venerdì 21 marzo 2014

Papa Francesco nell'omelia: chi non confida in Dio perde tutto

Papa Francesco: In chi riponiamo la nostra fiducia? Nel Signore o negli idoli?

 In chi riponiamo la nostra fiducia? Nel Signore o negli idoli?
Papa Francesco nel corso della riflessione mattutina odierna, in Casa Santa Marta, ha posto una domanda rivolta a tutti coloro che lo ascoltavano, e in un certo qual modo quindi anche a noi “in chi riponiamo la nostra fiducia?
È leggendo la Prima Lettura del giorno (Ger 17,5-10), laddove si dice “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore“ che il Papa fa notare l’attualità di queste parole: ”questa è la maledizione… di quello che confida nelle proprie forze o in se stesso, nelle possibilità degli uomini e non in Dio“.
Fare questo, porre la propria fiducia in sé stessi e nelle cose che ci circondano ci porta a “perdere il nome. Come ti chiami? Conto numero tale, nella banca tale. Come ti chiami? Tante proprietà, tante ville, tanti…  - ha spiegato Bergoglio – Come ti chiami? Le cose che abbiamo, gli idoli. E tu confidi in quello, e quest’uomo è maledetto“.
La nostra fiducia, invece, deve essere riposta “soltanto nel Signore” poiché ha sottolineato Papa Francesco “altre fiducie non servono, non ci salvano, non ci danno vita, non ci danno gioia“. È proprio questo, del resto, il messaggio descritto nel Vangelo di oggi (Lc 16, 19-31): non confidando in Dio si perde il proprio nome, e finiamo per identificarci con quello che possediamo. A questo segue l’egoismo, il quale prende il sopravvento, facendoci sprofondare nell’infelicità.
La salvezza è nel ripristinare il giusto ordine: riporre la fiducia non negli idoli ma nel Signore. Questo grazie a una “parola magica” chiude Papa Francesco: la parola “Padre” cui il Signore ci risponde ridandoci il nostro nome, rimettendoci nel nostro posto nel creato e chiamandoci “Figlio“. Non dobbiamo avere timore dunque, né dobbiamo lasciarci prendere dallo sconforto poiché abbiamo una certezza: “Lui sempre ci aspetta per aprire una porta che noi non vediamo“.

