venerdì 21 marzo 2014

LO SPIRITO DI DIO ALEGGIAVA SULLE ACQUE


Considerazioni sullo Spirito Santo nell'Antico Testamento.

È bello mettersi alla ricerca dello Spirito di Dio!
Dove lo trovo? Dove si nasconde e dove si rivela il movimento delle sue ali, il leggero fruscio del suo soffio, il calore della sua fiamma, la dolcezza del suo suono? 
Nella Storia della Salvezza è Lui il protagonista, ad ogni passo. Dio Padre ha preparato la culla per il suo Figlio con l’azione delicata e paziente dello Spirito! E così il Figlio ora continua a portarci al Padre sospingendo le nostre vele con lo spirare del vento dello steso Spirito!
Queste meditazioni sono un tentativo di andare in cerca dello Spirito nelle pagine della Sacra Scrittura. te le offro nella speranza di godere anch’io del frutto della tua rinnovata preghiera allo Spirito Santo!
Don Vigilio Covi
 
1. 
Ora la terra era informe e deserta
e le tenebre ricoprivano l’abisso
e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. (Gen 1,2) 
Dio ha scelto fin dal principio la strada o il metodo della gradualità, della crescita, della pazienza; egli ha messo l’attesa come colore alle sue opere, e l’umiltà come sapore costante di tutto il suo agire. Quando egli crea il cielo e la terra, li crea bisognosi ancora di tutto. Del cielo sappiamo poco - o nulla - perché esso è quella parte di creazione che i nostri occhi non sfiorano e le nostre mani non raggiungono. Della terra è detto che era informe e deserta: la terra era senza forma e senza vita. Ed essa è ancora senza forma e senza vita: vari spazi, immensi, sono ricoperti di tenebra; o, per intenderci meglio, così sembra a noi, che abbiamo spesso gli occhi chiusi e non ce li lasciamo illuminare dalla sua luce!
La creazione è ancora ed è sempre in cammino. E noi, che dimoriamo in essa, dobbiamo ancora imparare a contemplarla e ad amarla con lo sguardo e il cuore di Colui che l’ha creata.
Quando la terra e l’abisso ricevono forma e luce?
Quando la terra riceve significato?
Quando sulle montagne e sulle colline spuntano e crescono la vita e la gioia?
Quando l’abisso della morte, così spaventoso e orribile, viene illuminato in modo che ogni tenebra fugga e lasci il posto alla pace? 
Sulla creazione di Dio, quella creazione che appare sempre agli inizi e di cui ci sembra di non vedere mai la pienezza, aleggia lo Spirito di Dio. Questa creazione è sempre in movimento, come le acque, talora tumultuose e travolgenti.
Lo Spirito di Dio sta sopra tutto. Egli non si mescola alle tenebre né si perde nella terra deserta. Egli sta al di sopra. Lo Spirito di Dio è presente, e col suo movimento - come lo sbatter tranquillo delle ali di un’aquila - apre il nostro sguardo a vedere terra e abisso e acque divenire servitori dell’umile e paziente amore del Padre!
Lo Spirito di Dio dà forma alla creazione, la forma provvidenziale all’uomo, conveniente perché l’uomo possa percorrere la strada che lo porta al Padre. 
Lo Spirito di Dio continua nei secoli e negli anni della mia vita ad animare tutta la creazione, finché essa trovi nel mio cuore la risposta dello stupore e del rendimento di grazie!
Lo Spirito di Dio muove gli abissi e le realtà informi, e le porta vicino al mio cuore, e muove il mio cuore, perché, grazie all’amore che egli suscita, anche le varie cose e le varie situazioni divengano tessere del grande mosaico del disegno di Dio, amico degli uomini! 
Il terremoto del mese scorso, le acque che inghiottirono la nave, le armi che hanno travolto un popolo con la valanga di sofferenze e disperazione sono “la terra informe e deserta” e “l’abisso” ricoperto di tenebra.
Ma lo Spirito di Dio non solo non è assente, egli “aleggia”, egli continua a confortare e infondere vita e a creare nuovi movimenti di amore. Proprio là lo Spirito di Dio muove le realtà, che si lasciano mettere in ordine dal suo soffio, a nuovi esercizi di amore, a nuovi impulsi di fede generosa e fresca, a nuovi sguardi che s’innalzano verso il Crocifisso, colui che nella tenebra dell’abisso più fondo è diventato luce e speranza e risurrezione! 
Lo Spirito di Dio è sempre ancora lo Spirito del Risorto dai morti, di colui che dal deserto più solitario e tremendo, mosso dallo Spirito, viene per alitare sui luoghi di morte e di tenebra della creazione di Dio! 
Spirito Santo, Spirito del Dio vivente, grazie della brezza vivificante con cui continui a ristorare la terra nel suo cammino verso la pienezza!
Grazie della tua presenza sopra tutti gli abissi e le tenebre, sopra i deserti e sopra le situazioni che, ancora informi, col tuo agire diverranno amore!
Grazie della luce con cui nell’abisso della morte ci illumini Gesù risorto!
 
