martedì 14 gennaio 2014

La fede

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La fede va
approfondita
per diventare
forza vitale

Vogliamo analizzare le vie attraverso le quali la nostra vita spirituale può svilupparsi in tutto il suo vigore. Cominciamo col dire che questo sviluppo avviene in chiave soprannaturale, quindi al di fuori di ogni nostra possibilità di considerarci i veri protagonisti. Però è altrettanto vero che se non ci impegna seriamente ad alimentarla, proteggerla dai pericoli e curarla con una terapia adeguata, può deteriorarsi e anche azzerarsi. Vale l'analogia con la nostra vita corporale: è un dono di Dio, ma deve diventare anche una nostra conquista.



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Una raffigurazione del
Battesimo di Gesù

In questa sede c'interessa mettere in rilievo la parte che spetta a noi, per coadiuvare con Dio al pieno sviluppo della vita divina che ha inoculato in noi nel santo Battesimo.
I mezzi ordinari ci sono noti:
la preghiera, la liturgia, i sacramenti,
soprattutto l'eucaristia!


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Tutto esatto!
Ma da parte nostra?


Molti nostri fratelli di religione si accontentano della sola Messa festiva, di qualche devozione particolare e vanno avanti così, esponendosi al rischio di rimanere eternamente immaturi, di fronte alle difficoltà che oggi incontra una vita seriamente impegnata nella sequela di Gesù.


Bisogna insistere molto sulla formazione spirituale che comporta approfondimento delle convinzioni di fede, studio sulle lotte che comporta e sui modi di superarle.

A questo servono: la lettura del Vangelo, la partecipazione a corsi di catechesi in parrocchia e fuori. Dove è possibile, ci si affidi ad una guida spirituale veramente all' altezza delle esigenze del proprio programma di spiritualità.

Una fede semplice non regge più!

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Una devozione esteriorizzata somiglia ad un tipo di terapia placebo, che si usa solo quando si è perduta ogni speranza di salvare un malato.

Bisogna approfondirsi nella conoscenza di Gesù: è Lui la nostra Fede, è in Lui che tutto di noi può radicarsi e sviluppasi.

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Invece è risuonata come un fulmine al ciel sereno la frase di quel giornalista che diceva: "Fra i personaggi più noti in Italia, Cristo occupa non si sa se l'ottavo o il decimo posto".

La frase non l'ho presente nella sua forma originale; ma l'ho trovata anche troppo indulgente: l
a conoscenza del Salvatore è ancora al di sotto dei soliti divi della TV (!) e anche della maggior parte dei santi, almeno di quelli più recenti...

Una sola è la conclusione: chi non si adegua a questa esigenza si espone al pericolo di demotivare la propria vita cristiana.
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Molti di voi scrivete che anche la prima pagina vi commuove; la quarta vi dilata all'infinito orizzonti mai immaginati; tutto l'impianto intende favorire in noi una fede che s'incarni in un vissuto, dove al centro brilli la luce e il mistero di Cristo.

PREGHIERA PRODIGIOSA DELLA NOTTE PER LE ANIME LONTANE DA DIO

Questa preghiera si fa per le persone assenti o “difficili” (quelle, cioè, che non accettano coscientemente alcuna preghiera). La preghiera della notte consiste nell’invocare le Preziosissime Piaghe e il Divin Sangue di Gesù, affinché tocchino la radice dei mali che turbano una persona. La lode, la glorificazione e l’azione di grazie a Gesù per la sua Passione sono fonte di abbondanti guarigioni. Il potere di Dio può toccare la parte più profonda del subcosciente di una persona quando questa dorme, e guarirla. Questa preghiera è molto potente, specialmente quando è fatta per i genitori, per i figli, per i fratelli ecc., benehé possa essere fatta anche per altri parenti e amici.
Buon Gesù, Tu hai trascorso lunghe ore della notte in preghiera con tuo Padre: io ti chiedo, in particolar modo per i meriti che ci hai guadagnato durante la notte della tua Passione nell’Orto degli Ulivi, per il sudore di sangue, per i dolori interiori del tuo Sacro Cuore e per i dolori fisici delle benedette piaghe del tuo corpo, di toccare con il tuo amore misericordioso (nome). che in questo momento sta dormendo, e di fargli sentire che Tu lo ami più di quanto lui immagina. Amen. 

Padre Dario Betancourt

Se qualcuno ti percuote...

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SE QUALCUNO TI PERCUOTE LA GUANCIA DESTRA
TU PORGIGLI ANCHE L’ALTRA ( Mt. 5,39 )

Una delle affermazioni del Vangelo che è stata più conosciuta, usata e fraintesa dalla nostra gente. Veniva usata anche come soluzione di barzellette, come dire, dai, che poi ci penso io…

Chi si è accorto, nei secoli passati che dentro vi si nascondeva una delle componenti più originali del messaggio evangelico:la NON VIOLENZA ? Doveva essere un induista come il Mahatma Gandhi e il pastore protestante Martin Luther King a riproporla nella sua giusta luce….

Difatti il discorso non ha nulla a che fare con le guance o destra, o sinistra; come non ha a che fare, poco più avanti, con la tunica e il mantello ecc.
Si tratta solo di violenza da vincere con il suo contrario e non con altrettanta forza bruta, fisica o psichica.

