Culto. Tutto questo, agli occhi dei profani e di Dio, denota una devozione persa, una Fede spenta, un cuore turbato e confuso, dando una pessima testimonianza di veri credenti.

La Regina della Mondo ci ammonisce che non possiamo unirci a Suo Figlio se il nostro cuore è impuro ed incapace di ravvedersi.

Messaggio della Madonna a Medjugorje
del 2 luglio 2011

A nulla serve cercare i luoghi delle Sue Apparizioni, chiedere il Suo Aiuto se poi si rimane immersi nel peccato o si rimane indifferenti verso chi profana la Casa di Dio.


Occorre il ravvedimento e, da veri cattolici, bisogna assumere ferme posizioni, con adeguati provvedimenti, per far rispettare il Santo Padre e tutto quanto stabilisce la Santa Madre Chiesa con i suoi millenari Dogmi.


Il Sacramento della Confessione, quindi del Perdono e della Penitenza, prima di accostarsi alla Santa Comunione, sono gli “Strumenti” indispensabili per evitare sacrilegi, trovare la serenità interiore e non tradire il Maestro Divino.
Il seguace di Gesù, ricevendo lo Spirito Divino per mezzo dei Sacramenti, giorno dopo giorno diventa così sempre più mite, più umile e buono.
Per questo la Santissima Madre Celeste ci esorta a fare "un passo difficile e doloroso", quello di riconoscere i propri peccati, purificandosi con la confessione.
Solo così possiamo sentirci sereni in coscienza, per unirci a Gesù, per dare testimonianza di lealtà, per diffondere l'Amore di Dio, per aiutare anche coloro che non conoscono le Grazie ed i frutti per la Vita Eterna.



"Figli Miei, ascoltateMi ed incamminatevi con Me”
I Santi Sacramenti che ricolmano di straordinarie Grazie, sollevando l’uomo dalla sua misera condizione del “peccato originale”, sono:
Il Battesimo, la Confessione
e la Santa Comunione,
quindi la Cresima
(che ci rende "Soldati di Cristo Re").






L’uomo che corrisponde alla Grazia di Dio, frequentando i Sacramenti, viene trasfigurato dallo Spirito Santo, che è Dio, per santificarlo ed elevarlo verso il Cielo.
Tutti siamo chiamati a ritrovare in noi la docilità, la bontà, la dolcezza, che fanno affrontare serenamente tutte le situazioni temporali e spirituali della vita. Queste qualità si trovano e si rafforzano chiedendole ogni giorno a Gesù, Che dimora nel Santo Tabernacolo, dove Egli continuamente attende tutti.



L’uomo che non intraprende il cammino cristiano, rimane vulnerabile e schiavo di se stesso. Per questo occorre la perseveranza nella Preghiera e l’affidamento al Cuore Immacolato di Maria e a San Giuseppe, Suo Castissimo Sposo. In fine, occorre invocare l’aiuto dell’Arcangelo Michele, per sfuggire ai pericoli dell’eterno mistificatore: ‘il maligno’!



Iddio ha assegnato a ciascuno gli anni della vita: a chi cinque, o dieci, a chi cinquanta o cento (per i più robusti)... Così pure mette i limiti ai peccati che vuol perdona­re: a chi uno, o due, a chi cento o mil­le... Ci sarà gente all'inferno che avrà commesso un solo peccato mortale e gente che avrà ripetuto mille volte l'offesa a Dio. Come non sappiamo il numero dei nostri giorni di vita, così ignoriamo il numero delle colpe gravi che Iddio vorrà perdonarci. E' assai pericoloso il dire: “Commetto quest'altro peccato!” - chi sa che quest'ultimo pec­cato non faccia traboccare la bilancia della divina misericordia!
Sodoma e Gomorra, città della Pen­tapoli, moltiplicavano i peccati; Iddio aspettava (con tanta pazienza). Alla fine la bilancia traboc­cò ed allora disse il Signore: “Il grido di Sodoma e di Gomorra è giunto fino a Me. La misura è al colmo. Distrugge­rò la Pentapoli facendo piovere fuoco dal cielo!”
Quando si è tentati a dire: “Un pec­cato di più o un peccato di meno, im­porta poco!”, si pensi subito a quanto insegna Sant'Alfonso, Dottore di Santa Madre Chiesa.
Ammonisce Sant'Alfonso De' Liguori che << “ Manda più anime all'inferno la Divina Misericordia anzichè la Divina Giustizia”.
“Guai ad abusare della bontà di Gesù! Sarebbe questo il più grande oltrag­gio al Suo Cuore”.
“La Misericordia di Dio è infinita di per se stessa, ma è limitata nei rappor­ti con le creature. Chi non si rimette con la bontà di Gesù, presto o tardi ne proverà la giustizia, la quale tanto più sarà terribile, quanto più avrà aspettato”.