“Riposo nello Spirito” e guarigione



Quando si riceve un autentico tocco interiore da parte di Dio, si beneficia sempre di qualche grazia di consolazione o guarigione.
L’intensità di questo tocco può variare dalla semplice sensazione di pace e di gioia (che è di per sé benefica) fino ad un contatto molto più diretto e profondo.
Senza entrare nell’ambito dei fenomeni mistici di “alto grado” quali i rapimenti e le estasi, esiste un tipo di grazia particolare e piuttosto diffusa, comunemente chiamata “riposo nello Spirito”, che consiste nell’abbandono alla potenza dello Spirito Santo che priva momentaneamente delle forze fisiche colui che la sperimenta ed agisce a livello interiore.
Questo abbandono all’amore di Dio potrebbe essere superficialmente interpretato come un fenomeno che avvilisce la dignità umana poiché ritenuto in contrasto con i comuni modi di operare di Dio. In realtà, molti si sono profondamente convertiti assistendo a persone che cadono in questo riposo, o si sono perlomeno posti domande riguardo alla nostra reale dimensione spirituale. Più che umiliare le persone risulta infatti essere una vera e propria benedizione, così potente che i nostri corpi non sono in grado di contenerla.
Nei suoi scritti Teresa d’Avila descrive molto dettagliatamente i vari gradi di unione mistica dell’anima con Dio e le manifestazioni ad essi legati. Sembra in particolare che il fenomeno del riposo nello Spirio possa essere accomunato a quello che lei classifica come “sonno delle potenze”. Per potenze si intendono il moto e l’operazione, l’intelletto, la volontà, la memoria… A tal riguardo troviamo scritto:
“Mi pare che questo modo di orazione sia una manifesta unione di tutta l’anima con Dio, durante la quale sembra che il Signore voglia permettere alle potenze di capire e godere quanto Egli va in esse operando. [...] Si ha come un sonno delle potenze, le quali, pur senza perdersi del tutto, non riescono a capire come agiscono. Il piacere, la soavità, le delizie che qui si godono sono incomparabilmente più grandi che in passato, perché qui l’acqua della grazia arriva alla gola, tanto che l’anima non può, né sa come avanzare, né come tornare in dietro, soltanto bramosa di quella grandissima gioia. Benché vedessi che era molto più intima della precedente, tuttavia capivo che non era un’unione piena di tutte le potenze, e confesso che non riuscivo a discernere né a comprendere dove ne fosse la differenza. [...] Mi ero trovata molte volte come fuori di me e quasi ebbra d’amor di Dio, ma non avevo mai compreso come ciò avvenisse. Capivo che era un’operazione di Dio, ma non avevo mai compreso come Egli operasse, perché, quantunque le potenze gli fossero unite quasi del tutto, non erano però così assorte da non poter operare.[...] Qui le potenze non possono far altro che occuparsi in Dio. Sembra che nessuna ardisca muoversi, e nemmeno potremmo muoverle noi, a meno che volessimo distrarci. Tuttavia ci vorrebbe molta forza, e non sempre si riuscirebbe del tutto”. (Teresa di Gesù s., Libro della Vita, cap. 16, 1-3)
Le persone che hanno sperimentato il riposo nello Spirito riferiscono di essersi sentite leggere come una piuma nel cadere e di aver provato una grande pace e senso di potenza di Dio mentre giacevano a terra. Al contrario, chi assiste al fenomeno, nota la persona cadere a terra rapidamente come se fosse svenuta.
Chi non conosce il fenomeno può spaventarsi, ma in realtà colui che cade nel riposo non sente alcun dolore e non sbatte la testa contro gli ostacoli presenti. Anche nel caso in cui urtasse violentemente contro oggetti spigolosi, non riporterà alcun dolore e danno. E’ sorprendente vedere come la mano di Dio protegge e accompagna a terra il corpo ormai privo (o parzialmente privo) della propria forza. Quando le persone cadono, riferiscono infatti che ciò avviene in maniera molto dolce e sperimentano spesso una sensazione di assenza di peso.
E’ importante chiarire che il riposo nello Spirito non ha niente a che vedere con gli stati di trance medianica tipici dei fenomeni di Occultismo, in cui la persona perde completamente il controllo del proprio corpo e della propria psiche in quanto posseduta da qualche spirito Maligno.
Nel caso più comune colui che sperimenta l’autentico riposo nello Spirito rimane infatti vigile, sente i rumori intorno a se, gli odori ed ogni contatto esterno con il suo corpo. La persona è soltanto privata momentaneamente delle forze fisiche. Il Signore opera nello spirito della persona, amandolo, confortandolo, guarendolo, consolandolo e facendogli sperimentare un profondo senso di pace.
Il riposo nello Spirito si verifica in momenti particolarmente intensi in cui si invoca lo Spirito Santo, con o senza l’imposizione delle mani da parte di altre persone. Si verifica molto spesso durante gli incontri di preghiera dei gruppi del Rinnovamento nello Spirito ed in occasione delle loro adorazioni eucaristiche. Anche in luoghi dove la presenza del Signore è molto forte (es. Medjugorje) non è raro vedere persone che cadono nel riposo in seguito all’imposizione delle mani da parte di qualche Sacerdote.
Ciò che principalmente conta è l’apertura del cuore e la disponibilità ad abbandonarsi nelle mani del Signore. In alcuni casi può verificarsi la caduta nel riposo anche a casa propria, qualora si riesca a creare un adeguato clima di preghiera e lode a Dio. La lode, infatti, aumenta considerevolmente la probabilità che si verifichi il fenomeno in quanto rappresenta la situazione più vicina al clima di adorazione tipico degli Angeli e dei Santi in Paradiso.
Molte persone che hanno sperimentato il riposo nello Spirito ci aiutano a capire che da ciò derivano molteplici effetti positivi e reali, soprattutto a livello interiore:
  1. Sperimentare la presenza di Dio. Coloro che entrano nel riposo, sperimentano non solo tranquillità e pace, ma la presenza del Signore stesso.
  2. Facilitare la guarigione. Quando non c’è davvero tempo di parlare e di pregare come si vorrebbe, specialmente quando si è in presenza di molta gente. Se una persona cade nel riposo, il Signore può guarirla o liberarla più velocemente. Talvolta, quando non si sa cosa non va e non si ha il tempo di chiedere, sarà semplicemente il Signore ad occuparsene.
  3. A volte, nei casi più difficili, è necessario che il Signore operi con una potenza particolare (questo accade soprattutto nelle preghiere di liberazione, quando ci si trova in presenza di spiriti maligni). il riposo nello Spirito rende ogni cosa molto più facile, perché la potenza di Dio è talmente grande che tutto ciò che è male fatica a rimanere alla sua presenza; viene respinto dalla grandezza della bontà di Dio e non deve essere scacciato direttamente. Oppure, qualora sia necessario scacciarli, gli spiriti maligni si arrendono più facilmente. Lo stesso vale anche per la guarigione: questa speciale potenza sembra agevolare la guarigione; sembra succedere molto di più di quanto accade normalmente e più rapidamente. Spesso è come se il Signore stesso prendesse il controllo della situazione e desse consigli e guarigioni oltre agli aiuti di cui la persona ha bisogno.
Il riposo nello Spirito è perciò un vero e proprio dono, anche se alcuni evangelizzatori lo usano come semplice dimostrazione della potenza di Dio.
Per quanto riguarda l’elemento tempo, il riposo nello Spirito può durare da pochi secondi fino a diverse ore. Quando dura a lungo, generalmente il Signore ha deciso di operare più a fondo nella vita interiore della persona.
E’ importante ricordare che le persone che hanno sperimentato tale fenomeno non sono necessariamente sante, ma si tratta di doni che Dio concede anche ai deboli per attirarli a sé.
Sebbene fin qui si sia tentato di definire delle linee guida, in realtà quando le persone sperimentano il riposo dello Spirito, si possono verificare casistiche notevolmente diverse: alcune sono in grado di alzarsi, ma preferiscono riposare e pregare; altre sono incapaci di alzarsi e tuttavia sono pienamente consapevoli di tutto ciò che sta avvenendo; altre ancora sono così prese dalla loro realtà interiore che quasi non si accorgono di quanto sta accadendo intorno. Anche il grado dell’esperienza interiore varia in modo considerevole, da persone che sperimentano semplicemente una specie di sonno (senza che accada molto a livello interiore) all’essere quasi rapiti al settimo cielo come capitò a Paolo, o ad avere visioni della realtà divine.
Generalmente il riposo nello Spirito avviene sempre in modo tranquillo e ordinato. I casi in cui la persona urla o si assiste a qualche sorta di sfogo emotivo, portano a credere che la potenza dello Spirito abbia toccato in quella persona qualche area che necessita di guarigione interiore o di liberazione. Il bisogno di guarigione interiore di solito trova sfogo nelle lacrime che spesso sono state represse per molti anni. Talvolta, quando sono presenti spiriti maligni, la potenza dello Spirito li scuote; essi non possono sopportare la sua presenza e così si rivelano. D’altra parte, quando ciò accade, è consigliabile condurre la persona in un luogo dove si possa disporre della privacy necessaria per pregare e portare a termine la liberazione. In breve, tutto quanto non avviene in modo semplice e pacifico non è azione diretta dello Spirito, ma è la reazione di una natura umana ferita o delle forze del male.
Chiaramente si possono presentare problemi, in primo luogo perché il riposo nello Spirito appare come qualcosa di sensazionale e la gente ne comprende assai poco il significato. Le persone ne rimangono talmente impressionate, che la ricerca del sensazionale può prendere il sopravvento. Si spera che ne venga sempre evidenziato lo scopo principale – quello spirituale – e non causi più stupore. La risposta alla maggior parte di questi problemi non è pertanto la soppressione del dono – n tal modo il suo valore e il suo fine andrebbero perduti per la comunità – quanto piuttosto un suo uso prudente e saggio affinché venga compreso e non ne vengano esaltati gli aspetti sensazionali.
La gente solitamente ha la tendenza a ricercare il nuovo e lo spettacolare; invece di cercare Gesù, desidera delle manifestazioni visibili. Spesso, quando le persone cominciano a cadere a destra e a sinistra, l’esito che ne deriva è quello di un’atmosfera circense, che disturba qualunque cristiano equilibrato.
E’ inoltre importante ricordare che sono sempre possibili contraffazioni psichiche e naturali di questo fenomeno ed è un errore esprimere un giudizio semplicistico sostenendo che un incontro nel quale si verifica il riposo nello Spirito è più “ricolmo di Spirito” oppure un Sacerdote (o laico) è più spirituale quando, attraverso la sua imposizione delle mani, la gente “cade nel riposo dello Spirito” oppure che una persona che cade nel riposo “è più spirituale di chi non si abbandona”. Ci sono persone che non cadono mai nel riposo quando si prega per loro, ma che sembrano molto vicine al Signore. Forse la ragione per cui non è accaduto è che sono così abituate a sperimentare la potenza dello Spirito che avvertono, per così dire, solo un piccolissimo “differenziale”. Santa Teresa d’Avila spiega che quanto più si abituava alla potenza di Dio tanto minori erano le manifestazioni fisiche, mentre la sua vita di preghiera s’intensificava.
Sembra quindi che le persone abituate alle esperienze spirituali siano meno portate ad andare nel riposo nello Spirito. Inoltre, alcuni critici del fenomeno sostengono che coloro che cadono più facilmente appartengono ad un genere di persone più suggestionabili, gli adolescenti ad esempio, tuttavia non è così automatico. In genere, una persona aperta allo Spirito Santo ed alla sua libera azione – sia essa matura o immatura – è più portata di un’ altra al riposo nello Spirito.
Essere più sensibili all’azione dello Spirito è quasi avere una marcia in più; non si tratta solo di essere suggestionabili, sebbene per alcune persone entri in gioco anche questo fattore. D’altro canto molta gente fa di tutto per non cadere nel riposo; tuttavia, quando la potenza è molto forte, cade lo stesso.
Vi sono alcuni tipi di persone che sembrano frenare questa esperienza, in particolare coloro che riescono a controllare le loro emozioni. Certi individui temono veramente di lasciarsi andare: non si tratta tanto di un problema spirituale quanto interiore; hanno paura di tutto quanto non riescono a dominare attraverso la ragione. Alcune persone appaiono più mature, ma sono in realtà troppo controllate e hanno perso la capacità di rispondere alla vita con spontaneità.
In breve, è avventato esprimere qualunque genere di giudizio sommario sulle persone che cadono nel riposo, ritenendole diverse da coloro che rimangono in piedi. Talune cadono perché sono immature e cercano soltanto qualche nuovo tipo di esperienza; altre si rifiutano di cadere perché sono emotivamente limitate (e immature in un altro senso). Certe persone si lasciano travolgere dallo Spirito, perché sono aperte e si arrendono senza problemi; altre ancora non cadono perché sono già così vicine a Dio che il “differenziale” non è tale da farle cadere. Dunque, “non giudicate, per non essere giudicati” (cfr. Mt 7,1).
Per concludere è necessatio dire che non tutti vengono guariti cadendo nel riposo nello Spirito. A volte i malati possono aver avuto un’esperienza di pace o persino una sorta di profonda unione spirituale con Dio (sperimentando amore, protezione, potenza), ma ciò non implica necessariamente la loro guarigione fisica o interiore. Purtroppo sono tante le persone che rimangono deluse quando le loro aspettative non si realizzano immediatamente. Quindi è importante ricordarsi, da un lato di accettare la benedizione interiore ottenuta tramite il riposo nello Spirito, e dall’altro di non perderla a causa dell’ansia o di un falso senso di colpa per non aver ricevuto la guarigione attesa.
II riposo nello Spirito, tuttavia, è uno stato in cui c’è molta probabilità che la persona riceva una guarigione interiore o fisica. In alcuni casi sembra che esso intervenga per “anestetizzare” la persona, prima di subire un “intervento chirurgico” da parte del Signore; in certi casi l’intervento è breve, in altri può durare anche molte ore.
(Alcune parti sono estratte dal libro “Il Riposo nello Spirito”, Padre Robert De Grandis, Edizioni San Michele)

LO SPIRITO DI DIO ALEGGIAVA SULLE ACQUE


Considerazioni sullo Spirito Santo nell'Antico Testamento.