Gesù adopera un linguaggio figurato, immaginoso, tipico della sua gente, per proporre la soluzione di un problema mai risolto dagli uomini. I primitivi cercavano di risolverlo con le unghie e con le lance di pietra; i romani con la forza razionalizzata dalle legioni ferree, i moderni con le bombe atomiche e gli scudi stellari. E’ sempre lo stesso vizio incorreggibile.

Gesù dice in termini moderni: Se uno ti offende (ti percuote ) è segno che ce l’ha con te, per qualche torto che gli hai fatto. Tu dici di no: ma lui è convinto di si. Ora se tu gli rispondi con un altro schiaffo, cioè con altrettanta violenza, lui non si ritiene soddisfatto, e ci riproverà, appena possibile. Tu raddoppierai, e anche lui. Capisci che questa è la “spirale di violenza” senza via d’uscita.

Invece dice il Maestro Divino: Se al primo schiaffo, ti domini e chiedi a colui “ perché mi percuoti: ti ho forse fatto del male? Mostramelo e ti darò soddisfazione; con gli schiaffi non si risolve nulla …”

Stentiamo a crederlo:lo schiaffeggiatore rimarrebbe confuso e disarmato. Successo a Gerusalemme davanti ad Anna, durante il processo. Lo ricordi ?

Lasciate che i bambini vengano a me

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E' difficile dare il giusto
peso a questa frase
Non è facile, oggi dare il giusto peso a questa frase di Gesù: tutta la puericultura e la "paídagoghia" moderna stanno arrivando all'esagerazione, nel pretendere che i bimbi vengano lasciati ai propri istinti, "per non inibirli...".

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Ma a quei tempi, il fanciullo era nulla, sia in Grecia che a Roma.
A Roma si dovettero attendere i tempi di Quintiliano, grande pedagogo, per sentir dire che, massima debetur puero reverendi (al fanciullo vi deve massima riverenza).
In Israele si era sulle stesse piste. Quante volte, nel Vangelo si contano le folle che vanno dietro a Gesù e regolarmente si aggiunge: "Senza contar le donne e i bambini"...? E' altamente significativo.
Per un rabbi famoso come Lui, doveva essere considerata una grave mancanza di rispetto, fargli avvicinare dei bimbi vivaci e non disponibili a gravi discorsi...
Gli apostoli, in verità, avevano questo per la mente, quella sera che al Maestro, stanco di una giornata a ritmo apostolico accelerato, furono avvicinati molti bambini, da parte delle loro madri, desiderose che Gesù li benedicesse.
Gesù questa volta non solo colse l'occasione per enunciare qualcosa, un principio, un particolare, del Regno dei cieli ,ma insorse indignato contro quel modo di pensare dei suoi discepoli.
Non solo quei bimbi non lo offendevano nella Sua dignità, ma rappresentavano per Lui il capolavoro della creatività del Padre, ancora allo stato del genuino...
Ed era in loro, nella loro innocenza, semplicità, disponibilità, soprattutto nella loro facilità a fidarsi dei loro genitori, che vedeva espresso il vero tipo del cristiano: di un figlio che, senza discutere tanto, si affida alla premura del Padre celeste.
Non era una lezione marginale, nel Suo Messaggio di Salvezza; e voleva che i discepoli se la mettessero bene in mente.

Ho scoperto la verità

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Solo Cristo mi ha dato speranza
Nel mondo pagano c’era assenza assoluta di speranza, come affermava Paolo apostolo, date le idee confuse che avevano su Dio e il suo interessamento in favore degli uomini.
Anche il grande Aristotele sembra aver detto: Dio, l'Atto puro, è tanto grande che non può abbassarsi fino a darsi pensiero di un essere così piccolo come è l'uomo...

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D'altronde non è che nel rapporto fra Dio e l'uomo, raggiunto nella religione di Mosè e dei profeti,  le cose fossero andate molto più in là.
Se non si riesce a leggere il Vecchio Testamento nella luce dei Risorto, i limiti posti alla speranza per l'uomo si riducono ai beni che intercorrono fra nascita e morte. Punto e basta.
Ogni speranza si ridurrebbe ad avere salute, un buon numero di figli, e poi pecore, buoni, capre, fichi, sicomori, terre da coltivare e soprattutto nemici da controbattere.
Come vedete, si trattava di speranza a dimensione immanentistica: cioè fra vita e morte.

Quando però compare Gesù all'orizzonte dell'umanità, la prospettiva cambia e cambia radicalmente dalla base.