“Anima cristiana, alla considerazione della bontà di Gesù, apri il cuore alla confidenza e non abbatterti al ricordo dei molti peccati commessi. Procura pe­rò di essere vigilante per l'avvenire. Guai però a coloro che, conoscendo la Misericordia di Dio, concludono: Da­to che è così, io pecco, godo la vita e poi il Signore misericordioso mi perdo­nerà!”
“Chi ritorna a peccare con tali dispo­sizioni, si mette in pericolo di essere abbandonato dal Signore ed andare e­ternamente perduto” >>.
Da quanto sopra, possiamo comprendere l’importante ruolo dell’apostolato laico, in aiuto a tanti fratelli che disconoscono la Divinità di Cristo Gesù e la Sua Parola di Vita. Oggi non sono più sufficienti i Sacerdoti, occorre la collaborazione di tutti i credenti, per essere “testimoni della Fede”, per divenire “lievito fecondo”,  per fare conoscere e propagare il Santo Vangelo.
Con il Sacramento della Cresima, diventiamo soldati di Cristo, cristiani e soldati chiamati a difendere e a diffondere il Vangelo storico.


Ogni discepolo di Gesù si deve rivestire della corazza spirituale per sapere reagire con amore nelle prove e nelle persecuzioni. È un’armatura che si crea attraverso la Grazia sacramentale, con i Sacramenti portatori dello Spirito Santo.

“Dai frutti si conosce l’albero”.
“Perciò, chiunque Mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’Io lo riconoscerò davanti al Padre Mio Che è nei Cieli; chi invece Mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’Io lo rinnegherò davanti al Padre Mio Che è nei Cieli”.
“E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo”.
“Io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”.
«Cose spaventose e  strane occorrono in terra: i profeti profetano menzogne e i sacerdoti li applaudono con le loro mani; e il mio popolo ama queste cose. Che castigo non seguirà tutto questo?» (cf. Geremia 5, 30-3)
“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa Mia”.

Christus Vincit,
Christus Regnat,
Christus Imperat!


<< Dai vari scritti e da quanto predetto dal Montfort, tra l’altro, si legge: (...) “APOSTOLI DEGLI ULTIMI TEMPI, dovete seguire Gesù sulla strada del disprezzo del Mondo e di voi stessi, dell'umiltà, della Preghiera, della povertà, del silenzio, della mortificazione, della carità, di una più profonda unione con Dio. Siete sconosciuti e disprezzati dal Mondo e da quanti vi circondano, spesso siete ostacolati, emarginati e perseguitati, perché questa sofferenza è necessaria alla fecondità della vostra stessa Missione”. (Dai commenti di Don Stefano Gobbi su Montfort del 8 Giugno 1991) >>
<< Afferma ancora il Montfort: " (...) MA IL POTERE DI MARIA SU TUTTI I DEMONI RISPLENDERÀ IN MODO PARTICOLARE NEGLI ULTIMI TEMPI, quando Satana insidierà il Suo calcagno, cioè i Suoi poveri schiavi e umili figli che Lei susciterà per muovergli guerra. Questi saranno piccoli e poveri secondo il Mondo, infimi davanti a tutti come il calcagno, calpestati e maltrattati come il calcagno lo è in confronto alle altre membra del corpo. In cambio saranno ricchi di Grazia Divina, che Maria comunicherà loro in abbondanza, grandi ed elevati in santità davanti a Dio, superiori ad ogni creatura per lo zelo coraggioso, e così fortemente sostenuti dall'Aiuto di Dio, che con l'umiltà del loro calcagno, uniti a Maria, schiacceranno il capo del ‘diavolo’ e faranno trionfare Gesù Cristo". (54) >>
<< IL Montfort così conclude: " (...) Conosceranno le grandezze di questa Sovrana, e si consacreranno interamente al Suo servizio. Sperimenteranno le Sue dolcezze e la Sua bontà materna, l'ameranno teneramente come figli di predilezione (...). Conosceranno le Misericordie di cui Essa è ricolma e il bisogno che essi hanno di esser aiutati da Lei; a Lei ricorreranno in ogni cosa, come a loro cara avvocata e Mediatrice presso Gesù Cristo (…). Sapranno che Maria è il Mezzo più sicuro, più facile, più breve e più perfetto per andare a Gesù Cristo, e si offriranno a Lei anima e corpo, senza nessuna riserva, per appartenere nello stesso modo a Gesù Cristo" (55). >>
“Le dodici stelle significano anche una nuova realtà. L’Apocalisse infatti Mi vede come un grande Segno nel Cielo: Donna vestita di Sole, Che combatte il ‘Drago’ ed il suo potente esercito del male.”
“Allora LE STELLE ATTORNO AL MIO CAPO INDICANO COLORO CHE SI CONSACRANO AL MIO CUORE IMMACOLATO, fanno parte della Mia schiera vittoriosa, si lasciano guidare da Me per combattere questa battaglia e per ottenere alla fine la nostra più grande vittoria.”
“Così tutti i Miei prediletti ed i figli consacrati al Mio Cuore Immacolato, chiamati ad essere oggi gli Apostoli degli ultimi tempi, sono le Stelle più luminose della Mia regale Corona". (Dai commenti di Don Stefano Gobbi su Montfort del 8 Dicembre 1989).




