martedì 17 dicembre 2013

La “fede” nella lingua di Gesù


 


Padre Massimo Pazzini, decano dello Studium Biblicum di Gerusalemme, va alla radice semitica del “credere” e spiega uno studio sugli ulivi del Getsemani

Il padre Pazzini vive a Gerusalemme e si sente un po' da come parla l'italiano. Fa parte della Custodia francescana di Terra Santa, la missione che – da secoli – i figli spirituali di San Francesco portano avanti nelle terre di Gesù e dei Vangeli. Prima del suo viaggio a Vicenza per partecipare al Festival Biblico, Aleteia lo ha contattato per farsi dare una anticipazione dei temi che tratterà nei prossimi giorni, tutti incentrati sulla filologia e i suoi apporti. Capire il contesto culturale della Bibbia ci aiuta a comprenderla meglio e a scoprirne i tesori spirituali.

Siamo nell'Anno della Fede, fortemente voluto da papa Benedetto e confermato da papa Francesco, come viene intesa la “fede” nel mondo semitico antico?

Massimo Pazzini: Studiare e guardare la fede in tutte le lingue è interessante. Gesù parlava aramaico e spesso le differenze che troviamo nelle sfumature ci aiutano a riscoprire delle cose preziose anche nell'uso italiano. Guardando all’ebraico veniamo a scoprire che il significato base della radice che indica “credere” (’aman) è quello di 1) “educare come una balia, allevare, portare al petto” e questa immagine ci fa pensare a Dio che ci attira a sé con amore, come una nutrice porta il bambino al proprio petto. La radice, sempre in questa linea, può significare anche “padre adottivo” o “madre adottiva”. Da questa immagine nasce il concetto (valido anche per noi oggi) di “educare alla fede”. 2) Da questa radice deriva anche la parola amen che indica una conferma “così è” oppure “così sia” e ci ricorda che il credere non è un atto compiuto una volta per sempre, ma va attualizzato nella vita di ogni giorno. 3) Un terzo significato della radice è quello di “pilastro, stipite/sostegno della porta”. Questo ci fa pensare al fatto che la fede deve essere solida e deve reggere la persona come i pilastri reggono una costruzione. 4) Dalla stessa radice deriva anche la parola ebraica emèt che significa “verità”; infatti la nostra fede parte dalla convinzione che il suo oggetto, il Dio in cui crediamo, è vero e credibile. Insomma, mi verrebbe da dire, che la fede o è “vera” (cioè matura) oppure non è fede. 5) Ci sarebbe anche una quinta accezione, derivante dall’ebraico moderno, che vede la fede come “lotta, battaglia”. Nella lingua moderna il verbo assume il significato di “allenarsi, esercitarsi” (esercizio fisico degli atleti). Questo fa pensare alla lotta, all’agone (agonismo) della fede. Un tema presente anche nel Nuovo Testamento (2Tim 4,7) dove si usa questa terminologia: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”.

Nel cristianesimo muta questo concetto di fede? E come?

Massimo Pazzini: Naturalmente la teologia cattolica si basa sulla scolastica di San Tommaso che definisce in modo molto preciso cosa sia la “fede”: “credere è un atto dell'intelletto che aderisce alla verità divina, sotto il comando della volontà, mossa da Dio mediante la Grazia”. In questa definizione abbiamo tre momenti: 1) All’inizio c’è la grazia di Dio (= dono gratuito ma necessario) che 2) muove/spinge la volontà, la quale, a sua volta, 3) comanda all’intelletto di aderire alla verità divina. Anche l'uomo biblico sa che ci vogliono questi tre elementi. Anche il pio ebreo dell’Antico Testamento sa che per credere non basta la sua adesione mentale volontaria, ma occorre anche una chiamata iniziale di Dio. Questa situazione è più che evidente nei salmi. Una frase mi ha colpito ed è “cercare il volto del Signore”: “Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto” (Sal 27,8), oppure “se tu nascondi il tuo volto vengo meno” (Salmo 104,29). La differenza essenziale è che il Cristianesimo ha delle elaborazioni teologiche uniche come Gesù Cristo (Dio fatto uomo), la Trinità, la presenza eucaristica: tutte cose rivelate unicamente ai cristiani. Cose che l’ebraismo non può accettare senza pensare di sminuire la persona di Dio...

Lei ha partecipato ad una ricerca che ha incrociato il lavoro storico- filologico e quello dell'analisi del DNA circa la possibilità di capire l'origine degli ulivi del Getsemani e la loro presenza nei Vangeli della Passione. Ce ne vuole parlare?

Massimo Pazzini: Chi studia i Vangeli nella supposta lingua originale (greco) o nelle lingue delle versioni antiche (aramaico, latino) sa che le parole hanno un peso, quindi vanno prese sul serio. Nel caso concreto del Getsemani dobbiamo risolvere, prima di tutto, il significato stesso del nome. Nella parola Getsemani si riconoscono due elementi ebraici (o aramaici). La seconda parte del nome “-sémani” fa pensare a qualcosa che ha a che fare con l’olio d’oliva (e questo ci sta bene, data la localizzazione proprio al monte degli olivi). La prima parte del nome “Get-” richiama la parola ebraica/aramaica gat che può significare “spazio recintato, giardino, orto” (uso non biblico) oppure “torchio/frantoio”. Entrambi i significati si addicono molto bene al nostro contesto: 1) nel primo caso avremmo il senso di “orto/giardino oleario”, mentre 2) nel secondo caso avremmo il senso di “torchio/frantoio per l’olio”.

Quando si parla di frantoio/torchio dell’epoca biblica bisogna uscire dal nostro concetto di “torchio a vite” (che non è attestato prima dell’epoca bizantina), ma bisogna pensare alla parte inferiore, in pratica a una buca nel terreno che raccoglie il succo della spremitura. Si può vedere il passo di Mc 12,1 (versione CEI 1974): “Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio…”. Dunque il torchio all’epoca di Gesù è un buco nella terra/pietra… Per sottolineare questo fatto nella nuova versione (CEI 2008, che abbiamo letto anche nella liturgia di ieri) hanno proposto una diversa traduzione: “Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio…”. Forse sarebbe stato meglio dire scavò una buca come torchio sottolineando che, nella mentalità biblica, la buca è il torchio (e non il luogo dove porre il torchio!).