Il suo solo rivelarsi come Figlio di Dio evidenzia che il Padre ama l'umanità: ha offerto ad essa il suo bene supremo, oltre cui non ha altro da donare.
L'aver chiamato Evangelo il suo messaggio, cioè "dolce notizia" aveva senso di rivelazione di un destino ricco di speranza, su cui fondare una vita serena, sotto lo sguardo di Dio, assistita passo passo dalla sua premura sovrana e, nel contempo, paterno- materna.
L'aver proclamato la chiamata per tutta l'umanità alla vita eterna, cioè ad una vita non più condizionata al tempo, non più tormentata da malattie, disgrazie, sventure: - e neanche una semplice vita eterna, alla quale, in ogni caso, aveva già diritto, per la sua anima immortale, ma quella stessa che gode il Figlio di Dio, nel seno del Padre suo, è qualcosa che dà un rilievo nuovo, esaltante al destino supremo dell'uomo.
La vera speranza, quella di cui l'uomo non può fare a meno per vivere e morire dignitosamente, ci è stata rivelata da Gesù Cristo.
Solo da lui. Nessun altro poteva garantire l'uomo, oltre le soglie della realtà corporea, perché solo lui è alla destra del Padre, lui solo può rivelare il mistero dell'amore incessantemente creativo del Padre verso di noi.

Con questo arriviamo ad intuire che la speranza cristiana non è soltanto una virtù teologale, come abbiamo imparato dal catechismo dei piccoli, ma addirittura, una persona: Cristo stesso.

La scoperta ha dell'esaltante e ci permette d'intuire che più siamo uniti a lui e più si rafforza in noi la beata speranza, di essere, un giorno, con lui nella casa del Padre, a godere della felicità stessa di Dio e riabbracciare, in quella luce sfavillante di vita, tutti i nostri cari.
Ha ragione, pertanto, la Chiesa di cantare nell'antico Prefazio delle messe pro defunctis: "In lui rifulge per noi la speranza della beata risurrezione".
E di questo non finiremo mai di ringraziarlo, per tutta l"eternità.

"Dio è accanto a noi, cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre"


Papa: "Dio è accanto a noi, cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre"
"Dio, che non ha Storia, perché è eterno, ha voluto fare Storia, camminare vicino al Suo popolo. Ma di più: farsi uno di noi e come uno di noi, camminare con noi, in Gesù". "E il Signore Gesù, anche nella nostra vita personale ci accompagna: con i Sacramenti. Il Sacramento non è un rito magico: è un incontro con Gesù Cristo, ci incontriamo il Signore".

Città del Vaticano (AsiaNews) - "Dio sempre aspetta. Dio è accanto a noi, Dio cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre. Gesù sempre ci aspetta. Questa è l'umiltà di Dio". Nella storia del Popolo di Dio ci sono "momenti belli che danno gioia" e anche momenti brutti "di dolore, di martirio, di peccato", "e sia nei momenti brutti, sia nel momenti belli una cosa sempre è la stessa: il Signore è là, mai abbandona il Suo popolo!". E' la riflessione offerta da papa Francesco dal salmo "Andremo con gioia alla Casa del Signore" commentato all'omelia della messa celebrata stamattina a Casa santa Marta.
Come riferisce la Radio Vaticana, il Papa ha evidenziato come "il Signore, quel giorno del peccato, del primo peccato, ha preso una decisione, ha fatto una scelta: fare Storia con il Suo popolo. E Dio, che non ha Storia, perché è eterno, ha voluto fare Storia, camminare vicino al Suo popolo. Ma di più: farsi uno di noi e come uno di noi, camminare con noi, in Gesù. E questo ci parla, ci dice dell'umiltà di Dio". Ecco allora che la grandezza di Dio è proprio la sua umiltà: "Ha voluto camminare con il suo Popolo". E quando il suo Popolo "si allontanava da Lui con il peccato, con l'idolatria", "Lui era lì" ad aspettare. E anche Gesù viene con "questo atteggiamento di umiltà". Vuole "camminare con il Popolo di Dio, camminare con i peccatori; anche camminare con i superbi". Il Signore ha fatto tanto "per aiutare questi cuori superbi dei farisei":
"Umiltà. Dio sempre aspetta. Dio è accanto a noi, Dio cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre. Gesù sempre ci aspetta. Questa è l'umiltà di Dio. E la Chiesa canta con gioia questa umiltà di Dio che ci accompagna, come lo abbiamo fatto con il Salmo. 'Andremo con gioia alla casa del Signore': andiamo con gioia perché Lui ci accompagna, Lui è con noi. E il Signore Gesù, anche nella nostra vita personale ci accompagna: con i Sacramenti. Il Sacramento non è un rito magico: è un incontro con Gesù Cristo, ci incontriamo il Signore. E' Lui che è accanto a noi e ci accompagna".

Gesù si fa "compagno di cammino". "Anche lo Spirito Santo ci accompagna e ci insegna tutto quello che noi non sappiamo, nel cuore" e "ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha insegnato". E così "ci fa sentire la bellezza della buona strada". "Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo sono compagni di cammino, fanno Storia con noi". E questo la Chiesa lo celebra "con tanta gioia, anche nella Eucaristia" con la "quarta preghiera eucaristica" dove "si canta quell'amore tanto grande di Dio che ha voluto essere umile, che ha voluto essere compagno di cammino di tutti noi, che ha voluto anche Lui farsi Storia con noi". "E se Lui è entrato nella Storia di noi, entriamo anche noi un po' nella Storia di Lui, o almeno chiediamoGli la grazia di lasciarci scrivere la Storia da Lui: che Lui ci scriva la nostra Storia. E' sicura".