È bello mettersi alla ricerca dello Spirito di Dio!
Dove lo trovo? Dove si nasconde e dove si rivela il movimento delle sue ali, il leggero fruscio del suo soffio, il calore della sua fiamma, la dolcezza del suo suono? 
Nella Storia della Salvezza è Lui il protagonista, ad ogni passo. Dio Padre ha preparato la culla per il suo Figlio con l’azione delicata e paziente dello Spirito! E così il Figlio ora continua a portarci al Padre sospingendo le nostre vele con lo spirare del vento dello steso Spirito!
Queste meditazioni sono un tentativo di andare in cerca dello Spirito nelle pagine della Sacra Scrittura. te le offro nella speranza di godere anch’io del frutto della tua rinnovata preghiera allo Spirito Santo!
Don Vigilio Covi
 
1. 
Ora la terra era informe e deserta
e le tenebre ricoprivano l’abisso
e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. (Gen 1,2) 
Dio ha scelto fin dal principio la strada o il metodo della gradualità, della crescita, della pazienza; egli ha messo l’attesa come colore alle sue opere, e l’umiltà come sapore costante di tutto il suo agire. Quando egli crea il cielo e la terra, li crea bisognosi ancora di tutto. Del cielo sappiamo poco - o nulla - perché esso è quella parte di creazione che i nostri occhi non sfiorano e le nostre mani non raggiungono. Della terra è detto che era informe e deserta: la terra era senza forma e senza vita. Ed essa è ancora senza forma e senza vita: vari spazi, immensi, sono ricoperti di tenebra; o, per intenderci meglio, così sembra a noi, che abbiamo spesso gli occhi chiusi e non ce li lasciamo illuminare dalla sua luce!
La creazione è ancora ed è sempre in cammino. E noi, che dimoriamo in essa, dobbiamo ancora imparare a contemplarla e ad amarla con lo sguardo e il cuore di Colui che l’ha creata.
Quando la terra e l’abisso ricevono forma e luce?
Quando la terra riceve significato?
Quando sulle montagne e sulle colline spuntano e crescono la vita e la gioia?
Quando l’abisso della morte, così spaventoso e orribile, viene illuminato in modo che ogni tenebra fugga e lasci il posto alla pace? 
Sulla creazione di Dio, quella creazione che appare sempre agli inizi e di cui ci sembra di non vedere mai la pienezza, aleggia lo Spirito di Dio. Questa creazione è sempre in movimento, come le acque, talora tumultuose e travolgenti.
Lo Spirito di Dio sta sopra tutto. Egli non si mescola alle tenebre né si perde nella terra deserta. Egli sta al di sopra. Lo Spirito di Dio è presente, e col suo movimento - come lo sbatter tranquillo delle ali di un’aquila - apre il nostro sguardo a vedere terra e abisso e acque divenire servitori dell’umile e paziente amore del Padre!
Lo Spirito di Dio dà forma alla creazione, la forma provvidenziale all’uomo, conveniente perché l’uomo possa percorrere la strada che lo porta al Padre. 
Lo Spirito di Dio continua nei secoli e negli anni della mia vita ad animare tutta la creazione, finché essa trovi nel mio cuore la risposta dello stupore e del rendimento di grazie!
Lo Spirito di Dio muove gli abissi e le realtà informi, e le porta vicino al mio cuore, e muove il mio cuore, perché, grazie all’amore che egli suscita, anche le varie cose e le varie situazioni divengano tessere del grande mosaico del disegno di Dio, amico degli uomini! 
Il terremoto del mese scorso, le acque che inghiottirono la nave, le armi che hanno travolto un popolo con la valanga di sofferenze e disperazione sono “la terra informe e deserta” e “l’abisso” ricoperto di tenebra.
Ma lo Spirito di Dio non solo non è assente, egli “aleggia”, egli continua a confortare e infondere vita e a creare nuovi movimenti di amore. Proprio là lo Spirito di Dio muove le realtà, che si lasciano mettere in ordine dal suo soffio, a nuovi esercizi di amore, a nuovi impulsi di fede generosa e fresca, a nuovi sguardi che s’innalzano verso il Crocifisso, colui che nella tenebra dell’abisso più fondo è diventato luce e speranza e risurrezione! 
Lo Spirito di Dio è sempre ancora lo Spirito del Risorto dai morti, di colui che dal deserto più solitario e tremendo, mosso dallo Spirito, viene per alitare sui luoghi di morte e di tenebra della creazione di Dio! 
Spirito Santo, Spirito del Dio vivente, grazie della brezza vivificante con cui continui a ristorare la terra nel suo cammino verso la pienezza!
Grazie della tua presenza sopra tutti gli abissi e le tenebre, sopra i deserti e sopra le situazioni che, ancora informi, col tuo agire diverranno amore!
Grazie della luce con cui nell’abisso della morte ci illumini Gesù risorto!
 
2. 
Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». 17Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». 18Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. (Gen, 28,16-18) 
In questo brano della Genesi non si parla direttamente dello Spirito Santo. Si parla invece dell’olio versato su di una pietra per consacrarla a Dio. E noi abbiamo imparato a collegare l’unzione con l’olio allo Spirito Santo di Dio. Gesù stesso ci fa pensare allo Spirito Santo quando a Nazareth parla della propria consacrazione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l’unzione...” (Lc 4, 18)
Giacobbe è sconvolto. Egli è in fuga: ha paura del fratello che ha scoperto d’esser stato da lui ingannato. Quello è un fratello forte e violento.
Ora la notte costringe Giacobbe ad una sosta nella fuga. Egli si ferma per riposare, per dormire e riprendere le forze per portare al sicuro la propria vita minacciata. In quella notte, nel sonno, egli ha un sogno. È il famoso sogno della scala, che dalla terra raggiunge il cielo, una scala che serve agli angeli e solo agli angeli per salire e scendere. Giacobbe non capisce perché gli angeli salgano e scendano, non capisce nemmeno perché sia necessaria una scala. Egli capisce che quel sogno è una parola di Dio per lui, pieno di paura e angoscia.
Quel sogno è un segno che Dio lo accompagna, che non lo abbandona. Quel sogno è un segno che Dio non è rimasto presso la tenda di suo padre Isacco, ma lo sta seguendo e precedendo nella sua corsa. Quel sogno è per lui un’esperienza che ha reso visibile l’invisibile, vicino colui che è ritenuto lontano, presente nella propria storia Colui che viene istintivamente pensato assente o distante. 
Per Giacobbe quel sogno ha reso la Presenza di Dio più concreta di quella pietra su cui aveva tenuto poggiato il capo nella notte. Proprio quella pietra, il suo guanciale provvisorio, resterà come segno di quell’incontro notturno. E Giacobbe non si limita ad alzare la pietra, a metterla cioè in una posizione tale che tutti capiscano che è un segno posto dalle mani e dalla volontà d’un uomo, ma vi versa sopra dell’olio. L’olio è frutto della benedizione data da Dio alla terra e al lavoro dell’uomo. L’olio è nutrimento, ma è anche protezione delle membra dall’arsura del caldo, è ristoro alla stanchezza, è unguento che fa brillare il volto di gioia! L’olio è dono di Dio, di quel Dio che ama gli uomini come un Padre! 
La pietra unta con l’olio è segnata per sempre: essa è consacrata ad esser ricordo di Dio, memoria del suo amore per l’uomo che fugge dal fratello. La pietra unta con l’olio è una pietra qualunque, ma per un disegno meraviglioso e misterioso, è un punto di contatto della terra col cielo!
Pietra viva, consacrata, unta con l’unzione dello Spirito è Gesù. Egli è la prima pietra innalzata come segno, luogo di contatto della terra col cielo, memoria della Presenza di Dio nella storia dell’uomo. Unto dal suo Spirito sono anch’io pietra viva, segno e ricordo dell’amore di Dio all’uomo che cammina con angoscia nella notte del mondo.  
Lo Spirito Santo mi fa “casa di Dio”, abitazione del suo amore, membro vivo di quell’edificio spirituale nel quale il Padre accoglie i suoi figli: la Chiesa! Essa è l’appoggio sulla terra della scala che gli angeli continuano a percorrere salendo e scendendo, portando in alto il bisogno di salvezza dell’uomo e riportando dal cielo la risposta, Gesù, Salvatore donato per tutti! 
Spirito di Dio, grazie che consacri il mio cuore, inerte come pietra, ad esser membro del Corpo di Cristo e segno dell’amore del Padre!
Spirito Santo e vivificante, gloria a te e alla tua azione trasformatrice: tu divinizzi l’uomo, tu rendi me peccatore segno della grazia e della consolazione del Padre!
 