Venendo agli olivi del Getsemani ci chiediamo se questi possano risalire all’epoca di Cristo, cioè se possano identificarsi con le piante che videro la preghiera intensa di Gesù al Getsemani. In questo caso sarebbero gli ultimi testimoni viventi della Passione! Ci sono fonti letterarie che parlano degli olivi; queste fonti vanno coniugate con i test scientifici (DNA, datazione tramite la dendrocronologia) per vedere se portano in una stessa direzione… Le fonti letterarie ci lasciano un vuoto di circa 1400/1450 anni che va dai fatti evangelici fin verso il 1500. Praticamente pur non avendo dubbi sull’identificazione del Getsemani e sulla sua localizzazione, abbiamo un vuoto nella menzione degli olivi fino al domenicano tedesco Felix Fabri (circa 1480) che menziona gli olivi ma senza dare loro alcuna importanza dal punto di vista religioso (…ci siamo seduti all’ombra degli olivi e abbiamo fatto colazione insieme gioiosamente). Bisognerà aspettare ancora un secolo, cioè il pellegrino Giovanni Zuallardo (1586) per avere informazioni più dettagliate. Egli scrive: “Questo giardino ha ancora de gl’Oliveti vecchissimi: ma è diviso in diverse parti, tanto per il camino, come per le chiusure”. Il pellegrino nel 1586 parla degli olivi li chiama “Oliveti vecchissimi”. Questo significa che si trattava di piante che potevano avere qualche secolo di vita. In questo modo si può ragionevolmente risalire almeno all’epoca medievale. Di più non ci è dato di affermare. Tuttavia – e questo è molto interessante – gli otto ulivi monumentali presenti sul Monte oggi sono tutti figli dello stesso albero, e hanno tutti all'incirca un migliaio di anni, cioè sono compatibili con la presenza crociata a Gerusalemme.

 

Bibbia



La Bibbia (dal greco antico βιβλίον, plur. βιβλία, lett. libri) è il libro sacro della religione ebraica e di quella cristiana.
È formata da libri differenti per origine, genere, composizione lingua e datazione, scritti in un lasso di tempo abbastanza ampio, preceduti da una tradizione orale più o meno lunga e comunque difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito a partire dai primi secoli della nostra era[1].
La critica biblica si interroga ormai da più di un secolo sulla datazione delle varie opere che compongono la Bibbia. Cristiano Grottanelli, riassumendo, fa presente che:
« Oggi un certo consenso è raggiunto, ma chiaramente in via provvisoria, su alcuni punti. Mentre la scomposizione della Genesi e anche di altri libri o di parti di essi, in fonti di diverse età è sempre più problematica, sembrano resistere alcuni elementi acquisiti a partire dalle ricerche di biblisti tedeschi del secolo scorso, ma non senza modifiche e ripensamenti. Fra questi spiccano: la datazione in età monarchica di alcuni Salmi e di certi libri o parti di libri profetici; l'attribuzione a età relativamente tardiva (secondo molti nettamente post-esilica) di una redazione finale del Pentateuco; la visione unitaria dei libri narrativi detti "Profeti anteriori" come opera di una personalità o scuola detta "deutoronimistica" per i suoi rapporti di impostazione ideologica con il Deuteronomio, ultimo libro del Pentateuco; la datazione post-esilica, e certo successiva a quella Deutoronimista, dei due libri delle Cronache. Tuttavia, anche questi punti fermi secondo la maggioranza degli studiosi sono posti oggi in discussione da alcuni studiosi che propongono date più basse, per esempio, per il Pentateuco, e collocano il Deuteronomio in età post-esilica con (ma in altri casi senza) un relativo abbassamento della fonte detta "deutoronimistica" »
(Cristiano Grottanelli. La religione d'Israele prima dell'Esilio in Ebraismo (a cura di Giovanni Filoramo). Bari, Laterza, 2007, pag. 6-7)
Rispetto al Tanakh (Bibbia ebraica), il Cristianesimo ha aggiunto nel suo canone numerosi libri suddividendo lo stesso in: Antico Testamento (o Vecchia Alleanza), i cui testi sono stati scritti prima del "ministero" [2] di Gesù (tranne Sapienza) e Nuovo Testamento (o Nuova Alleanza) che descrive l'avvento del Messia. La parola "Testamento"[3] presa singolarmente significa "patto", un'espressione utilizzata dai cristiani per indicare il patto stabilito da Dio con gli uomini per mezzo di Gesù e del suo messaggio.

Bibbia ebraica

 l termine "Bibbia ebraica" è solitamente usato per indicare i testi sacri della religione ebraica. Tale uso è però improprio: l'etimologia di Bibbia è greca (significa semplicemente, come si è visto, libri), e il termine non è consueto presso i seguaci del monoteismo giudaico. Il termine usato è Tanakh, acronimo privo di significato nella lingua ebraica e formato dalle iniziali delle parti nelle quali vengono raggruppati i 24 libri:

Tutti i libri della Bibbia ebraica sono stati scritti principalmente in ebraico con alcune piccole parti in aramaico.
Nell'ambito dell'ebraismo antico alcune correnti, in particolare i sadducei, consideravano come sacra la sola Torah, e dall'antichità i samaritani hanno mantenuto una posizione simile, considerando canonici solo il Pentateuco e il libro di Giosuè.
Le antiche comunità ebraiche di lingua greca, oggi estinte, seguivano invece un canone più ampio dell'attuale canone ebraico, il cosiddetto canone alessandrino, derivato dalla versione dei Settanta della Bibbia. Nel I secolo d.C. per l'ebraismo venne considerato come definitivo il canone palestinese, più ristretto di quello alessandrino.