Lo Stemma di Papa Francesco

Franciscus - miserando atque eligendo

SPIEGAZIONE DELLO STEMMA
miserando atque eligendo

LO SCUDO
Nei tratti, essenziali, il Papa Francesco ha deciso di conservare il suo stemma anteriore, scelto fin dalla sua consacrazione episcopale e caratterizzato da una lineare semplicità.
Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso). In alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero.
In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l’antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.
IL MOTTO
Il motto del Santo Padre Francesco è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).
Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell'itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell'anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull'esempio di Sant'Ignazio di Loyola.
Una volta eletto Vescovo, S.E. Mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l'espressione di San Beda miserando atque eligendo, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio.

Esaudimento del giusto provato dalla sofferenza


Salmo 21 (22)

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido!
 
Mio Dio, grido di giorno e non rispondi;
di notte, e non c'è tregua per me.
 
Eppure tu sei il Santo,
tu siedi in trono fra le lodi d'Israele.
 
In te confidarono i nostri padri,
confidarono e tu li liberasti;
 
a te gridarono e furono salvati,
in te confidarono e non rimasero delusi.
 
Ma io sono un verme e non un uomo,
rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente.
 
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
 
“Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!”.
 
Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai affidato al seno di mia madre.
 
Al mio nascere, a te fui consegnato;
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
 
Non stare lontano da me,
perché l'angoscia è vicina e non c'è chi mi aiuti.
 
Mi circondano tori numerosi,
mi accerchiano grossi tori di Basan.
 
Spalancano contro di me le loro fauci:
un leone che sbrana e ruggisce.
 
Io sono come acqua versata,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si scioglie in mezzo alle mie viscere.
 
Arido come un coccio è il mio vigore,
la mia lingua si è incollata al palato,
mi deponi su polvere di morte.
 
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
 
Posso contare tutte le mie ossa.
Essi stanno a guardare .e mi osservano:
 
si dividono le mie vesti
sulla mia tunica gettano la sorte.
 
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.
 
Libera dalla spada la mia vita,
dalle zampe del cane l'unico mio bene.
 
Salvami dalle fauci del leone
e dalle corna dei bufali.
 
Tu mi hai risposto!
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.
 
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d'Israele;
 
perché egli non ha disprezzato
né disdegnato l'afflizione del povero,
il proprio volto non gli ha nascosto
ma ha ascoltato il suo grido di aiuto.
 
Da te la mia lode nella grande assemblea;
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
 
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!
 
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
 
Perché del Signore è il regno:
è lui che domina sui popoli!
 
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere;
 
ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
 
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
“Ecco l'opera del Signore!”.