3. 
“L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto.” (Es 3,2) 
La fiamma di fuoco, cui Mosè vorrebbe avvicinarsi per soddisfare la propria curiosità, mi ricorda le parole di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49) e le parole del Battista, che presentò Gesù così: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco!” (Lc 3,17) E ancora la stessa fiamma in mezzo al roveto mi porta al ricordo della prima Pentecoste dopo la Resurrezione di Gesù: lingue come di fuoco risplendettero - senza consumare - sopra i Dodici.
Fiamma di fuoco che rivela la Presenza di Dio, del Dio vivente capace di parlare all’uomo, capace di chiedergli impegni di vita! Dalla fiamma che non brucia esce infatti una voce: è una voce amica, e proprio per questo esigente. Mosè, all’udire quella voce che non gli permette di avvicinarsi se non scalzo, si copre persino il volto per paura di vedere ciò che la fiamma già gli nasconde.
Il fuoco che Gesù porta sulla terra è come questo, un fuoco che non brucia, un fuoco che illumina, un fuoco che attira a sé l’uomo risvegliandogli il desiderio prepotente di udire la Voce che parla pur senza scorgere il Volto dell’Interlocutore, di udire la Parola, anche se questa stessa Parola esige che l’uomo si privi dei suoi calzari, delle sue sicurezze.
Quel fuoco che illumina Mosè gli mostra un nuovo cammino, una nuova direzione per la sua vita: egli non vivrà per se stesso e per la propria famiglia, egli vivrà per il suo popolo, quel popolo ormai così abituato ad essere schiavo, da non desiderare più la libertà, perché troppo impegnativa e responsabilizzante.
Illuminato da quella fiamma e dalla Parola che ne esce bruciante Mosè è cambiato. È ancora sì un pover’uomo che non sa parlare speditamente la lingua dei suoi fratelli, è ancora uno su cui pesa il ricordo del passato e dei suoi errori giovanili, è ancora uno che non gode la stima e deve guadagnarsi la fiducia all’interno del proprio popolo, ma è pure un uomo nel cui cuore brucia ora una fiamma che non lo lascia più chiuso in se stesso. In lui ora brucia la sete di vedere salvi i suoi fratelli, di liberare i suoi consanguinei dalla schiavitù, di far udire anche a loro quella Voce amica che ha riempito i suoi orecchi e il suo cuore e non si separa più dalla sua mente.
Ecco il fuoco in cui Gesù battezza i suoi. È un fuoco come quello che sull’altare del tempio trasforma le vittime e le oblazioni e le fa salire in alto al cospetto di Dio!
Fuoco bruciante e trasformante è lo Spirito in cui Gesù immerge coloro che si rivolgono a lui scalzi per udire la Parola ardente: fuoco che trasforma l’uomo in offerta d’amore, fuoco che fa perdere all’uomo l’attenzione a se stesso per rivolgerla tutta ai desideri di colui che lo incontra inaspettatamente e lo vuole disponibile e pronto, anche se incapace e timoroso.
Fiamma nel roveto: il roveto può rimanere spinoso e inestricabile come il cuore dell’uomo, ma la fiamma col suo calore e la sua luce espande lontano la propria influenza benefica. Fiamma nel roveto è lo Spirito che copre i Dodici nella Pentecoste: ad ognuno di loro rimangono le spine della propria umanità, debolezze e incapacità, ma da ognuno di loro si effonde l’azione benefica del Dio che salva gli uomini dal loro peccato e dalla loro solitudine. 
Vieni, Spirito Santo! Vieni, ardi in me. Ardi nella Chiesa del Figlio di Dio. Dal tuo fuoco la Parola, che trasforma e impegna gli uomini al servizio dei fratelli per portarli a Dio, sarà accolta! Tu sei fuoco che rende la mia e la nostra vita una vera offerta al Padre, gradita e santa!
 
4. 
“Come il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato il grande grido di guerra, le mura della città crollarono.” (Giosuè, 6,20) 
Un grande clamore, un popolo che lancia un grido di guerra non appena ode il suono della tromba, un popolo obbediente ai suoi sacerdoti che suonano il corno, e le mura della città nemica crollano!
Non ci sono varchi nelle mura di quella città, che è una continua minaccia per il popolo di Dio. Essa lo minaccia con due mezzi, la forza e la seduzione.
La città che fa paura al popolo di Dio può usare l’esercito per impedirgli il cammino, oppure potrebbe usare l’arma ancora più temibile della seduzione, perché esso si arresti da solo: dar voce alle proprie divinità, farle apparire attraenti, dipingerle dello stesso colore dell’Arca santa, cioè far in modo che esse annuncino quegli stessi valori che nascono come frutto della fedeltà a Dio: prosperità, salute, armonia, unità, fraternità, eguaglianza, libertà!
Se le divinità di Gerico, col loro oro e col loro argento, fossero capaci di sedurre il popolo di Dio, questi farebbe pace: le accoglierebbe: sarebbe l’inganno peggiore, apostasia dal Dio vivente, morte del popolo.
Nessuno può abbattere Gerico. È una città troppo sicura, troppo salda e ben difesa. Ignorarla sarebbe pericoloso. Bisogna affrontarla. Giosuè si fa ispirare dall’angelo di Dio, si pone in ascolto. 
In ascolto dell’angelo di Dio, Giosuè apprende che le armi dell’uomo e gli uomini forti e valorosi e intelligenti non servirebbero a nulla. Qui ciò che serve è uno spirito nuovo: uno spirito povero, che si fida di Dio, uno spirito semplice che accoglie proposte persino infantili, uno spirito obbediente, solo obbediente, che per sette giorni faccia le stesse cose senza frutto, e al settimo giorno le ripeta ancora per sette volte prima di vedere qualcosa! Sette trombe suonate da sette sacerdoti: un suono che tiene l’animo desto e rivolto a Dio.
Sono i suoi sacerdoti che fanno vibrare l’aria donando speranza, la speranza che Dio può intervenire e interverrà per sbarazzare il cammino del popolo da ogni ostacolo pericoloso. 
Mi pare di udire il fragore di quelle sette trombe di corno d’ariete nel giorno di Pentecoste, a Gerusalemme! Questa volta non sono nemmeno i sacerdoti del Tempio che le suonano, sono angeli di Dio nascosti, invisibili.  
Quel fragore indica l’irrompere nel popolo nuovo, appena uscito dal deserto tremendo della morte in croce del suo unico Fondamento, l’irrompere dello Spirito: Spirito nuovo, Spirito di povertà, Spirito di semplicità, Spirito di obbedienza che dà coraggio a Dodici uomini di affrontare senza armi, con la sola tromba dell’Evangelo, le mura secolari della città del Mondo! 
Al suono della loro Tromba crolleranno le mura di città potenti, le città dell’odio, della vendetta, quelle della dea Venere e del dio Bacco, che rendono gli uomini schiavi dei loro piaceri, quelle di Mercurio e di Afrodite, di Iside e di Saturno, che col loro materialismo ed egoismo edonistico impediscono la fraternità e la pace, poiché impediscono i passi al popolo di Dio e cercano di sedurlo con la loro apparenza di bene e di religiosità.
Lo Spirito Santo di Dio è il suono che esce dalla Tromba degli Apostoli, l’unica arma che vince il mondo, mio nemico. Lo Spirito Santo è l’unica speranza, l’unica potenza su cui posso contare per il nostro cammino verso il Padre, l’unica forza che può liberare il mondo dalle sue schiavitù. Lo Spirito Santo è l’unica arma che posso indossare per risultare invincibile. 
Vieni Spirito Santo!
5. 
“Corse da Eli e gli disse: mi hai chiamato, eccomi!” (1Sam 3,5.6.8) 
Una voce chiama nel sonno. Sembra voce d’uomo: è una voce che chiama per nome, una voce che sveglia più volte alla stessa maniera.
Né il ragazzo chiamato, né l’anziano interpellato sanno riconoscere colui che chiama.
È una voce reale, inconfondibile, ma lascia confusi e, in un primo momento, disorientati.
Samuele era giovane: “In realtà Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Egli continuava a servire il Signore sotto la guida di Eli”. Il ragazzo si lasciava guidare, era un giovane obbediente: serviva il suo Dio nella sottomissione. Il suo superiore non era un ‘santo’, anzi, era stato richiamato da un profeta di Dio per non aver punito i suoi figli depravati. Samuele non lo giudicava, continuava a lasciarsi guidare da lui.
In questo “ambiente” di docilità si fa udire la Voce nella notte. È la voce di Dio, è lo Spirito di Dio che diventa parola che risveglia, parola che desta l’attenzione.
Samuele non lo sa discernere. Egli continua a pensare che quella che ode sia voce d’uomo, continua a credere che sia un richiamo naturale, e naturalmente gli obbedisce, senza cedere a critiche o giudizi contro l’uomo che gli potrebbe apparire come bugiardo. Egli va da lui senza dirgli: perché mi chiami e poi dici che non sei stato tu? Samuele in questa confusione notturna non pensa nulla. È chiamato e risponde. È rimandato e ubbidisce.
Samuele così è pronto per essere strumento di benedizione divina per il suo Popolo, è pronto a ricevere la Parola e divenire lui stesso la voce che la fa risuonare agli orecchi degli uomini, è pronto ad esser mosso dal soffio delicato e appena percettibile dello Spirito di Dio. Samuele, senza sapere e senza volere, diviene Profeta. 
Nella vicenda giovanile di Samuele troviamo molto aiuto per discernere l’agire dello Spirito Santo nella nostra storia, nelle nostre esperienze all’interno della vita della Chiesa.
Lo Spirito Santo, soffio leggero e delicato, si serve di persone docili, di persone provate nella disponibilità; lo Spirito di Dio non rifiuta il giovane e l’inesperto, il ragazzo abituato solo ad ubbidire, la persona che non si lascia sfuggire un lamento. Anzi, è proprio il piccolo e il povero, l’umile e il semplice ad essere il preferito dallo Spirito che gli manifesta i segreti del Padre, come ha detto anche Gesù!
Il piccolo e il povero nemmeno s’accorgono d’essere adoperati da Dio, non riuscirebbero a pensarlo da sé, eppure i grandi uomini della storia della salvezza dell’umanità sono sempre stati trovati tra i semplici e gli umili.
“Se Dio avesse trovato uno più ignorante di me, avrebbe potuto fare di più”, hanno detto molti santi!
Lo Spirito Santo ha bisogno del nulla per manifestarsi e per operare: ha trovato la persona più umile e libera da se stessa per generare in lei il Figlio di Dio!
Lo Spirito Santo ha trovato dei rozzi pastori per renderli i primi gioiosi testimoni del Salvatore Bambino! Ha trovato dei pescatori di un piccolo lago per affidare loro il messaggio che doveva solcare i mari e gli oceani!
Ha trovato un persecutore intelligente e caparbio: lo ha reso cieco e lo ha buttato a terra per poterlo chiamare con una voce d’amore e trasformarlo in apostolo umile e deciso! Non ha ascoltato la sua preghiera che chiedeva forza e salute, perché rimanesse umile e non contasse sulla propria bravura, sulla propria energia ed eloquenza, ma solamente sulla grazia e sulla forza dell’amore divino!
Ha trovato molti poveri uomini e umili donne per formare la sua Chiesa, renderla perseverante nella fede, continuatrice lungo i secoli della sua azione benefica verso tutti i popoli. Ha trovato molti che, come Samuele, hanno risposto con umiltà alla sua voce! 
Vieni, Spirito Santo, fa udire ancora la parola di Dio, chiama. Spero d’essere pronto anch’io! 
6. 
“Quando lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui.” (1Sam 16,23) 
Che cosa succedeva al re? Egli stesso non sapeva spiegarselo, non riusciva a darsene ragione. Il fatto è che non riusciva a dominarsi. Una forza più potente delle sue energie, una forza che vinceva su tutte le sue più buone intenzioni entrava in lui. Ed egli si sentiva burattino, ma non di quelli che divertono. Tutti si dovevano allontanare da lui. L’esperienza strana e avvilente del re Saul la comprendono molti oggi. Anzi, piuttosto che comprenderla la conoscono, perché la vivono o la subiscono da parte di qualche familiare.
Che cosa fare in simili frangenti? L’impotenza assoluta scoraggia e intristisce. La rassegnazione non può dar pace, perché gli effetti di un simile comportamento allargano a macchia d’olio le sofferenze. Il regno di Saul è costernato: non solo i suoi ministri e i suoi familiari, che non sanno quando possono fidarsi di avvicinarlo..., ma tutto il popolo rimane come paralizzato.
La famiglia di quel mio amico, che con me è tanto gentile e servizievole, è impietrita: in casa, proprio lui, così dolce quand’è al bar o per strada o in canonica, si scatena: uno spirito sovrumano lo investe.
Che cosa fare? Si può fare qualcosa?
Da che cosa dipende un simile repentino cambiamento? Chi è quello ‘spirito sovrumano’ che sceglie un uomo invece di un altro come sua abitazione temporanea? Chi l’ha chiamato? C’è stato qualche incantatore o mago che ha fatto con lui un patto affinché mandi un dipendente di Satana? Qualche spiritista gli ha imposto le mani fingendo di guarirlo da qualche malattia, e in compenso della salute gli ha preso una parte dell’anima? Qualche invidioso o qualche malefico ha inviato la sua maledizione o l’ha concretizzata in qualche oggetto strano e misterioso deposto in casa? O lui stesso, peccando gravemente contro Dio, s’è consegnato al Maligno per compiere qualche azione peccaminosa segreta?
Da qualunque parte venga, quello spirito estraneo alla vita normale e benedetta dell’uomo deve andarsene. Da solo non se ne va. 
C’è un giovane, già amico di Dio. Egli sa suonare la cetra dolcemente. Quella dolcezza, segno dell’amore di Dio e dell’unione con lui, dono dello Spirito Santo, quella dolcezza trasformata in suoni tranquilli placano l’uomo tormentato. Lo spirito sovrumano se ne va.
Davide aveva fatto conto della forza di Dio. Egli si era affidato all’assistenza dell’Altissimo invece che alle armi di fronte al forte Golia. In lui era presente e operante lo Spirito di Dio, lo Spirito che fa stare l’uomo in comunione e confidenza col Padre. Davide era un ragazzo quando aveva dato la sua fiducia al Dio del suo popolo. Sono i piccoli, e coloro che si fanno piccoli, capaci di vivere sotto l’influsso dello Spirito Santo, Spirito che ci porta ad amare Dio come il bambino ama il papà! 
Questo stesso Spirito, dolce e soave, tenero e onnipotente, irresistibile e forte, si comunica all’ambiente e alle persone che frequentano il ragazzo umile e obbediente. Le note della cetra di Davide diventano il veicolo che lo Spirito Santo adopera per mettere in fuga gli spiriti dissennati e violenti che vogliono fare di Saul un violento: proprio come succede quando in occasioni particolari facciamo cantare i bambini. Gli spiriti gravi e seri, corrucciati e avari degli adulti cedono il posto alla tenerezza e alla gioia dello Spirito Santo!
 