Bibbia cristiana

« Tutte le Scritture sono state scritte per questo: perché l'uomo capisse quanto Dio lo ama e, capendolo, s'infiammasse d'amore verso di lui»
(Sant'Agostino. De catechizandis rubidus 1,8)
La Bibbia cristiana comprende l'Antico Testamento ed il Nuovo Testamento, specifico cristiano, cioè la parte relativa a Gesù e alla nascente Chiesa apostolica.
La maggior parte delle chiese protestanti, seppure con differenze a seconda dei periodi, segue per l'Antico Testamento il canone ebraico[senza fonte]. La Chiesa cattolica e quelle ortodosse seguono invece il canone alessandrino (con qualche differenza), che comprende libri sia in ebraico che in greco. I libri che non appartengono al canone della Bibbia ebraica sono detti deuterocanonici dai cattolici e apocrifi dai protestanti, i quali il più delle volte li inserivano come appendice a parte fra i due testamenti.
Anche per il Nuovo Testamento, scritto in greco (anche se forse l'evangelista Matteo compose il suo libro in ebraico o aramaico), in età antica vi erano state differenze fra le varie chiese sul numero dei libri da recepire come ispirati. In particolare erano sorti dubbi sulle epistole non attribuite a Paolo di Tarso e sull'Apocalisse. I libri controversi del Nuovo Testamento furono detti nell'antichità antilegomena.

Antico Testamento

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Antico Testamento.
L’indice della Bibbia cattolica non segue la cronologia dei testi, ma è divisa in quattro parti in base al contenuto: cioè il Pentateuco, i Libri Profetici (anteriori = Libri Storici e posteriori = profetici propriamente detti), Scritti (tra i quali i Libri Sapienziali), Deuterocanonici. Il numero, l'ordine ed il titolo dei vari libri varia a seconda dei diversi canoni. I libri contenuti al suo interno sono 46 e parlano del popolo ebraico, dei suoi padri, re e profeti. Ci sono anche testi appartenenti all'epoca ellenistica, prima della nascita di Gesù, tranne Sapienza ultimo libro della Bibbia (Antico Testamento) scritto nell'era cristiana all'inizio del I secolo d.C. (Fonte: La Bibbia Ed. san Paolo, 2009 - Pag. 1374). I Libri deuterocanonici non sono riconosciuti come ispirati e quindi appartenenti al canone dalle chiese protestanti e da alcune altre confessioni.[4]

Nuovo Testamento

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Nuovo Testamento.
Il Nuovo Testamento, facente parte della sola Bibbia cristiana, redatto originariamente in greco con numerosi semitismi, è composto dai quattro Vangeli, dalle lettere dell'apostolo Paolo, dalle Lettere cattoliche, dagli Atti degli Apostoli e dall'Apocalisse, per un totale di 27 scritti (tra parentesi l'abbreviazione usata nelle citazioni bibliche). Tra le diverse confessioni cristiane (cattolica, ortodossa, protestante) c'è un sostanziale accordo sul numero e l'ordine dei libri del Nuovo Testamento, con la sola differenza che nell'ordine luterano gli ultimi libri sono i deuterocanonici neotestamentari, cioè Ebrei, Giacomo, Giuda e Apocalisse, separando Ebrei dal corpus paolino e Giacomo e Giuda dalle lettere cattoliche. Non è così invece per il Vecchio Testamento, dove la canonicità di alcuni libri non è riconosciuta dalle chiese protestanti e da alcune altre confessioni.

Generi letterari

La Bibbia contiene generi letterari diversi fra loro. Non è casuale che la parola di origine (biblia) sia un plurale per indicare questa varietà di generi letterari. In precedenza la trasmissione degli avvenimenti era orale e rischiava di disperdersi. In particolare si intrecciano insieme due tradizioni orali, quelle del Nord e del Sud della Palestina; non è trascurabile neanche l'influenza delle culture orientali con cui vennero a contatto i primi scrittori in terra babilonese.
I generi letterali presenti all'interno dei libri biblici possono essere ricondotti, con larghe approssimazioni, ai seguenti:
  • genere storico: si tratta dei testi che forniscono descrizioni contestualizzate storicamente di persone o eventi. La effettiva attendibilità storica di tali narrazioni è variegata. Per esempio, i primi 11 capitoli della Genesi che descrivono la creazione del mondo fino ad Abramo (inizio II millennio a.C.) sono dalla maggioranza degli esegeti cristiani unanimemente interpretati come simbolici (racconto creazione, peccato originale, diluvio...). Anche nei romanzi ellenisti dei deuterocanonici Tobia e Giuditta oltre che per il canonico Ester la contestualizzazione storica funge solo da cornice per narrazioni con precisa finalità teologica, anche se sul libro di Ester non tutti sono concordi nell'esprimere tale giudizio [5][6] Al contrario, i libri che presentano intenti storici veri e propri (Samuele, Re,[senza fonte] Maccabei, le narrazioni evangeliche e Atti) forniscono informazioni che, nell'insieme, raramente risultano in contrasto con le fonti del tempo extra-bibliche. Per le storie dei patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele, Giuseppe) contenute in Genesi, gli storici delle religioni sono oggi unanimemente d'accordo nel ritenerle delle pure finzioni narrative prive di alcun valore storiografico[7]. D'altronde alcuni fanno appello alla Archeologia biblica per avvalorare l'accuratezza del racconto biblico.
  • genere legislativo: include i testi normativi in ambito sociale o religioso, particolarmente presenti all'interno della Torah (p.es. Levitico è un libro interamente legislativo).
  • genere profetico: riguarda gli oracoli profetici, vale a dire esortazioni morali pronunciate da uomini che si presentavano come inviati di Dio. Tali esortazioni sono sempre rivolte a destinatari ben definiti (re, singoli individui, determinate comunità credenti, il popolo nel suo insieme) che, con la loro condotta, si sono allontanati dalla retta via. Anche le esortazioni (o parenesi) presenti nelle epistole neotestamentarie possono essere avvicinate al genere profetico. Vedi Profeta (Bibbia).
  • genere apocalittico: include testi simbolici e razionalmente spesso incomprensibili aventi la finalità di mostrare il vittorioso e definitivo disegno di Dio sulla storia. Appaiono in periodo di forte incertezza della comunità credente, originata da persecuzioni politiche che potevano portare i fedeli a sentirsi abbandonati da Dio. I libri di Daniele e Apocalisse raccolgono la quasi totalità dei testi apocalittici. Circa Apocalisse in particolare, pertanto, essa non va vista come una descrizione di ciò che sarebbe dovuto accadere in un futuro remoto, ma come la rassicurazione alla Chiesa di allora, ferocemente perseguitata dall'imperatore romano Domiziano[senza fonte], che il Risorto avrebbe avuto l'ultima parola.
  • genere sapienziale: in tale ampia categoria vengono inclusi tutti i testi che non rientrano nelle precedenti. Include preghiere (p.es. Salmi), poemi erotici (p.es. Cantico dei Cantici), lamentazioni (libro omonimo), meditazioni o proverbi sapienziali di vario genere (Ecclesiaste, Proverbi, Giobbe).