Commento


Il salmo presenta un giusto sofferente e perseguitato, pieno di speranza in Dio.
L’autore del salmo guarda alla sua esperienza di dolore, ma anche intende proporre un modello di sofferente che sostenga i fedeli nel momento della prova più terribile, cioè quando sono rifiutati, colpiti, dalla loro stessa gente. Il risultato presenta una tale aderenza nella descrizione di molte delle sofferenze di Cristo da dire che l’ispirazione ha modellato il giusto del salmo sul Cristo crocifisso.
Le prime parole del salmo sono un’invocazione sgomenta dinanzi a Dio; sgomenta, ma senza alcun rimprovero E’ un gemito rivelatore del suo grande tormento interiore: essere di fronte all’abbandono di Dio, al silenzio di Dio, che sembra assente, mentre egli è il Dio presente come attesta il tempio.
Il punto che lo sconvolge, è che il suo popolo, quello che vive all’ombra del tempio e che dovrebbe essere laudante attorno al trono di Dio “
Tu siedi in trono fra le lodi di Israele” rifiuta la giustizia, e così anche la propria storia di popolo chiamato a proclamare i benefici di Dio. “In te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li hai liberasti” dice, alludendo alla liberazione dall’Egitto.
Ma, ecco, egli è diventato “
rifiuto degli uomini”, schiacciato a terra come un verme, privato della dignità di uomo. Di fronte a sé ha solo schernitori che si sfoggiano un sentirsi a posto con Dio, visto che Dio è dalla loro parte poiché non porta aiuto a colui che ora è nelle loro mani e che si diceva suo amico: “Si rivolga al Signore, lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!”.
Ma il giusto perseguitato e colpito continua a confidare in Dio; non raccoglie la velenosa provocazione che lo vorrebbe rendere dubbioso davanti a Dio. Dio lo ha tratto dal grembo di sua madre; cioè il Padre ha dato al Figlio una natura umana, e, una sola persona (Figlio) in due nature, lo ha tratto dal grembo di una donna, e al suo nascere lo ha preso subito sulle sue ginocchia (Cf. Gn 50,23; Is 46,3) in riconoscimento della sua paternità.
L’aggressione che egli subisce è violenta, implacabile: “
Mi circondano tori numerosi, mi assediano grossi tori di Basan…" (Basan è una regione ricca di pascoli a sud di Damasco). “Io sono come acqua versata”, buttato via, gettato via, come acqua. Colpito, strattonato, è pieno di dolore: “sono slogate tutte le mie ossa”. Il suo cuore cede per il dolore e lo sforzo d’amare; ed egli avverte che viene meno come colpito da infarto: “Il mio cure è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere”.
E’ disidratato e la sete lo attanaglia; la sua gola è riarsa e non può muovere che a stento la lingua: “
La mia lingua si è incollata alla gola”. Egli si trova “su polvere di morte” senza scampo.
Gli avversari si sono ancora di più incattiviti vedendo la sua perseveranza, sono diventati un “
branco di cani” che addentano. Premuto, assediato da ogni parte, gli vengono trafitti i piedi e le mani così da impedire che si muovesse o si difendesse dai colpi: l’autore del salmo non pensava alla crocifissione, pena di morte introdotta più tardi dai romani. “Posso contare tutte le mie ossa”, l’espressione rende l’idea complessiva del dolore che gli viene da ogni parte del corpo, ma la traduzione della Volgata di san Gerolamo - “hanno contato tutte le mie ossa” - è sicuramente proveniente da un manoscritto migliore in questo punto perché fa vedere anche la crudeltà degli aggressori, che hanno badato a che nessuna parte del corpo del giusto giustiziato fosse senza ferita e dolore.
Gli aggressori si compiacciono ferocemente dei dolori del giusto giustiziato : “
essi stanno a guardare e mi osservano”. E sono tanto noncuranti di lui che giocano a dadi le sue vesti, secondo il diritto che si aveva sui condannati: “sulla mia tunica gettano la sorte”.
Di fronte a questo stato di strazio il giusto giustiziato non cessa di pregare e domanda aiuto a Dio per sfuggire non già alla morte, ma alla morte cui segue la consunzione della tomba, e questo mediante la risurrezione.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea”, dice. Risorto darà luce ai suoi fratelli, loderà il Padre nell’assemblea dei credenti (Cf. 1Cor 15,6).
Egli dirà: “
Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza di Israele…”. E nella Chiesa, nella grande assemblea, loderà il Padre. Nella Grande Assemblea dove egli sarà presente con la sua Parola, con la sua reale presenza Eucaristica e col dono dello Spirito Santo.
Nel banchetto della carità “
i poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano”.
La visione diventa universale, perché la salvezza del Cristo è universale: “
Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno  tutte le famiglie dei popoli”. I popoli all’annunzio del Vangelo ricorderanno ciò che avevano dimenticato, che l’uomo è capace di Dio, che Dio è uno solo e che è bontà. Che il regno del mondo (Ap 11,15) è di Dio, e sue sono tutte le nazioni. E non solo ricorderanno e torneranno, che equivale a convertirsi, ma insieme a ciò crederanno alla lieta notizia evangelica, quella del regno dei cieli presente nella Chiesa per lievitare tutta la terra conquistata dal Cristo.
A Dio solo, liberi in eterno da ogni influsso di idolatria, si prostreranno, nel giorno della risurrezione, quanti ora dormono sotto terra.
Il grande Giusto giustiziato esprime la sua certezza che egli vivrà, risorgerà da morte e celebrerà in eterno il Padre: “
Ma io vivrò per lui”.
E la sua discendenza, la Chiesa, servirà in lui, nel dono dello Spirito Santo, il Padre, portando la salvezza da lui ottenuta per tutte le genti. “
Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia”, e la sua giustizia del Padre è Cristo, che ha espiato le colpe degli uomini. “Ecco l’opera del Signore”, diranno alle generazioni che si susseguono. E “l’opera del Signore” è Cristo, Cristo vivente nella Chiesa.

Come vestiva Cristo?

... con vesti ruvide ed ampie
Sembrerebbe, a prima vista, uno di quei problemi a sfondo fittizio e privi di senso. Invece lo presentiamo come un discorso serio ed istruttivo. Partiamo dal ricordare che un ebreo dei tempi di Gesù, andava vestito nella maniera più vicina al beduino di oggi; vesti ruvide e ampie, che si riducevano ad una tunica ad ampie maniche, stretta alla vita da una cintura, o da una fascia di panno. Piedi nudi o dotati di sandali, secondo il grado sociale o i giorni festivi. Sul capo un turbante o panno più o meno rettangolare, annodato in vari modi e usato per difendersi dal sole.
Un rabbino poteva sfoggiare vesti un più o meno ruvide, con turbante che denotava gradi, distinto, fra la società ebraica. I leviti e sacerdoti sembra che avessero vesti particolari solo quando erano di servizio al tempio, o nelle sinagoghe.
Portando il discorso sul Salvatore, c'è da tener presente che, propriamente parlando non era neppure un rabbino di professione, diciamo riconosciuto ufficialmente dalla società ebraica. Lo sapevano tutti (almeno coloro che ci tenevano a dirlo, per screditarlo) che Lui non era uscito da scuole rabbiniche, omologate dalla competente autorità: lo chiamavano "Rabbi", o "Maestro", le folle ignoranti, colte dalla profondità e novità della sua dottrina.
Comunque Gesù passava per rabbino e, conseguentemente, doveva indossare vesti che lo mostrassero come tale: niente di più. Se si vuole essere chiari, si deve dire che andava vestito come tutti gli altri rabbini. Ora si è detto che i rabbini dei tempi di Gesù  non si presentavano distinti per paludamento, ma per saggezza.