2. 
Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». 17Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». 18Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. (Gen, 28,16-18) 
In questo brano della Genesi non si parla direttamente dello Spirito Santo. Si parla invece dell’olio versato su di una pietra per consacrarla a Dio. E noi abbiamo imparato a collegare l’unzione con l’olio allo Spirito Santo di Dio. Gesù stesso ci fa pensare allo Spirito Santo quando a Nazareth parla della propria consacrazione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l’unzione...” (Lc 4, 18)
Giacobbe è sconvolto. Egli è in fuga: ha paura del fratello che ha scoperto d’esser stato da lui ingannato. Quello è un fratello forte e violento.
Ora la notte costringe Giacobbe ad una sosta nella fuga. Egli si ferma per riposare, per dormire e riprendere le forze per portare al sicuro la propria vita minacciata. In quella notte, nel sonno, egli ha un sogno. È il famoso sogno della scala, che dalla terra raggiunge il cielo, una scala che serve agli angeli e solo agli angeli per salire e scendere. Giacobbe non capisce perché gli angeli salgano e scendano, non capisce nemmeno perché sia necessaria una scala. Egli capisce che quel sogno è una parola di Dio per lui, pieno di paura e angoscia.
Quel sogno è un segno che Dio lo accompagna, che non lo abbandona. Quel sogno è un segno che Dio non è rimasto presso la tenda di suo padre Isacco, ma lo sta seguendo e precedendo nella sua corsa. Quel sogno è per lui un’esperienza che ha reso visibile l’invisibile, vicino colui che è ritenuto lontano, presente nella propria storia Colui che viene istintivamente pensato assente o distante. 
Per Giacobbe quel sogno ha reso la Presenza di Dio più concreta di quella pietra su cui aveva tenuto poggiato il capo nella notte. Proprio quella pietra, il suo guanciale provvisorio, resterà come segno di quell’incontro notturno. E Giacobbe non si limita ad alzare la pietra, a metterla cioè in una posizione tale che tutti capiscano che è un segno posto dalle mani e dalla volontà d’un uomo, ma vi versa sopra dell’olio. L’olio è frutto della benedizione data da Dio alla terra e al lavoro dell’uomo. L’olio è nutrimento, ma è anche protezione delle membra dall’arsura del caldo, è ristoro alla stanchezza, è unguento che fa brillare il volto di gioia! L’olio è dono di Dio, di quel Dio che ama gli uomini come un Padre! 
La pietra unta con l’olio è segnata per sempre: essa è consacrata ad esser ricordo di Dio, memoria del suo amore per l’uomo che fugge dal fratello. La pietra unta con l’olio è una pietra qualunque, ma per un disegno meraviglioso e misterioso, è un punto di contatto della terra col cielo!
Pietra viva, consacrata, unta con l’unzione dello Spirito è Gesù. Egli è la prima pietra innalzata come segno, luogo di contatto della terra col cielo, memoria della Presenza di Dio nella storia dell’uomo. Unto dal suo Spirito sono anch’io pietra viva, segno e ricordo dell’amore di Dio all’uomo che cammina con angoscia nella notte del mondo.  
Lo Spirito Santo mi fa “casa di Dio”, abitazione del suo amore, membro vivo di quell’edificio spirituale nel quale il Padre accoglie i suoi figli: la Chiesa! Essa è l’appoggio sulla terra della scala che gli angeli continuano a percorrere salendo e scendendo, portando in alto il bisogno di salvezza dell’uomo e riportando dal cielo la risposta, Gesù, Salvatore donato per tutti! 
Spirito di Dio, grazie che consacri il mio cuore, inerte come pietra, ad esser membro del Corpo di Cristo e segno dell’amore del Padre!
Spirito Santo e vivificante, gloria a te e alla tua azione trasformatrice: tu divinizzi l’uomo, tu rendi me peccatore segno della grazia e della consolazione del Padre!
 