Messaggio teologico

Risulta impossibile una delineazione univoca del messaggio teologico dei libri biblici. Da essi, infatti, hanno avuto origine un numero elevato di confessioni religiose e diramazioni settarie, ognuna delle quali fornisce una propria lettura e interpretazione del testo biblico. Cercando alcuni fondamentali concetti teologici comuni alle varie confessioni, si possono delineare tali nuclei attualmente largamente condivisi:
  • Esiste un essere perfetto, puro spirito, non rappresentabile sotto alcuna forma, eterno, immutabile, onnipotente, onnisciente.
  • Nell'Antico Testamento ovvero nelle scritture ebraiche, Dio, viene indicato principalmente, circa 7000 volte,[8] col nome proprio YHWH-(probabilmente pronunciato Yahweh) oltre che con comune Dio (El o Elohim) e col nome comune Signore (Adonay), inoltre al Dio biblico sono applicati numerosi altri eccelsi appellativi : Altissimo, Eterno, Santo, Signore degli eserciti, Dio degli eserciti. Nell'Antico Testamento greco e nel Nuovo Testamento viene indicato coi nomi comuni Dio (Theos) e Signore (Kyrios). Peculiarità del Nuovo Testamento è la definizione di Dio come Padre.
  • Dio ha creato liberamente e dal nulla l'universo e l'uomo, vertice della creazione, caratterizzati da una bontà originaria.
  • A un certo punto della storia, l'uomo, dotato di libero arbitrio, scelse di essere indipendente da Dio e con il (peccato originale), perse la sua perfezione fino alla conseguente morte in uno stato peccaminoso.
  • Dio stabilì immediatamente la 'speranza': un Seme perfetto che avrebbe annullato gli effetti di tale scelta ed equiparato la vita del primo uomo Adamo (1 Corinti 15,22). Ecco il perché dell'Alleanza con Abramo e la sua discendenza, il popolo d'Israele, in vista della salvezza dell'umanità, impegnandosi a sostenere lungo la storia il suo popolo ed esigendo il culto dedicato a lui solo. L'intervento di Dio è particolarmente evidente in alcuni eventi: liberazione dall'Egitto (Esodo, XIII secolo a.C.); conquista della Terra Promessa (XIII-XI secolo a.C.); dispersione delle 10 tribù idolatre del nord (VIII secolo a.C.); esilio a Babilonia e ritorno (VI secolo a.C.).
  • Dio donò a Mosè la legge, insostituibile e immodificabile, consistente di 613 mitzvòt (precetti) e riassumibile nei dieci comandamenti, con la promessa di ricompensare chi ne obbedisce le prescrizioni e punirne i trasgressori.
  • Il popolo d'Israele si allontanò ripetutamente dalla legge o la applicò in maniera esteriore e formale, e per questo fu punito e rimproverato da uomini chiamati in tal senso da Dio, i profeti.
  • Dio invia infine, nel tempo prefissato, il Messia per la salvezza dell'umanità. La speranza.
La sua vita in sacrificio compensa quella persa dal primo uomo, Adamo, con il peccato originale. Il battesimo, è il riconoscimento nella propria vita dell'accettazione con fede di tale riscatto, e il condurre da quel momento in poi una vita di dedicazione a Dio.
  • Alla fine dei tempi, Dio interviene negli affari umani per il ripristino delle condizioni originali esistenti prima del peccato e annullando il male e la morte. E con la risurrezione di tutti coloro che sono vissuti nelle varie epoche storiche. Per una risurrezione di 'vita' o di 'giudizio'. Il dono del libero arbitrio non può più rendere l'uomo totalmente indipendente da Dio: gli effetti negativi di tale scelta saranno stati evidenti fino ad allora. Ha così adempimento il 'Progetto' di Dio.
Nel Nuovo Testamento, accettato dai cristiani ma non dagli ebrei, le chiese di tradizione conciliare identificano altri concetti:[9]
  • Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo.
  • Gesù, il Messia atteso (e per questo appellato come Cristo, parola greca che ha lo stesso significato), figlio di Dio incarnato, ha portato a perfetto intendimento la legge di Mosè, che è riassumibile nell'amore a Dio e nell'amore al prossimo.
  • Per la sua morte e risurrezione, tutti coloro che credono in lui sono salvati e riconciliati con Dio.[10]

Lettura e interpretazione

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Ermeneutica biblica e Lettura e interpretazione della Bibbia.
La comprensione del significato della Bibbia, il modo in cui viene letta e la sua interpretazione, disciplina detta anche ermeneutica della Bibbia, è un fatto teologico, dipendente cioè dalle varie confessioni religiose. Differisce dall'esegesi in quanto questa consiste nell'estrarre il senso di una parte del testo, con l'aiuto di discipline come la filologia e la storia, mentre l'ermeneutica cerca di rendere il senso più ampio che l'autore del testo ha voluto dare anche in relazione al suo pubblico. Ad esempio nel Nuovo Testamento, e in particolare in Paolo di Tarso, si trova una nuova ermeneutica delle scritture sacre ebraiche.
Perciò la prima grande differenza nell'ermeneutica della Bibbia è quella fra ebrei e cristiani: sebbene ci sia una parziale affinità fra le due religioni (e certe forme di dialogo), dal momento che condividono una parte del canone delle scritture, esse hanno sviluppato diverse tradizioni di fede e quindi diversi metodi interpretativi ed ermeneutici.