Chiunque incontrava Gesù, per le vie della Palestina lo poteva riconoscere come un rabbino più dal codazzo di gente che lo seguiva, che da livree particolari, o da una divisa di riconoscimento. Perciò se anche noi lo avessimo incontrato in Galilea, o a Gerusalemme non saremmo mai arrivati a capire chi egli era dall'esterno, insomma dalla foggia del vestito, perchè per questo, si era uniformato perfettamente al costume dei colleghi; anzi amiamo credere che fosse apparso come un laico qualunque, magari qualificato per il credito che gli avevano assicurato i discorsi di liberazione e i racconti prodigiosi che circolavano fra la sua gente.
Invariabilmente, si pensa a questo punto, come si siano regolati in proposito gli apostoli e i primi responsabili delle comunità cristiane dei primi secoli. Non ci vuole molto a capire che hanno seguito il sistema di Gesù, di vestirsi come gli altri. Per arrivare all'epoca delle vesti sacre, bisogna scendere al sec.IV^, quando ormai la Chiesa rischiava di seguire criteri pratici di potere e di prestigio. Allora arrivano le vesti caratteristiche dei monaci, che denotano vittoria sulla vanità e ricchezza, nonchè del clero, che cominciava ad imitare i potentati della terra.
Oggi, come tutti notate,  molti dei nostri preti non usano più vesti ecclesiastiche o monastiche e preferiscono comparire in pubblico nelle fogge più estrose e trasandate.... Il Papa e i Vescovi vorrebbero che i sacerdoti e i religiosi continuino con la veste talare  oppure con il clergyman. Se qualcuno sembra disattendere questa volontà è a coscienza loro e nessuno di noi deve permettersi critiche o riserve.

Gesù, rabbunì mio...

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Così veniva chiamato il Salvatore
Cerchiamo di chiarire più ampiamente possibile qualcuno di quei dati della carta d’identità di Gesù: il primo è il Nome.
Non è stato facile arrivare alla sua grafia esatta, da cui ricavare la pronunzia, pur trattandosi di un nome assai comune nel giudaismo prima della venuta di Gesù, perché era quello del condottiero che aveva introdotto gli ebrei nella terra promessa: Giosuè. Difatti questo nome rimanda a Yoshua, che significava, anticamente Yahvè = aiuta, passato, in seguito, a significare Yahvè = salva.

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Così appunto lo spiega l'evangelista Matteo. L' angelo disse a Giuseppe che il Savatore doveva chiamarsi con questo nome: "Tu lo chiamerai Gesù: Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21).
Luca, che non era ebreo, nel precisare che ciò era già stato chiesto dall'angelo a Maria, scrive: "Lo chiamerai Gesù" (Lc 1, 31); invece di darne l'etimologia, spiega che sarebbe stato grande e chiamato Figlio dell'Altissimo.
Dunque, YOSHUA, Dio aiuta, oppure Dio salva.
Ma questa è la grafia ebraica, che sicuramente avremmo trovato in tutti gli atti riguardanti il rabbi di Nazareth, presso l'autorità centrale religiosa, soprattutto in quelli della scomunica, avvenuta poco prima della condanna a morte che il sinedrio avrebbe presentato, sul primo mattino della parasceve dell'anno 30, a Ponzio Pilato per la firma necessaria alla mandata in esecuzione.
Senonché Gesù era della Galilea, e lassù nessuno parlava più ebraico (eccetto i rabbini della zona).
Difatti, dopo studi condotti con ostinazione fino ai nostri giorni, si è giunti al risultato che nella Galilea il nome suonava e si scriveva YESHU, con una leggera aspirazione dopo la U, come fosse Yeshuah. Così veniva chiamato dai suoi conterranei, dalle folle che lo seguivano, dagli apostoli, discepoli e pie donne.
All'anima cristiana sta particolarmente a cuore di sapere che così lo chiamava sua Madre, Maria, quando lo cullava sulle sue ginocchia, quando lo chiamava a sé, quando gli affidava qualche piccolo incarico, man mano che cresceva. E così lo chiamava il padre putativo, l'incomparabile Giuseppe.
Appunto, ufficialmente, cioè davanti al pubblico di Nazareth e della Galilea, tutti lo chiamavano Yeshu barYosiph o Yoseph (bar, in aramaico, significa figlio) .
In conclusione: da Yeshu, è derivato il greco Iesoús, da cui il latino Jesus. Viedellospirito abbina all'articolo sopra citato il canto " Jesus Christ You are my life ". 