PREGHIERA
ALLA MADONNA DELLE ROSE

O Madre Celeste, Regina dei Cieli, Sovrana Signora degli uomini, Che hai ricevuto da Dio il potere e la missione di schiacciare la testa di ‘satana’, docili all’invito della Tua materna voce, accorriamo ai Tuoi piedi ove Ti degnasTi di apparire per indicare ai traviati il cammino della Preghiera e della Penitenza e dispensare ai languenti le Grazie ed i Prodigi della Tua sovrana bontà.
Accogli, o Madre pietosa, le lodi e le preci che i figli Tuoi, pellegrini di tutto il Mondo, stretti da amare angustie, fidenti levano a Te.
O candida Visione di Paradiso, fuga dalle nostre menti le tenebre dell’errore con la Luce della Fede.
O mistico Roseto, solleva le anime affrante con il Celeste Profumo della Speranza.
O Sorgente inesausta di Acqua Salutare, ravviva gli aridi cuori con l’Onda Divina della Carità.
Fa che noi, figli Tuoi, da Te confortati nelle pene, protetti nei pericoli, sostenuti nelle lotte, amiamo e serviamo il Tuo dolce Gesù, ci innamoriamo del Tuo Rosario, diffondiamo la Tua devozione, ci sforziamo di vivere in Grazia, per meritare i Gaudi Eterni, presso il Tuo Trono nei Cieli. Amen.
( Salve Regina ... )

Approviamo questa Preghiera
ed accordiamo indulgenza parziale a chi la pregherà.
Assisi, 8 Novembre 1969.
+ Giuseppe Placido Nicolini O.S.B.   -   Vescovo di Assisi

(A cura dell’Associazione “Ospizio Madonna delle Rose”)


(Prima di bere l'Acqua -di San Damiano Piacentino-, invocare la SS. Trinità con tre Gloria Patri, quindi far seguire la giaculatoria MADONNA MIRACOLOSA DELLE ROSE LIBERACI DA OGNI MALE DELL'ANIMA E DEL CORPO, pregandoLa con tre Ave Maria).

____________________________________


Preghiera a Dio Padre
per onorare il Santo Altare
con il Sacro Tabernacolo,
Dimora Viva e Vera
della Santissima Eucaristia.

O Dio Onnipotente ed Eterno,
Nostro Padre e Nostro Signore,
Illumina le menti con il Tuo Santo Spirito,
affinché in ogni Tempio,
il Tuo Divin Figlio Gesù
non sia più relegato
in una provvisoria o nascosta Dimora.

Fa che il Santo Tabernacolo,
Luogo del Pane Vivo Celeste,
Rifulga visibile e Maestoso
al centro del Santo Altare
di ogni Tua chiesa,
perché sia e resti unico riferimento
di richiamo spirituale e di unione con Te.

O Padre Celeste,
Ravviva la nostra Fede,
Fa che chi entra nella Tua Casa,
Tempio Santo e Divino,
luogo di Culto, di Preghiera e di conforto,
possa sentire Viva la Tua Presenza
ed il Fuoco del Tuo Paterno Amore .