Il testo

Fonti del testo ebraico

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Fonti del testo ebraico della Bibbia.

Foglio 474a del Codice di Leningrado (1008-1009), riferimento principale del testo ebraico.
Circa le fonti dell'Antico Testamento ebraico, i testimoni più antichi sono i manoscritti biblici di Qumran, ritrovati nel 1947, che contengono frammenti più o meno ampi di tutti i testi della Bibbia ebraica escluso il libro di Ester. Nel complesso risalgono a un ampio periodo che va dal 250 a.C. circa al 68 d.C.
I testimoni più autorevoli prodotti dai masoreti e che sono risultati sostanzialmente concordi coi manoscritti biblici di Qumran sono:
Il testo critico (cioè che tiene conto delle varianti dei principali testimoni) usato attualmente come modello per il testo ebraico è quello della Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS), basato su L, realizzato da Karl Ellinger e W. Rudoph nel 1966 (1977, 1983, 1990) della Deutsche Bibelgesellschaft di Stoccarda (Stuttgart, donde il nome).

Fonti del testo greco

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Fonti del testo greco della Bibbia.

Pagina del Codice Vaticano (IV secolo), riferimento principale del testo greco.
Circa le fonti del Nuovo Testamento e dell'Antico Testamento greco, i testimoni più antichi sono alcuni papiri risalenti al II secolo d.C. Si sono poi conservati complessivamente oltre cinquemila manoscritti. Di questi i più autorevoli sono:
  • Codice di Efrem (C), che è un Palinsesto così detto perché fu scritto sopra alcuni testi, prima raschiati via, del teologo siriano Efrem. Si crede che risalga al V secolo.
Il testo critico (cioè che tiene conto delle varianti dei principali testimoni) usato attualmente come modello per il testo dell'Antico Testamento in greco, includente i libri deuterocanonici è l'edizione realizzata nel 1935 dal filologo tedesco Alfred Rahlfs (vedi Bibbia Rahlfs).
Il testo critico usato attualmente come modello per il testo greco del Nuovo Testamento è quello del The Greek New Testament (GNT), basato su B, curato da K. Aland, M. Black, Bruce Metzger, A. Wikgren, Carlo Maria Martini, B. Aland. United Bible Societies. Edizioni: 1966, 1968, 1975, 1983 e 1993.

Versioni della Bibbia

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Versioni della Bibbia.

Tra le migliaia di traduzioni del testo biblico in tutte le lingue del mondo sono particolarmente degne di nota:
  • Pentateuco samaritano (Torah e Giosuè). Fissato nel IV secolo a.C., non si tratta propriamente di una traduzione dei 6 libri ebraici, essendo scritto anch'esso in ebraico, ma differisce notevolmente dal testo masoretico canonico. È il testo ufficiale della piccola comunità samaritana tuttora esistente in Israele ed in Cisgiordania.
  • Peshitta (=semplice, sottinteso 'traduzione'). In aramaico, realizzata secondo la tradizione dal vescovo della città di Edessa, Rabbula (morto nel 435), è il testo ufficiale delle varie chiese di tradizione siriaca presenti per lo più nel Vicino Oriente.
  • Settanta (o Septuaginta, o LXX, dal numero dei traduttori originali). È la versione greca dell'Antico Testamento, più antica della fissazione dello stesso Testo masoretico, scritta ad Alessandria d'Egitto tra il IV e II secolo a.C. Fu usata prima dagli ebrei di lingua greca e poi diffusa in ambito cristiano. Unitamente al testo greco del Nuovo Testamento, è la versione ufficiale delle chiese ortodosse.
  • Vulgata (= resa nel linguaggio del volgo, allora il latino, diffusa per il popolo). San Girolamo tradusse in latino l'intero testo biblico nel IV secolo. Per secoli ha rappresentato il testo ufficiale della Chiesa e della liturgia cattolica. Dopo il Concilio Vaticano II, le varie chiese cattoliche nazionali hanno elaborato e adottato nel culto liturgico versioni nelle varie lingue nazionali. La Vulgata è ancora oggi il testo liturgico della messa in latino.
  • Nel periodo dal XIII al XV secolo, assistiamo, in Italia, alla produzione di parziali traduzioni in volgare del testo biblico, fino a che, nel 1471, viene pubblicata, in italiano, la prima versione della Bibbia in una lingua moderna[11].
  • Bibbia di Lutero. Versione biblica tedesca per eccellenza, ha avuto una notevole influenza sulla stessa lingua tedesca. Il riformato terminò il NT nel 1522 e l'intero testo biblico nel 1534. È la versione di riferimento, in testo originale o nelle sue traduzioni, di molte chiese protestanti.
  • La Bibbia di Gerusalemme (Bible de Jérusalem), realizzata in francese tra il 1947-1955 è opera dalla École Biblique de Jérusalem. Ha una fondamentale importanza per l'impiego sistematico nelle note e introduzioni del metodo storico-critico. Il suo apparato critico tradotto è presente in numerose versioni in altre lingue.
  • La Bibbia TOB (abbreviazione di Traduction Oecuménique de la Bible, ma anche buono in ebraico), pubblicata in francese nel 1975-1976, è stata realizzata congiuntamente da esegeti cattolici e protestanti, avallata infine da studiosi ortodossi. Al pari della Bibbia di Gerusalemme, contiene un utilissimo apparato critico, che tradotto accompagna numerose versioni in altre lingue.
  • Bibbia CEI (Editio Princeps 1971, revisione 1974, revisione NT 1997, revisione definitiva 2008), è il testo ufficiale della Chiesa cattolica italiana.