Ecce homo

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I legionari, con ironia,
gli gridavano:

"Ave Re dei Giudei"
Allestito lo spettacolo, con il Re da burla assiso su di una pietra, uno sgabello, i legionari passarono agli ossequi vituperosi. Gesù, avvolto in una clamide militare rossa, con una canna in mano, che poteva essere giunco di Cipro o di Spagna, se li vide passare davanti, piegando le ginocchia, gridando con ironia beffarda: “Ave, Re dei Giudei!”. Per dare più vita e risalto al gesto, osarono sputargli in faccia con disprezzo; qualcuno gli strappò di mano lo scettro ridicolo e con quello cercò di tormentarlo sul capo coronato di sterpi. Gli storici romani, Cornelio Tacito e Dione  Cassio, ci informano che quando uno era stato condannato a morte, prima della esecuzione era d’uso caricare di insulti il miserabile.
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Lo scrittore filosofo ebreo Filone, contemporaneo di Gesù, racconta che quando l’Imperatore schizofrenico Caligola dichiarò Re della Giudea Erode  Agrippa I°, quello che avrebbe decapitato l’Apostolo Giacomo maggiore e sbattuto in carcere S. Pietro, i giudei di Alessandria di Egitto, contrariati da quella scelta, allestirono uno spettacolo a vergogna di Agrippa.
Sequestrarono un pazzo qualunque, lo cacciarono nel “gynnasium” della città, lo fecero sedere su un rialzo, e gli misero in testa, per corona, un cesto o paniere e una stuoia sulle spalle. Agrippa era quello lì… La folla fuori di sé, urlava in semitico “Marin”,  ovvero “Signor padrone!”…
 L’episodio accadde pochi decenni dopo quello di Gesù, che intanto rivedeva Pilato, a toglierlo da quello scempio, per presentarlo, conciato in quel modo, davanti alla folla insensata. Il romano non vide male gli atroci maltrattamenti con cui lo avevano distrutto: poteva servire per placare gli animi inferociti degli avversari.
Difatti il magistrato ricomparve agli occhi del pubblico dal balcone esterno della Torre Atonia, che esclamava: “Ecco, ve lo conduco fuori, per farvi vedere che non  trovo in lui alcun motivo di condanna”. E voleva dire: “Potevo tenermelo a discutere ancora con me sui crimini che gli contestate; ma è perfettamente inutile, non essendovi alcun motivo; quindi vi faccio vedere come è stato trattato: accontentatevi e lasciatelo andare…”.
Difatti in quel momento apparve Gesù, con la corona, la clamide e la canna in mano. Pilato gridò commosso: “Ecce homo!”. Che voleva dire: “Guardate che  uomo: guardate come è ridotto. Come potete temere di un individuo conciato così?”.
Pilato, purtroppo, si ingannava, nonostante la sua esperienza di magistrato inflessibile. La vista dell’avversario abbattuto, suscita comprensione e riconciliazione solo negli animi nobili; nei vigliacchi scatena il senso della distruzione, il furore che vuole imperversare perfino sulle ceneri del nemico...
Nella storia giudaica (e non solo in quella) non si è trattato di un caso sporadico… E tutti urlavano:

Il titolo della condanna

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La tavoletta del condannato:
perchè tutti vedessero...
 
Parliamo ora della tavoletta posta sopra il capo del Crocifisso, con la motivazione della condanna capitale. I Romani ci tenevano a rendere pubblica la sentenza di morte, anche a mezzo di scritte particolari, in modo che la gente della strada, anche quella, sapesse per quali ragioni si era giunti alla sentenza capitale. Certamente ne ebbero anche i due criminali condannati con Gesù, con le motivazioni del caso. In quella riguardante Gesù, il procuratore romano, Ponzio Pilato, ci fece mettere semplicemente gli estremi anagrafici e non accenni a crimini particolari. Il testo per disteso ce lo ha conservato solo S. Giovanni: “Gesù Nazareno Re dei Giudei”.
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Matteo ha: “Questi è Gesù il Re dei Giudei”
Marco, più breve: “Il Re dei Giudei”

Luca ripete Matteo quasi del tutto. Che fosse nelle tre lingue allora più note lo apprendiamo da Luca e Giovanni. Iniziava in ebraico, o aramaico, da destra a sinistra, che suonava presso a poco così:  “Joshua Nazir, melek Joudaim”.
 Il greco, da sinistra a destra, suonava: “Jesus Nazoreus,vasileos ton Joudeon”. Il latino lo conosciamo tutti: “Jesus Nazarenus rex Judeorum” (da cui  la nota sigla che vediamo sul capo di Gesù Crocifisso: JNRI).
La tavoletta con la scritta veniva appesa al collo del condannato, su cui pesava la croce, cioè la stanga traversa, o patibolum, in modo che, lungo il tragitto verso il luogo della esecuzione, tutti vedessero.
Giunto a destinazione, la tavoletta, o Titolum, veniva fissata sul vertice della croce.
Lungo la strada, la scritta veniva proclamata con un corno, o una tuba, da un legionario a cavallo, chiamato praeco o banditore, appunto perché dava il bando e annunciava per quali ragioni si era giunti a tanto.
Le tre lingue usate per il Titolo rendevano troppo manifesto lo scandalo: l’ebraico o aramaico, era per i palestinesi; il greco lo conoscevano tutti; il latino era la lingua dei dominatori. Pilato lo aveva usato per vendicarsi del sinedrio! Per questo una delegazione andò da lui e protestò: “Dovevi mettere non che è Re dei Giudei, ma solo che lo ha detto lui... ecco!”.
 