O Santissima Vergine Maria,
Nostra Regina e Madre Celeste,
Che con San Giuseppe Tuo Sposo,
Sei sempre Presente
presso ogni Santo Tabernacolo,
Intercedi presso Il Tuo Divino Gesù,
affinché vengano esaudite
le Preghiere e le Suppliche
di chi Ti invoca con fiducia.

Santissima Trinità,
Padre Creatore,
Figlio Redentore e
Spirito Santo Che E’ Amore,
Infondete in tutti gli animi la Speranza,
perché il Mondo si rinnovi
alla Luce della Vostra Divina Presenza.
Amen
( Gloria Patri ... )


AD JESUM PER MARIA


(Come tutti i Santi, scelti da Nostro Signore, quasi tutti hanno ricevuto dallo Spirito Santo doni particolari, come quello della profezia, della beata visione, della sapiente lungimiranza ecc..
Santa Teresa del Bambin Gesù - Dottore della Chiesa - con le sue riflessioni spirituali, sulla  Santa Casa di Loreto, ci fa tutt’oggi meditare.
Nella STORIA DI UN’ANIMA, tra l’altro, racconta di aver sentito nella Santa Casa la Viva Presenza di Gesù, assieme a quella della Santissima Vergine Maria, quando ha ricevuto la Santa Comunione. La giovane Teresina descrive di vivere sempre una grande gioia nel ricordare come  tra quelle Sante Mura abbia ricevuto il Sacro Corpo di Gesù Eucaristico. Un luogo, questo della Santa Casa, che a suo dire rende chiara ed imprescindibile la Presenza e la vera Comunione che vi è tra Gesù e Maria presso il Santo Tabernacolo, che da sempre è esistito nella Santa Casa di Loreto.)
LA SANTA CASA DI LORETO

Ricordiamo che dove c’è Gesù
- nel Santo Tabernacolo -
c’è la Santissima Madre,
la Vergine Maria,
Nostra Regina.


Papa Giovanni Paolo II,
in raccoglimento di preghiera,
nella Santa Casa di Loreto
innanzi al Santo Tabernacolo,
(prima che venisse tolto).
La Santa Casa di Loreto,
prima,
quando vi era il Santo Tabernacolo con Gesù.

La Santa Casa di Loreto,
ora,
dopo che è stato rimosso
il Santo Tabernacolo con Gesù.


Santa Teresa di Lisieux (Cesare Peruzzi - Cappella Ultima Cena - Loreto) riceve nella Santa Casa la Comunione, usando il ‘Piattino’, una pratica, questa, indispensabile per evitare che Particelle del Corpo di Cristo cadano sul pavimento.

(CONCLUDIAMO LA NOSTRA CARRELLATA SPIRITUALE CON UNA VALORORSA DENUNCIA CHE TESTIMONIA COME IL VERO CRISTIANO POSSA ESSERE PERSEGUITATO ANCHE AI GIORNI NOSTRI).