Nelle altre religioni

Secondo i musulmani la Bibbia è originariamente ispirata da Dio ma manipolata dall'uomo, al pari di altri testi religiosi. La Bibbia è il testo sacro anche del rastafarianesimo ortodosso[12].

Note

  1. ^ Cristiano Grottanelli in La religione d'Israele prima dell'Esilio in Ebraismo (a cura di Giovanni Filoramo). Bari, Laterza, 2007, pag.3, fa presente che una forma 'embrionale' di tale canone si può far risalire al III secolo a.C.
  2. ^ Termine che nella religione cristiana indica un'attività missionaria, o redentrice, assunta per vocazione.
  3. ^ Dal latino Testamentum che rende il greco antico Διαθήκη (Diatēkē) a sua volta per rendere l'ebraico מִילָה (Běrīt) con il significato di "patto", "accordo" ma anche "promessa".
  4. ^ Deuterocanonici secondo la Treccani
  5. ^ Commentary on the Old Testament di C.F.Keil e F.Delitzsch, 1973, volume III, Ester pp.322-324
  6. ^ Zeitschrift fur die alttestamentliche Wissenschaft, 1940/41, vol.58, pp.243, 244; 1942/43, vol.59, p.219
  7. ^
    « The quest for the historical Moses is a futile exercise. He now belongs only to legend »
    (John Van Seters. Moses in Encyclopedia of Religioni vol.09. New York, MacMillan, 2005, pag.6199)
    « I tre periodi più antichi, invece, dall'età detta dei Patriarchi (da Abramo, il più antico antenato, a Giuseppe) all'età "mosaica" alla Conquista e poi al tempo dei Giudici, sono certamente finzioni bibliche. »
    (Cristiano Grottanelli. La religione d'Israele prima dell'Esilio in Ebraismo (a cura di Giovanni Filoramo). Bari, Laterza, 2007)
    « Alla storicità delle figure dei Patriarchi, e dei relativi racconti che troviamo nella Genesi, nemmeno gli studiosi più tradizionalisti credono più; l'Esodo dall'Egitto, la marcia attraverso il deserto e la conquista della Palestina (la "terra di Canaan") sono oggi negati da alcuni studiosi, mentre coloro che accettano una qualche credibilità storica non sono d'accordo fra loro quanto alla datazione, alla portata e al contesto degli eventi che propongono di collegare al racconto biblico dell' Esodo e dei libri connessi e del libro dei Giudici »
    (Cristiano Grottanelli. La religione d'Israele prima dell'Esilio in Ebraismo (a cura di Giovanni Filoramo). Bari, Laterza, 2007)
    « Nel corso degli ultimi due secoli la critica biblica ha dapprima smantellato la storicità della creazione e del diluvio, poi quella dei Patriarchi, (poi sempre seguendo l'ordine cronologico) quella dell'Esodo e della conquista, di Mosè e di Giosuè, del periodo dei Giudici e della "Lega delle 12 tribù" arrestandosi per al regno unito di David e Salomone considerato sostanzialmente storico [...] La più recente critica al concetto stesso di regno unito ha messo in crisi totale il racconto biblico. »
    (Mario Liverani. Oltre la Bibbia, Bari, Laterza, 2009, pag.VII-VIII)
  8. ^ 6972 volte secondo la Versione del Re Giacomo dei 400 anni
  9. ^ I dogmi della natura divina di Gesù e della Trinità sono stati stabiliti dal Concilio di Nicea del 325 d.C. e sono accettati dalla maggior parte delle chiese cristiane contemporanee (cattolica, ortodossa, protestante, anglicana, copta, nestoriana, siriaca), dette di tradizione conciliare. Una minoranza di movimenti religiosi antichi (tra i quali ebioniti, gnostici, ariani) e contemporanei (tra i quali Testimoni di Geova, Mormoni, Chiesa dell'Unificazione) non riconoscono i dogmi della natura divina di Gesù e della Trinità come stabiliti da Nicea.
  10. ^ Nonostante le lettere di San Paolo affermino che il perdono di Dio si estende anche a coloro che non credono in lui.
  11. ^ http://www.sismelfirenze.it/bibbieItaliane/ita/bibbia.htm
  12. ^
    « The historical root of the movement in Jamaica— the Order of Nyahbinghi—is arguably the most traditionally “religious” (including its populous offshoot, the Bobo Dreads of the Ethiopia Africa Black International Congress). These are the most churchical groups, the houses (or denominations) of Rastafari that are the most biblically based (especially attending to the Hebrew Scriptures), the most fervently black nationalist in orientation, as well as the most tightly structured around ceremonial worship. Although there is no universally recognized Rastafari orthodoxy at this point, Carol D. Yawney and John P. Homiak (2001) have pointed to an important trend within the House of Nyahbinghi to assume responsibility for upholding traditional Rastafari doctrine, especially in its overseas missions. At the other extreme, those who enter the movement via its broad cultural appeal and who may not belong to any particular house tend to be more open to other dimensions of spirituality and may not relate significantly to the Bible, worship with any special congregation, or even have any commitment to relocate to the continent of Africa. There are also clusters of Rastas who link with more directly political organizations, like the Rastafari Centralization Organization in Jamaica, which attempts to coordinate the different houses and focus them on political issues (for example, challenging the ganja [marijuana] laws or setting up a practical program for relocation to Africa) »
    (Richard C. Salter e Ikael Tafari. Encyclopedia of Religion, vol.11. NY, MAcmillan, 2005, pag.7623)