Ma Pilato ne aveva fin troppo di quelle teste surriscaldate, che proprio allora lo avevano costretto ad un atto ingiusto che gli pesava su la coscienza e urlò: “Quel che ho scritto, ho scritto”; cioè, basta con le vostre storie: comando io, comanda Roma e non voi.
Quelli se ne andarono, e il titolo reale è rimasto, non dei Giudei soltanto, ma del mondo, della storia, dell’eternità.

Il linguaggio della Sindone





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... del sangue della 
Santa Sindone
 
La Sindone, con il linguaggio del sangue, rivela due interessanti particolari che consentono una minuziosa ricostruzione di questa dolorosa andata al sepolcro. La prima documentazione riguarda la zona delle reni, dove il corpo dell'Uomo della Sindone è segnato da rivoli di sangue, in direzione trasversale, così da far pensare ad un deflusso del sangue, causato dalla posizione orizzontale assunta dal Sacro Corpo nel tragitto dal Calvario al sepolcro.

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Deflusso di sangue postmortale
nella zone delle reni, causato dalla
posizione orizzontale assunta dal
corpo dopo la deposizione dalla Croce
 
La colorazione di questo sangue, che si rivela ricco di plasma, è tale da consentire di qualificarlo come «effetto della sedimentazione post - mortale delle emazie nella cavità cardiaca, perforata dal colpo di lancia» (Dott. Giordano).

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Tallone sinistro dell'Uomo della Sindone
con impronta di tre dita di una mano

E' naturale, infatti, che dalla ferita del costato, ponendo il corpo supino, il sangue della parte inferiore del corpo, rimasto ancora nei vasi dopo la ferita del soldato, (mentre quello della parte superiore del corpo era uscito subito dopo 1' apertura della lanciata) è naturale, dico, che uscisse abbondantemente e si localizzasse nella zona delle reni.

Una seconda documentazione, ancora più commovente, si nota ai piedi, particolarmente al piede sinistro. Si tratta di impronte digitali di uno dei fortunati portatori del corpo di Gesù.

Queste furono causate da quel sangue, che doveva uscire, dai fori dei piedi, schiodati di recente, a causa dell'edema insorto o intra vitam «per insufficienza circolatoria, o post mortem, per ipostàsi cadaverica » (Dott. Giordano).
 
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Seguendo fedelmente i margini di quella impronta si può ricostruire questa immagine. Si tratta precisamente del mignolo, dell'anulare e del medio in una mano sinistra, in posizione contratta, tipica di chi sostiene un peso. Il pollice e l'indice per dare forza alla presa, sono naturalmente
localizzati nella parte superiore del piede.


Il sangue scendendo si concentrava nella zona dei talloni dove ha lasciato dei segni strani che hanno permesso una perfetta ricostruzione delle mani con le dita arcuate, in posizione contratta, che rivelano lo sforzo per un peso che hanno portato.

Il mignolo, l'anulare e il medio della mano sinistra, a contatto con la superficie del piede, furono circondati dal sangue che scendeva dal foro del piede sinistro nel tallone sinistro, (meno chiaro è per la mano destra, nel tallone destro).

Dalla Sindone, dunque, è evidente che nel portare il  Sacro Corpo alla sepoltura, i portatori, camminavano in modo da far precedere i piedi. 

Gocce di vita

 
 
“Venite a me voi tutti
che siete stanchi
ed io vi darò
completo riposo…
e troverete pace
per le vostre anime”.
(Mt. 11,28)

La parola del giorno 14/01/2014

♥ Antifona d'ingresso____________
Vidi il Signore su di un trono altissimo:
lo adorava una schiera di angeli e cantavano insieme:
“Ecco colui che regna per sempre”.



† Lettura____________________ 1Sam 1,9-20
Il Signore si ricordò di Anna ed ella partorì Samuèle. Dal primo libro di Samuèle

In quei giorni Anna si alzò, dopo aver mangiato e bevuto a Silo; in quel momento il sacerdote Eli stava seduto sul suo seggio davanti a uno stipite del tempio del Signore. Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore, piangendo dirottamente. Poi fece questo voto: «Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo».
Mentre ella prolungava la preghiera davanti al Signore, Eli stava osservando la sua bocca. Anna pregava in cuor suo e si muovevano soltanto le labbra, ma la voce non si udiva; perciò Eli la ritenne ubriaca. Le disse Eli: «Fino a quando rimarrai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!». Anna rispose: «No, mio signore; io sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogando il mio cuore davanti al Signore. Non considerare la tua schiava una donna perversa, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia angoscia».
Allora Eli le rispose: «Va’ in pace e il Dio d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto». Ella replicò: «Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi». Poi la donna se ne andò per la sua via, mangiò e il suo volto non fu più come prima.
Il mattino dopo si alzarono e dopo essersi prostrati davanti al Signore, tornarono a casa a Rama. Elkanà si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto».

Parola di Dio

† Il Vangelo del giorno (Daily Gospel)_________________
Mc 1,21-28
Gesù insegnava come uno che ha autorità

+ Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao,] insegnava. Ed erano stupìti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Parola del Signore
 

La frase del giorno 14 Gennaio

Ti senti insoddisfatto? 

 
Pensa se perdessi tutto quello che possiedi ora e poi lo riavessi di nuovo:

non ne saresti felice?