Vieni, Spirito Santo, tu che riposi negli umili e nei piccoli che amano Gesù. La loro presenza è dono che fa strada a Te per venire, per toccare il cuore, per cambiare l’atmosfera delle nostre case!
 
7. 
“Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.” (1Re 19, 12) 
Elia, profeta di Dio per il suo popolo, aveva dovuto fuggire. Fuggì dagli uomini potenti che lo cercavano per ucciderlo, ma ormai voleva fuggire dalla vita stessa. Per questo s’inoltrò nel deserto, desideroso di incontrarvi la morte: vedeva ormai inutile la propria vita. Ma in quella disperazione Dio stesso gli venne incontro facendogli trovare pane e acqua. Era un segno chiaro: la morte non era volontà divina, egli doveva vivere ancora e ancora camminare.
Dopo quaranta giorni eccolo sul monte su cui Dio s’era manifestato a Mosè. Il Signore si manifesterà ancora, anche al suo profeta? Ora non c’è il popolo in attesa alle falde del monte, non c’è nessuno che desideri la Parola del Dio vivo: Dio stesso, lui sì desidera farsi ancora sentire al suo popolo infedele!
Ed ecco anzitutto i segni paurosi, quelli che gli uomini attribuiscono a Dio: gli uomini sanno d’essere disobbedienti e attendono castighi, attendono punizioni. Nella bufera che spazza via tutto, nel terremoto che seppellisce ogni bellezza, nel fuoco che in un lampo fa sparire ogni cosa, essi vedono la presenza di Dio, di quel Dio che essi immaginano irritato, adirato, offeso.
Anche Elia attende di vedere il volto di Dio e di udire la sua voce dentro questi avvenimenti che squassano tutto e terrorizzano ogni creatura, ma Dio, il vero Dio, quel Dio che gli ha procurato pane ed acqua e che lo vuole incontrare, non è presente negli eventi che spaventano. Quel Dio che ora vuole rivelarsi ad Elia non è un Dio che fa paura. Ciò che spaventa l’uomo viene dal nemico di Dio, da colui che vorrebbe rendere Dio odioso al popolo e gode che il cuore dell’uomo s’allontani dal suo Creatore.
Ecco “il mormorio di un vento leggero”, oppure, traducendo letteralmente, “il fruscio di un silenzio leggero”. Il silenzio che permette di udire il fruscio di una brezza ristoratrice, questo è l’ambiente in cui Dio, il Dio vero, l’unico Padre che da la vita, si rende presente al suo servo! Egli non vuole spaventare, non vuole che l’uomo fugga davanti a lui.
Il vero Dio, l’amico degli uomini che si fa presente a loro perché li vuol salvare dal nemico, si nasconde e si rivela nel silenzio di un vento leggero!
Elia rimane conquistato da questo silenzio e dal suo fruscio: in esso può percepire la voce di Dio che lo chiama ancora e lo manda ad esercitare il suo ministero profetico. 
In ogni epoca, come anche oggi, gli uomini sono amati da Dio, ma, come Elia, così anche gli uomini del nostro tempo attribuiscono a Dio i sentimenti dell’ira e della vendetta, che sono alieni dal suo cuore, mentre sono tipici del nemico. Anche per noi deve avvenire il cambiamento che solo il silenzio di un fruscio leggero può operare. È lo Spirito Santo che, quale vento leggero e vivificante, ci riporta alla realtà, ci fa aprire gli occhi perché vediamo il Volto buono e paterno dell’unico Dio. È lo Spirito Santo che ci apre gli orecchi perché udiamo la sua voce che ci chiama a donarci al Padre e ci manda ad esercitare doni e carismi a vantaggio del suo popolo e di tutti gli uomini.
È lo Spirito Santo che ci fa perdere e deporre ogni sentimento di violenza che il nostro cuore accumula e che poi vorrebbe attribuire a Dio, per giustificare la propria inquietudine e cattiveria.
È lo Spirito Santo che ci fa camminare nel deserto per lunghi giorni, perché solo in una profonda distanza dall’agitarsi degli uomini, sempre un po’ idolatri, è possibile incontrare la pace di Dio e divenirne portatori.
Lo Spirito Santo ci fa udire i fruscii più leggeri del silenzio di Dio, silenzio sempre carico della sua Parola d’Amore!
Nel silenzio, che i deserti percorsi dall’uomo ci fanno percepire, siamo attesi per ricevere i segreti più belli di Dio. Nel deserto della malattia, in quello della solitudine, in quello del disprezzo, in quello dell’insuccesso, a volte anche in quello del peccato, là ci attende Dio per manifestarci Gesù in croce come il suo abbraccio più tenero. Là lo Spirito Santo tiene i nostri occhi e il nostro cuore aperto, finché occhi e cuore si riempiono dell’amore più grande: Gesù!
 