Bibliografia

  • (EN) Scripture e The Bible in Catholic Encyclopedia, Encyclopedia Press, 1917.
  • La Bibbia e le sue trasformazioni, Queriniana, Brescia, 1984
  • La Diodati: piccola storia di una grande Bibbia, in La parola, IX, maggio-agosto 1994
  • Enciclopedia Biblica Illustrata, Marietti, Casale Monferrato, 1981
  • La Bibbia al rogo, Il Mulino, Bologna, 1997, pp. 17
  • Oltre la Bibbia Storia Antica di Israele di Mario Liverani, Editori Laterza, Roma-Bari , 2012, ISBN : 978-88-420-9841-6

Voci correlate


Collegamenti esterni

 


San Pietro Apostolo


 

Bethsaida (Galilea) - † Roma, 67 d.C.
Pietro, scelto da Cristo a fondamento dell'edificio ecclesiale, clavigero del regno dei cieli (Mt 16,13-19), pastore del gregge santo (Gv 21,15-17), confermatore dei fratelli (Lc 22,32), è nella sua persona e nei suoi successori il segno visibile dell'unità e della comunione nella fede e nella carità. Gli apostoli Pietro e Paolo sigillarono con il martirio a Roma, verso l'anno 67, la loro testimonianza al Maestro. (Mess. Rom.)
Patronato: Papi, Pescatori
Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino
Emblema: Chiavi, Croce rovesciata, Rete da pescatore
Martirologio Romano: Solennità dei santi Pietro e Paolo Apostoli. Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, primo tra i discepoli professò che Gesù era il Cristo, Figlio del Dio vivente, dal quale fu chiamato Pietro. Paolo, Apostolo delle genti, predicò ai Giudei e ai Greci Cristo crocifisso. Entrambi nella fede e nell’amore di Gesù Cristo annunciarono il Vangelo nella città di Roma e morirono martiri sotto l’imperatore Nerone: il primo, come dice la tradizione, crocifisso a testa in giù e sepolto in Vaticano presso la via Trionfale, il secondo trafitto con la spada e sepolto sulla via Ostiense. In questo giorno tutto il mondo con uguale onore e venerazione celebra il loro trionfo.