DA UNA RECENSIONE LIBRARIA
Martirio al Santuario
Lo psicologo e terapeuta Roberto Marchesini, collaboratore di varie testate, come “Studi Cattolici” ed “Il Timone”, ci offre un saggio storico, bello ed incoraggiante, che ha per tema l’uccisione di un giovane militante cattolico, nella Lombardia all’inizio ‘900, ad opera di attivisti socialisti (cfr. R. Marchesini, Martirio al Santuario. Angelo Minotti e l’Avanguardia Cattolica, Edizione D’Ettoris, Crotone 2010, pp. 100; -per atto di cortesia- euro 11,90. Si può richiedere al tel.: 0962.905192).
«All’inizio del ‘900, Rho era un borgo di circa 7.000 abitanti, con una economia prevalentemente agricola» (p. 65). Angelo Minotti vi era nato nel 1890 da umile famiglia, era un giovane cattolico, impegnato in parrocchia come catechista, il quale si era distinto per il coraggio nei tre anni di prigionia che patì durante la guerra, essendo stato deportato dagli austriaci nel 1916.
Questi i fatti del martirio: «Il 13 giugno del 1920, come ogni anno, la Domenica dopo l’ottava del Corpus Domini, si festeggiava la Festa del Sacro Cuore. Alle due del pomeriggio, al suono delle campane, i rhodensi cominciarono ad affluire sul piazzale del Santuario della Beata Vergine Addolorata. In quel momento giunse sul piazzale anche un gruppo di socialisti, arrivati a Rho con il tram da Milano, per l’inaugurazione di alcune bandiere. Dopo aver insultato i presenti sul piazzale ed averli offesi gridando bestemmie, spezzarono l’asta di un’orifiamma, con il simbolo del comune di Rho, e bruciarono lo stendardo. I presenti tentarono di reagire, ma furono presi a bastonate. Intervenne anche un oblato, padre Rebuzzini, ma venne ferito gravemente con un colpo di bastone spezzatogli sul suo capo. Ad un certo punto sul piazzale echeggiarono alcuni colpi di rivoltella: uno colpì Natale Schieppati, ma l’orologio da tasca deviò il colpo e gli salvò la vita; un altro ferì mortalmente Angelo Minotti, che spirò dopo mezz’ora d’agonia» (pp. 74-75).
A quei tempi almeno, davanti all’aggressione dei comunisti, i cattolici sapevano difendersi. Marchesini infatti racconta per sommi capi, ed è la parte più interessante del libro, la storia di un’organizzazione para-militare cristiana, sorta proprio a causa di queste continue sopraffazioni (cfr. pp. 53-64). Si chiamava “Avanguardia Cattolica”; il suo motto, “Cristo o morte”, era intarsiato su un fazzoletto bianco dai bordi neri, che sventolava fieramente nelle processioni pubbliche; era sostenuta, seppure in modo discreto, trattandosi di un servizio d’ordine non ufficiale (ma che contò fino a 70 gruppi in Italia e circa 1500 membri!), da importanti personaggi (ora Beati) della Gerarchia Ecclesiastica, come il Cardinal Ferrari ed il Cardinale Ildefonso Schuster (1880-1954), il quale scrisse di suo pugno il Decalogo della milizia.
Talmente pare inconsueto tutto ciò, dopo il pacifismo post-conciliare, che per mostrare al lettore del XXI secolo l’attualità e la perennità dell’ideale cavalleresco-crociato, riportiamo in extenso i 10 punti scritti da Schuster (cfr. pp. 55-56):
« 1. Scopo: tutela dei diritti dei Cattolici italiani con i mezzi autorizzati dalle Leggi;
2. Membri: i più generosi, già spiritualmente formati entro le file dell’Azione Cattolica;
3. Requisiti: senza macchia e senza paura;
4: Aiuti: l’uso frequente del Pane dei forti;
5. Armi: “Forti nella Fede”, illuminati nella cultura religiosa, onorati  nella vita;
6. Posto: sempre avanti;
7. Metodo: organizzazione compatta e che ben funziona agli ordini dei Capi;
8. Spazio vitale: in Chiesa e fuori, nei Sindacati e nell’AC, nella vita politica e civile della Patria, nel Senato e nella piazza;
9. Vantaggi: intervenire e farsi rispettare: gli assenti hanno sempre torto!;
10. Premio: Dio e il proprio diritto. »
L’Avanguardia Cattolica, nata nel 1919 e finita con il Concilio, fu onorata da due splendidi discorsi laudativi, riportati in appendice nel saggio di Marchesini (pp. 83-95): uno del 1948 tenuto da Papa Pio XII, a Roma, il 4 gennaio del 1948, ed il secondo letto dal Cardinal Montini, futuro Paolo VI, a Milano, nel 1955.






“ Bianco Padre che da Roma
ci sei mèta, luce e guida,
su noi tutti Tu confida,
su noi tutti puoi contar.
Siamo arditi nella Fede,
siamo araldi della Croce,
ad un cen della Tua voce,
un esercito all’Altar ! ”


W IL PAPA  !












"Bianco Padre"

Inno dell'Azione Cattolica

Qual falange di Cristo Redentore
la gioventù cattolica è in cammino
la sua forza è lo Spirito Divino,
origine di sempre nuovo ardor
ed ogni cuore affronta il suo destino
votato al sacrificio ed all'amor.

- Bianco Padre che da Roma
ci sei meta luce e guida,
in ognun di noi confida
su noi tutti puoi contar:
siamo arditi della Fede,
siamo araldi della Croce,
al tuo cenno, alla tua voce,
un esercito all'altar!

Balde e salde s'allineano le schiere
che la gran Madre dal Suo sen disserra,
la più santa Famiglia della Terra,
innalza al Cielo i cuori e la Bandiera:
ed ogni figlio è pronto alla sua guerra,
votato al sacrificio ed all'amor.