Vieni, Spirito Santo, vieni. Il tuo soffio leggero mi renda attento alla voce silenziosa che mi ama e mi chiama.
Spirito Santo, dolce ospite dell’anima! 
 
8. 
“Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché mangiasse.” (1Re 19, 21) 
Eliseo ha un grosso lavoro, un’impresa non indifferente. “Arava con dodici paia di buoi davanti a sé”: un agricoltore ricco con grandi possibilità. Elia, il profeta, gli passa accanto mentre egli stesso sta arando col dodicesimo paio. L’uomo che lavora la terra conosce molti segreti, è a contatto diretto con la creazione di Dio e con le leggi di vita che vi sono nascoste e vi operano: perché non potrebbe essere lui ad ascoltare la voce divina per trasmetterla al suo popolo?
È un popolo che dovrà essere arato in profondità, un popolo che deve ricevere ancora il seme della parola per lasciarla portar frutto.
Elia sceglie Eliseo senza nemmeno interpellarlo. Gli lascia il tempo di baciare il padre e la madre e di far festa, una grande festa!
Guardiamo quest’uomo durante il banchetto offerto alla gente, i suoi operai, i vicini, i parenti. Egli non è più il contadino preoccupato della semina e del raccolto: uccide due buoi, spezza gli attrezzi e li usa per cuocere la carne. La festa è più importante del lavoro, la festa è più utile del lavoro, la festa è un amore più grande del reddito.
Eliseo comincia ad essere profeta con l’organizzare una festa. Questa è l’origine e lo scopo di ogni profezia. Dio infatti, il Dio che Eliseo si appresta a servire, è un Dio che vuole gli uomini felici, li vuole in comunione, li vuole nella gioia. Eliseo comincia ad essere profeta - senza saperlo - quando raduna i suoi servi e i suoi parenti a mangiare a sazietà! Gli assomiglia Matteo, il pubblicano che, visto e chiamato da Gesù, ha lasciato il proprio lavoro e seguito il nuovo Maestro. Anch’egli ha dato un banchetto. Anch’egli ha organizzato una festa: vi ha invitato anche Gesù, e Gesù non si è rifiutato di partecipare alla gioia del suo nuovo discepolo, anzi, ha dato speranza e verità alla gioia dei peccatori, che gli son divenuti amici.
Nell’uno e nell’altro caso il lavoro è sacrificato alla festa, al banchetto! È la profezia dell’Antica e della Nuova Alleanza: Dio chiama gli uomini a rallegrarsi. Li chiama e li attende peccatori e smemorati, li risveglia alla gioia: così il Padre del figlio prodigo vuol partecipare la sua gioia anzitutto al figlio stesso, e quindi a tutti gli altri, offrendo una festa!
Eliseo e Matteo col loro banchetto sono profeti dell’amore del Padre. Lo Spirito di Dio li ha conquistati, li ha spinti a organizzare la festa! La gioia d’essere divenuto, da padrone di molta terra, servo di Dio, - per Eliseo -, e la gioia di essere passato dal servizio del denaro al servizio degli uomini, - per Matteo -, è profezia, è parola di Dio all’uomo distratto e chiuso nel lavoro e nel denaro privi di vita.
Il banchetto di Eliseo e quello di Matteo sono organizzati dallo Spirito Santo: è lui che porta nel mondo la gioia di Dio, è lui che vuole far sparire le smorfie di tristezza dalle immagini divine che sono i volti degli uomini! È lui, lo Spirito di Dio, che fa diventare vino l’acqua delle nozze di Cana: gli sposi, per quanto si amino, come potranno amarsi al punto da darsi gioia l’un l’altro, se non per opera dello Spirito Santo?
È lo Spirito di Dio che fa diventare gioia dei genitori il sorriso dei bimbi!
È lo Spirito di Dio che dà ai figli quella grazia e quella pace che tornano ad onore dei loro genitori!
È lo Spirito di Dio che dà al lavoro dell’uomo un significato così grande e bello di benedizione e di comunione, tanto che la fatica venga offerta come un atto d’amore!
Ed è lo stesso Spirito che tiene il cuore dell’uomo staccato dalle cose, staccato dal suo lavoro e dal suo guadagno, perché rimanga pieno di quella gioia che continua a venire dall’Alto!
È lo Spirito di Dio che mette negli occhi degli uomini la luce perché vedano i fiori e odano gli uccelli come segno della sapienza e della bontà del loro Creatore!
È lo Spirito di Dio che mi fa vedere Gesù come l’amico che mi fa sedere continuamente al banchetto della sua gioia, della gioia della sua Risurrezione dai morti, del suo Rendimento di grazie al Padre: l’Eucarestia!
 
Vieni, Spirito Santo: tu trasformi la mia vita in una festa, la festa dell’amore di Dio per gli uomini. Spirito Santo, tu dai all’uomo la gioia di cambiare, di passare dal mondo al Padre, dal lavoro al servizio, dal guadagno alla sequela di Gesù! Vieni, Spirito Santo!
 
9. 
“È come olio profumato sul capo...”! (Salmo 133, 2) 
“L’olio che scende sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne” è l’olio della consacrazione sacerdotale. Aronne è consacrato sacerdote, riservato cioè a Dio, dall’olio versato sul suo capo. L’unzione santa dà nuovo significato alla sua vita: egli sarà tramite tra il popolo e Dio!
Il Salmo 133 ci fa ammirare e desiderare la vita fraterna come una consacrazione sacerdotale.
“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio che scende...”. La vita fraterna è una specie di consacrazione, è olio che scende sul capo con abbondanza tale da fluire fin sulla barba e sul collo delle vesti del capostipite della famiglia sacerdotale del popolo di Dio!
Che i fratelli vivano insieme “è buono e soave”: è volontà e dono di Dio, è grazia che si riceve ed è azione che si offre, è obbedienza che rende giusti, graditi al Padre.
Il vivere insieme come fratelli è opera dello Spirito di Dio, lo Spirito che fa superare le tendenze incallite dell’uomo all’egoismo, a farsi servire, a pretendere, a farsi centro delle attenzioni altrui.
Vivere insieme come fratelli non è possibile se non per opera dello Spirito Santo.
Nel mondo dove regna mammona, il dio-denaro, dove regnano i desideri di comodità e del piacere sessuale, dove regnano l’ambizione e la ricerca della vanità e della popolarità, là non è possibile vivere insieme come fratelli, né lo è dove regna l’amore per la propria famiglia e per l’unità del parentado: qui si riesce a vivere insieme come schiavi gli uni degli altri, ma non come fratelli
È opera dello Spirito Santo il vivere insieme come fratelli! Lo Spirito Santo ci unisce a Gesù, sempre più strettamente.
Chi dona a Gesù la propria vita nella grazia dello Spirito Santo si trova ad essere capace di vivere come fratello. È una grazia, è opera divina, è miracolo! È miracolo che dà sostegno alla fede, che rende possibile il credere in Dio Padre a coloro che non lo conoscono ancora. Gesù rivolge al Padre questa preghiera: “siano in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). È opera divina l’unità degli uomini come fratelli. Lo Spirito Santo compie quest’opera.
Coloro che sono uniti nel Nome di Gesù come fratelli mostrano al mondo la bellezza del disegno di Dio per l’uomo. La loro vita parla di Dio pur nel silenzio, la loro vita mette i nostri occhi a contatto con Dio, mette il nostro cuore in sintonia con lui.
La loro vita è un sacerdozio, una mediazione vera, grande, santa, più efficace dei riti sacerdotali del tempio. Infatti, dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù, là Gesù stesso è presente, come egli ha detto! E la presenza di Gesù è salvezza, è benedizione, è vita, è garanzia di eternità! La presenza di Gesù è già cielo aperto, è presenza di Dio, è il mondo futuro sulla terra!
La vita dei fratelli che stanno insieme è perciò “benedizione”: è dono di grazia, è luogo di salvezza, è incontro concreto con l’amore del Padre!
La vita di coloro che vivono insieme come fratelli è “vita”: è già caparra della vita eterna, anticipo della luce e dell’armonia che sarà data ai santi fedeli di Dio nell’assemblea celeste.
Lo Spirito Santo entra profondamente nella vita dell’uomo fino a trasformarla, fino a renderla manifestazione del Dio uno e trino, ma per far questo la mette a fianco della vita di altri uomini, perché la comunione - segreto della vita trinitaria di Dio - diventi visibile! Lo Spirito Santo ci rende fratelli!
Per questo la Chiesa invoca sempre - ogni giorno - lo Spirito Santo: lo invoca sul popolo di Dio, perché nutrendosi del Corpo e del Sangue del Signore diventi un cuor solo ed un’anima sola! È la consacrazione degli uomini, che nella fraternità vivono la loro consacrazione sacerdotale. Lo Spirito Santo trasforma per noi il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo perché noi - nutriti di lui - possiamo vivere come fratelli ed essere vita e benedizione per il mondo! 
Grazie, Spirito Santo! Grazie che svuoti il nostro cuore dell’egoismo, grazie che intervieni per renderci membra del corpo di Cristo e capaci perciò di fraternità!
Grazie, Spirito Santo, che così formi la Chiesa, vita e benedizione per il mondo!
Nihil obstat: cens. Eccl. Mons. Iginio Rogger, Trento, 5/4/1998