San Pietro è l’apostolo investito della dignità di primo papa da Gesù Cristo stesso: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”. Pur non essendo stato il primo a portare la fede a Roma, ne divenne insieme a s. Paolo, fondatore della Roma cristiana, stabilizzando e coordinando la prima Comunità, confermandola nella Fede e testimoniando con il martirio la sua fedeltà a Cristo.
Nacque a Bethsaida in Galilea, pescatore sul lago di Tiberiade, insieme al fratello Andrea, il suo nome era Simone, che in ebraico significava “Dio ha ascoltato”; sposato e forse vedovo perché nel Vangelo è citata solo la suocera, mentre nei Vangeli apocrifi è riportato che aveva una figlia, la leggendaria santa Petronilla; il fratello Andrea, dopo aver ascoltato l’esclamazione di Giovanni Battista: ”Ecco l’Agnello di Dio!” indicando Gesù, si era recato a conoscerlo ed ascoltarlo e convintosi, disse poi a Simone “Abbiamo trovato il Messia!” e lo condusse con sé da Gesù.
Pietro fu chiamato da Cristo a seguirlo dicendogli “Tu sei Simone il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa = Pietro (che in latino è tradotto Petrus); in seguito dopo la pesca miracolosa, avrà la promessa da Cristo che diventerà pescatore di anime.
Fu tra i più intraprendenti e certamente il più impulsivo degli Apostoli, per cui ne divenne il portavoce e capo riconosciuto, con la celebre promessa del primato: “E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
Ciò nonostante anche lui fu preso da grande timore durante l’arresto e il supplizio di Gesù, e lo rinnegò tre volte. Ma si pentì subito di ciò e pianse lagrime amare di rimorso; egli non è un’asceta, un diplomatico, anzi è uno che afferma drasticamente le cose e le dice, protesta come quando il Maestro preannuncia la sua imminente morte, Pietro pensa e poi afferma: “Il Maestro deve morire? Assurdo!”, come altrettanto decisamente si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù, durante l’ultima cena, ma in questa ed altre occasioni riceve i rimproveri del Maestro ed egli pur non comprendendo, accetta sempre, perché sapeva od aveva intuito di trovarsi davanti alla Verità.
È un uomo semplice, schietto, diremmo sanguigno, agisce d’impeto come quando cerca con la spada, di opporsi alla cattura di Gesù, che ancora una volta lo riprende per queste sue reazioni di essere umano, non ancora conscio, del grande evento della Redenzione e quindi, privato delle sue forze solo umane, non gli resta altro che fuggire ed assistere impotente ed angosciato agli episodi della Passione di Cristo.
Dopo la crocifissione e la Resurrezione, Pietro ormai convinto della missione salvifica del suo Maestro, riprende coraggio e torna quindi a radunare gli altri Apostoli e discepoli dispersi, infondendo coraggio a tutti, fino alla riunione nel Cenacolo cui partecipa anche Maria.
Lì ricevettero lo Spirito Santo, ebbero così la forza di affrontare i nemici del nascente cristianesimo e con il miracolo della comprensione delle lingue, uscirono a predicare le Verità della nuova Fede.
Gli Apostoli nell’ardore di propagare il Cristianesimo a tutte le genti, non solo agli israeliti, dopo 12 anni trascorsi a Gerusalemme, si sparsero per il mondo conosciuto di allora.
Pietro ebbe il dono di operare miracoli, alla porta del tempio guarì un povero storpio, suscitando entusiasmo tra il popolo e preoccupazione nel Sinedrio. Anania e Zaffira caddero ai suoi piedi stecchiti, per aver mentito e Simon Mago che voleva con i suoi soldi comprare da lui il potere di fare miracoli, subì parole durissime e cadendo rovinosamente, in un tentativo di operarli da solo.
Risuscitò Tabita a Giaffa per la gioia di quella comunità fuori Gerusalemme. Ammise al battesimo il centurione romano Cornelio e la sua famiglia, stabilendo così che cristiani potevano essere anche i pagani e chi non era circonciso, come fino allora prescriveva la legge ebraica di Mosè.
Subì il carcere e miracolosamente liberato, lasciò Gerusalemme, dove la vita era diventata molto rischiosa a causa della persecuzione di Erode Antipa, intraprese vari viaggi, poi nell’anno 42 dell’era cristiana dopo essere stato ad Antiochia, giunse in Italia proseguendo fino a Roma ‘caput mundi’, centro dell’immenso Impero Romano, ne fu vescovo e primo papa per 25 anni, anche se interrotti da qualche viaggio apostolico.
A causa dell’incendio di Roma dell’anno 644, di cui furono incolpati i cristiani, avvenne la prima persecuzione voluta da Nerone; fra le migliaia e migliaia di vittime vi fu anche Pietro il quale finì nel carcere Mamertino e nel 67 (alcuni studiosi dicono nel 64), fu crocifisso sul colle Vaticano nel circo Neroniano, la tradizione antichissima fa risalire allo storico cristiano Origene, la prima notizia che Pietro fu crocifisso per sua volontà, con la testa in giù; nello stesso anno s. Paolo veniva decollato sempre a Roma ma fuori le mura.
Il corpo di Pietro venne sepolto a destra della via Cornelia, dove fu poi innalzata la Basilica Costantiniana.
La grandezza di Pietro consiste principalmente nella dignità di cui fu rivestito e che trascendendo la sua persona, si perpetua nell’istituzione del papato. Primo papa, Vicario di Cristo, capo visibile della Chiesa, egli è il capolista di una gerarchia che da venti secoli si avvicenda nella guida dei fedeli credenti.
L’umile pescatore di Bethsaida, si trovò a guidare la nascente Chiesa, in un periodo cruciale per l’affermazione nel mondo pagano dei principi del Cristianesimo; istituì il primo ordinamento ecclesiastico e la recita del ‘Pater noster’.
Indisse il 1° Concilio di Gerusalemme, fu ispiratore del Vangelo di Marco, autore di due lettere apostoliche nonostante la sua scarsa cultura, nominò apostolo il discepolo Mattia al posto del suicida Giuda Iscariota.
Il primo simbolo che caratterizza la figura di Pietro e dei suoi successori è la ‘Cattedra’, segno della potestà di insegnare, confermare, guidare e governare il popolo cristiano, la ‘cattedra’ è inserita nel grande capolavoro della “Gloria” del Bernini, che sovrasta l’altare maggiore in fondo alla Basilica Vaticana, a sua volta sovrastata dall’allegoria della colomba, raffigurante lo Spirito Santo che l’assiste e lo guida.
Il secondo simbolo, il più diffuso, è lo stemma pontificio, comprendente una tiara, copricapo esclusivo del papa con le chiavi incrociate. La tiara porta tre corone sovrapposte, quale simbolo dell’immensa potestà del pontefice (nel pontificale romano del 1596, la tiara o triregno, stava ad indicare il papa come padre dei principi e dei re, rettore del mondo cattolico e Vicario di Cristo). Questo simbolo perpetuato e arricchito nei secoli da artisti insigni, nelle loro opere di pittura, scultura, araldica, raffiguranti i vari papi, oggi non è più usata e nelle cerimonie d’incoronazione è stata sostituita dalla mitria vescovile.
Questo ad indicare che il papa più che essere al disopra di tutti regnanti, è invece vescovo tra i vescovi e che il suo primato è tale perché vescovo di Roma, a cui la tradizione apostolica millenaria aveva affidato tale compito. Le chiavi simboleggiano la potestà di aprire e chiudere il regno dei cieli, come detto da Gesù a Pietro.
Per tutti i secoli successivi, s. Pietro, rimase fino al 1846 il papa che aveva governato più a lungo di tutti con i suoi 25 anni, poi venne Pio IX con i suoi 32 anni di governo; ma, recentemente, il pontefice Giovanni Paolo II ha raggiunto anch’egli il quarto di secolo come s. Pietro.
Nessun successore per rispetto, ha voluto chiamarsi Pietro. Nella Basilica Vaticana, nella cripta sotto il maestoso altare con il baldacchino del Bernini, detto della ‘Confessione’, vi sono le reliquie di s. Pietro, venute alla luce durante i lavori di restauro e consolidamento archeologico, fatti eseguire da papa Pio XII negli anni ’50.
Sulla destra dell’immensa navata centrale, vi è la statua bronzea, opera attribuita ad Arnolfo di Cambio, raffigurante l’Apostolo assiso in cattedra, essa si trovava originariamente nel mausoleo che all’inizio del V secolo l’imperatore Onorio, volle costruire sul lato sinistro della basilica, per stare accanto alla tomba del martire; durante le cerimonie pontificie essa viene rivestita con i paramenti papali.
Sporgente dal basamento vi è il piede, ormai consumato dallo strofinio delle mani e dal tradizionale bacio di milioni di fedeli e pellegrini, alternatosi nei secoli e provenienti da tutte le Nazioni.
La festa, o più esattamente la solennità, dei ss. Pietro e Paolo al 29 giugno, è una delle più antiche e più solenni dell’anno liturgico. Essa venne inserita nel messale ben prima della festa del Natale e vi era già nel secolo IV l’usanza di celebrare in questo giorno tre S. Messe: la prima nella basilica di S. Pietro in Vaticano, la seconda a S. Paolo fuori le mura e la terza nelle catacombe di S. Sebastiano, dove le reliquie dei due apostoli dovettero essere nascoste per qualche tempo, per sottrarle alle profanazioni barbariche.
Il giorno 29 giugno sembrerebbe essere la ‘cristianizzazione’ di una ricorrenza pagana, che esaltava le figure di Romolo e Remo, i due mitici fondatori di Roma, come i due apostoli Pietro e Paolo sono considerati i fondatori della Roma cristiana.

Autore:
Antonio Borrelli



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