Parole di misericordia per il penitente dubbioso


Non c'è argomento più dolce e contemporaneamente non c'è soggetto più profondo dell'amore di Dio. Parlare, scrivere dell'amore divino costituisce sempre un'ineffabile benedizione, ma in pari tempo rappresenta un'impresa durissima. È bello tuffarsi fra le spume argentee delle onde dell'amore, ma è arduo vincere le vivaci correnti che precludono i fondali del mare purissimo della carità di Dio. Eppure fratello, per te, proprio per te, voglio parlare ancore una volta di quell'amore che riempie l'infinito e l'eternità. Per te che lotti la più penosa battaglia voglio entrare nel soave argomento ed accingermi all'impossibile impresa di dire qualcosa del più sublime attributo di Dio.
Iddio è amore! L'uomo può possedere o non può possedere l'amore e quando possiede l'amore può possederlo in una misura od in una misura diversa, ma Iddio invece "è amore"; voler parlare della grandezza dell'amore di Dio significherebbe voler parlare delle dimensioni stesse di Dio. Iddio non ha dimensioni perché è infinito e perciò l'amore, che è la natura stessa di Dio, non è grande, immenso, ma infinito.
Forse un esempio può aiutarti a comprendere in che modo l'amore "è" la natura di Dio. Pensa al sole e pensa che cosa intendiamo quando diciamo che il "sole è calore" oppure che il "sole è luce"; noi non diciamo e non pensiamo che nel sole c'è il calore come se i calore fosse una cosa estranea al sole, non potremmo infatti separare il calore dal sole o il sole dal calore. Per noi il calore, la luce rappresentano la natura del sole e se nel sole non ci fossero calore e luce non ci sarebbe neanche il sole. Così l'amore rappresenta la natura di Dio; Dio e amore non sono due realtà distinte e separate, ma soltanto due definizioni di una sola infinità realtà.
Colui che è amore è il tuo Creatore, il tuo Salvatore, il tuo Benefattore e, meglio ancora, il tuo Padre celeste. Tu quindi occupi un posto importante nel Suo pensiero e nel Suo cuore, cioè occupi un posto importante nell'amore. L'amore infinito ed eterno è stato volto, è volto e sarà volto verso di te perché tu sei una creatura di Dio, un redento da Dio, e un figliuolo di Dio.
Tu dici "Non potrà perdonare il mio peccato" e aggiungi: "Io ho oltraggiato Iddio, ho respinto il Suo amore, ho sprezzato le sue promesse, ho trascurata la Sua parola".
Fratello io non posso minimizzare il tuo peccato e difendere le tue colpe; esse sono gravi, oltraggiose verso Dio... ma non posso accettare il concetto dell'impotenza dell'amore. Sopra il tuo peccato c'è l'amore, di fronte alle tue colpe c'è l'amore e se tu sei soltanto disposto ad accettare che Dio si prenda cura di te, puoi esperimentare, ancora una volta, la potenza dell'amore divino.
Non posso escludere che Iddio venga a te con la verga della correzione e che assuma di fronte a te l'attitudine severa del Padre che mortifica, ma non posso ammettere che in questa manifestazione divina ci sia qualcosa di diverso dall'amore. La Scrittura ci ricorda, che anche i padri della carne hanno manifestato il loro amore verso di noi attraverso il metodo della correzione; ci hanno ripreso e castigato per il nostro bene, cioè per il nostro bene terreno, mentre Iddio ci castiga per renderci partecipi della Sua santità, quindi per il nostro bene eterno (Ebrei 12:10).
Non perderti d'animo di fronte alla severità di Dio; quella severità nasce dall'amore ed è mossa dall'amore. Mentre l'anima tua è angosciata per il senso della colpa e mentre la tua vita è forse provata dalle conseguenze del peccato, guarda a Dio e contempla il suo volto luminoso di Padre. Forse puoi anche leggere i segni della severità, ma non puoi non vedere la luce dell'amore; Egli è tuo padre!
Se ascolti la voce del crudele avversario, del calunniatore, senti ripetere frasi antiche che cercano di farti dubitare di Dio; forse non tutto quello che odi è falso perché Satana sa mescolare astutamente la menzogna con la verità per rendere accettevole il falso e per trasformare in menzogna il vero. Il tentatore ti parla della giustizia divina, della santità di Dio, dell'odio che Iddio ha per il peccato... ma perché ti parla di queste cose o di queste cose soltanto?
Per farti dimenticare che Iddio è amore! Iddio odia il peccato; Egli l'odia fuori di noi e lo odia in noi, ma l'odio che ha per il peccato non può superare l'amore che ha per noi. L'amore quindi induce Iddio a combattere il peccato e a distruggerlo quando esso, purtroppo, ha trovato un posto nella nostra vita.
Ma non sai tu che quando ti accosti a Dio umiliato non fai altro che aprirti all'opera benefica dello Spirito Santo? Non fai altro cioè che consentire a Dio di distruggere il peccato che è in te: l'amore e la giustizia divina si fondono assieme e Iddio opera e si manifesta nel suo carattere e nella sua essenza che includono ambedue questi attributi divini.
Umiliati, confessa, ma spera, spera nell'amore di Dio perché Egli ti ha amato oltre il limite del tempo e dello spazio, del concepibile e del descrivibile. Se il Padre ha offerto il "diletto Unigenito" per te, può ora dimenticarti?
Ma tu rispondi: "È proprio questa la ragione del mio sgomento; Iddio ha offerto Cristo per la mia salvezza ed io ho sprezzato quel sacrificio divino consumando il mio peccato; Iddio non può più amarmi".
Fratello caro, il tuo pensiero è errato perché Iddio "ti può ancora amare" e "ti vuole amare"; chiede soltanto che tu entri nella sfera del Suo amore, cioè chiede che tu non dubiti che Egli è tuo padre. Riguarda al figliuolo della parabola (Luca 15:11): lontano, nell'avvilimento e nella degradazione volse il pensiero alla casa abbandonata; egli riconobbe le sue colpe, la sua condizione, il suo bisogno, ma riconobbe anche che colui nel quale aveva ancora speranza era "suo padre".
Mi umilierò, disse il figliuol prodigo, confesserò le mie colpe, mi accontenterò di essere soltanto un servo in casa, ma lo chiamerò: "padre, padre mio"! Egli potrà anche essere severo come me, pensò nell'intimo del cuore, potrà farmi udire i suoi rimproveri e potrà far pesare il suo castigo, ma non potrà negare che io sono il suo figliuolo. Il successo di "quel ritorno" trova la spiegazione nel fatto che quel giovane, benché in paese straniero, benché nella miseria più profonda e benché avvilito dalla colpa più grande, seppe riguardare a colui che aveva abbandonato come a " suo padre".
Egli sapeva che tante cose erano accadute e quindi tante cose erano state mutate dal tempo e dalle circostanze, ma "una cosa" era rimasta immutata e rimaneva immutabile: la "relazione che lo univa a suo padre". Ricordati anche tu del prodigo e, nella desolazione che si è prodotta in te a causa del tuo peccato, pensa alla "casa lontana" e pensa soprattutto a tuo Padre.
Iddio ti ama e ti attende; naturalmente devi essere tu a volgere il pensiero verso Lui e a compiere la decisione e l'azione del ritorno; devi muovere i tuoi passi nel sentiero spinoso dell'umiliazione e della confessione ed arrivare prostrato ai suoi piedi. Quando ti troverai di nuovo davanti a Lui rimarrai soltanto sorpreso dalla tenerezza e dalla dolcezza del Suo amore; Egli ti stringerà e ti sussurrerà parole di affetto ineffabile, Egli ti ristorerà e rivestirà la tua vita delle sue benedizioni.
Non si vergognerà di te e non avrà ripugnanza delle tue vesti contaminate e per riconoscerti figliuolo non aspetterà che il tuo abito sia mutato, perché il suo amore traboccante si manifesterà nell'abbraccio più caldo e più espansivo. Quest'atto di amore divino non sarà, non è supina tolleranza per il peccato, anzi è azione energica contro il peccato, perché il Padre, che abbraccia ed accoglie il figliuolo pentito ed amareggiato dall'esperienza durissima, sa bene che egli non abbandonerà più quel tetto e non si allontanerà più da quella contrada (Salmo 130:4).
"Ma io, io ho peccato in maniera imperdonabile; il mio peccato è mortale..."; queste sono le parole con le quali tu resisti al messaggio dell'amore e della misericordia. Fratello, ascolta, non c'è peccato che Iddio non sia disposto a perdonare e nessun peccato è "per natura" mortale. La potenza dell'amore infinito, dell'amore eterno è maggiore della potenza del peccato, di qualsiasi peccato e perciò questa potenza sublime può sempre coprire la colpa che si erge davanti a Dio.
Il peccato diventa imperdonabile nel momento che il figliuolo cessa di sentirsi tale, cioè nel momento che non riconosce più Iddio quale Padre. Quando il colpevole non avverte più il bisogno di "ritornare" e non sente più la nostalgia della casa, quando si sente estraneo a Dio e Dio diventa uno sconosciuto per lui, quando la coscienza diventa insensibile per un processo di cauterizzazione spirituale, il peccato diventa imperdonabile.
L'imperdonabilità del peccato non deriva quindi dalla natura del peccato, ma dalla posizione del peccatore di fronte all'amore di Dio: il colpevole che va alla fonte divina dell'amore trova il lavacro per il suo peccato, ma il peccatore che non va, non vuole andare, non sa più andare alla fonte purificatrice, rimane con la contaminazione delle sue colpe.
Come vedi, fratello, l'amore di Dio non ci incoraggia a peccare, ma ci chiama ad umiliazione e ravvedimento perché è ovvio che colui che peccasse col premeditato proposito di beneficiare dell'amore perdonatore, consumerebbe anticipatamente il più turpe oltraggio verso Iddio e provocherebbe nella propria coscienza, quel processo di cauterizzazione che esclude il perdono divino.
Sovente la Scrittura presenta davanti a noi la vita di Davide, cantore d'Israele e re penitente. Il suo peccato è orrendo e lo sviamento che lo tiene lontano da Dio per molti mesi è quasi incomprensibile, eppure nel giorno dell'umiliazione e della confessione egli trova misericordia in Dio.
La vita del re amato da Dio ci spiega profondamente il soggetto dottrinale che sta davanti a noi: Davide ha peccato non per oltraggiare Iddio, ma per soddisfare le voglie della sua natura impetuosa, eccitata dalla tentazione; egli non ha compiuto un calcolo vile onde sfruttare l'amore del Padre, ma è stato accecato dalle circostanze. Ha taciuto, sofferto, si è inaridito, ma quando finalmente ha udito il messaggio dell'Eterno, ha saputo riconoscere in quel messaggio gravido di severità, la parola dell'amore.
Davide non ha dubitato minimamente dell'amore di Dio e in un atto di fede e di umiliazione completa si è gettato fra le braccia di Colui che poteva ristorarlo.
Le mie parole quindi non ti dicono che puoi peccare e non ti dimostrano che Iddio è pronto a "chiudere gli occhi" sopra i tuoi peccati, ma ti dicono semplicemente che se sei caduto, se sei stato sconfitto in una battaglia, Iddio ti attende per sollevarti e per medicarti. Forse Egli dirà a te quello che Cristo disse all'ammalato di Betesda: "Non peccar più che peggio non ti avvenga" (Giovanni 5:14), ma intanto ti accoglierà e ti benedirà.
Non ascoltare, ti ripeto, le voci che cercano di insinuarsi nella tua coscienza per indurti a voltare le spalle a Dio; esse ti dicono che tutto è finito per te, ti dicono che il mondo ed il peccato ti attendono... ma non ti accorgi che sono le voci dell'inferno?
Il nemico non ha ancora ottenuta la vittoria definitiva sopra te e perciò cerca di spingerti lontano da Dio, lontano dal Suo amore, ma tu fratello, reagisci e reagisci prontamente, e benché lacero, disfatto, sanguinante, ritorna al Padre, rifugiati nel Suo infinito amore.
Volgi la tua mente alle espressioni visibili dell'amore di Dio; Egli ti ha amato prima che tu nascessi e per te, si, anche per te, ha mandato il Suo figliuolo nel mondo. La Parola eterna si è fatta carne, uomo tra gli uomini, ha conosciuto le limitazioni, le sofferenze e le tentazioni che sono della natura umana.
Contraddetto, sprezzato, ignorato, incompreso, il Figlio ha compiuto il Suo compito divino anche per te; anche per te è comparso davanti al Sinedrio e davanti a Pilato ed Erode; è stato schernito, giudicato, condannato, ed anche per te le sue carni si sono lacerate sotto le sferze crudeli della flagellazione. Egli ha salito il Golgota, è stato inchiodato sulla croce ed ha sofferta l'agonia atroce anche per te. Quando Cristo, prima di rendere lo Spirito ha esclamato "Tutto è compiuto" (Giovanni 19:30), ha incluso anche te in quell'opera perfetta di amore e di redenzione.
Il Padre ha mandato il Figlio e il Padre ha permesso che il Figlio fosse lo sprezzato, il condannato. Lo ha veduto in mezzo agli uomini mentre l'ira e la collera degli empi cadevano sopra di Lui; lo ha veduto lacerato e sanguinante sotto i colpi delle sferze, lo ha veduto rotto, spezzato, spasimante nell'agonia della croce eppure lo ha lasciato lì in quelle sofferenze, in quel vituperio perché fosse un "dono a te" (Giovanni 3:16).
Iddio ti "ha dato" il Figlio e tu sei stato salvato per quest'offerta meravigliosa... puoi pensare che Egli ti rifiuterebbe ora il sorriso del Suo amore? No, Iddio non vuole negarti il Suo abbraccio paterno perché ti ama, ma Egli chiede che tu abbia fiducia nel Suo amore e che in quest'ora ti umili davanti a Lui.

Meditazione del giorno 21/03/2014

Venerdì della II settimana di Quaresima
Meditazione del giorno
San Bonaventura (1221-1274), francescano, dottore della Chiesa
La Vigna mistica, cap. 3, § 5-10
« Presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero”
 
    « Io sono la vera vigna » dice Gesù (Gv 15,1)… Si scavano fossi intorno a questa vigna, cioè si scavano trappole con astuzia. Quando si complotta per far cadere qualcuno in una trappola, è come scavargli una fossa davanti. Per questo ci si lamenta dicendo: “Hanno scavato davanti a me una fossa” (Sal 57,7)… Ecco un esempio di queste trappole: “Conducono una donna sorpresa in adulterio » al Signore Gesù dicendo : « Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?” (Gv 8,3ss)… E un’altra: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?” (Mt 22,17)…

    Ma hanno visto che queste trappole non nuocevano alla vigna; anzi, scavando questi fossi ci sono caduti dentro loro stessi (Sal 57,7)…  Allora, hanno ‘scavato’ ancora: hanno ‘bucato’ non solo le mani ed i piedi (Sal 22,17), ma hanno trafitto anche il costato con una lancia (Gv 19,34) ed hanno messo allo scoperto l’interno di questo cuore santissimo, che era già stato ferito dalla lancia dell’amore. Nel cantico del suo amore lo Sposo dice: “Tu mi hai ferito il cuore, sorella mia, sposa” (Can 4,9 Vulg). Signore Gesù, il tuo cuore è stato ferito d’amore dalla tua sposa, la tua amica, la tua sorella. Perché allora occorreva che lo colpissero ancora i tuoi nemici? Che fate, nemici?... Non sapete che questo cuore del Signore Gesù, già colpito, è già morto, già aperto, e non può più essere colpito da altra sofferenza? Il cuore dello Sposo, del Signore Gesù, ha già ricevuto la ferita dell’amore, la morte dell’amore. Quale altra morte potrebbe avere? … Anche i martiri sorridono alle minacce, gioiscono sotto i colpi, trionfano quando li uccidono. Perché? Perché sono già morti per amore nel cuore, “morti al peccato” (Rom 6,2) e al mondo…

    Il cuore di Gesù è stato ferito e messo a morte per noi… ; la morte fisica ha trionfato un momento, ma per essere vinta per sempre. E’ stata annientata quando Cristo è risuscitato dai morti, perché «  la morte non ha più potere su di lui » (Rom 6,9).