3. 
“L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto.” (Es 3,2) 
La fiamma di fuoco, cui Mosè vorrebbe avvicinarsi per soddisfare la propria curiosità, mi ricorda le parole di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49) e le parole del Battista, che presentò Gesù così: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco!” (Lc 3,17) E ancora la stessa fiamma in mezzo al roveto mi porta al ricordo della prima Pentecoste dopo la Resurrezione di Gesù: lingue come di fuoco risplendettero - senza consumare - sopra i Dodici.
Fiamma di fuoco che rivela la Presenza di Dio, del Dio vivente capace di parlare all’uomo, capace di chiedergli impegni di vita! Dalla fiamma che non brucia esce infatti una voce: è una voce amica, e proprio per questo esigente. Mosè, all’udire quella voce che non gli permette di avvicinarsi se non scalzo, si copre persino il volto per paura di vedere ciò che la fiamma già gli nasconde.
Il fuoco che Gesù porta sulla terra è come questo, un fuoco che non brucia, un fuoco che illumina, un fuoco che attira a sé l’uomo risvegliandogli il desiderio prepotente di udire la Voce che parla pur senza scorgere il Volto dell’Interlocutore, di udire la Parola, anche se questa stessa Parola esige che l’uomo si privi dei suoi calzari, delle sue sicurezze.
Quel fuoco che illumina Mosè gli mostra un nuovo cammino, una nuova direzione per la sua vita: egli non vivrà per se stesso e per la propria famiglia, egli vivrà per il suo popolo, quel popolo ormai così abituato ad essere schiavo, da non desiderare più la libertà, perché troppo impegnativa e responsabilizzante.
Illuminato da quella fiamma e dalla Parola che ne esce bruciante Mosè è cambiato. È ancora sì un pover’uomo che non sa parlare speditamente la lingua dei suoi fratelli, è ancora uno su cui pesa il ricordo del passato e dei suoi errori giovanili, è ancora uno che non gode la stima e deve guadagnarsi la fiducia all’interno del proprio popolo, ma è pure un uomo nel cui cuore brucia ora una fiamma che non lo lascia più chiuso in se stesso. In lui ora brucia la sete di vedere salvi i suoi fratelli, di liberare i suoi consanguinei dalla schiavitù, di far udire anche a loro quella Voce amica che ha riempito i suoi orecchi e il suo cuore e non si separa più dalla sua mente.
Ecco il fuoco in cui Gesù battezza i suoi. È un fuoco come quello che sull’altare del tempio trasforma le vittime e le oblazioni e le fa salire in alto al cospetto di Dio!
Fuoco bruciante e trasformante è lo Spirito in cui Gesù immerge coloro che si rivolgono a lui scalzi per udire la Parola ardente: fuoco che trasforma l’uomo in offerta d’amore, fuoco che fa perdere all’uomo l’attenzione a se stesso per rivolgerla tutta ai desideri di colui che lo incontra inaspettatamente e lo vuole disponibile e pronto, anche se incapace e timoroso.
Fiamma nel roveto: il roveto può rimanere spinoso e inestricabile come il cuore dell’uomo, ma la fiamma col suo calore e la sua luce espande lontano la propria influenza benefica. Fiamma nel roveto è lo Spirito che copre i Dodici nella Pentecoste: ad ognuno di loro rimangono le spine della propria umanità, debolezze e incapacità, ma da ognuno di loro si effonde l’azione benefica del Dio che salva gli uomini dal loro peccato e dalla loro solitudine. 
Vieni, Spirito Santo! Vieni, ardi in me. Ardi nella Chiesa del Figlio di Dio. Dal tuo fuoco la Parola, che trasforma e impegna gli uomini al servizio dei fratelli per portarli a Dio, sarà accolta! Tu sei fuoco che rende la mia e la nostra vita una vera offerta al Padre, gradita e santa!
 
4. 
“Come il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato il grande grido di guerra, le mura della città crollarono.” (Giosuè, 6,20) 
Un grande clamore, un popolo che lancia un grido di guerra non appena ode il suono della tromba, un popolo obbediente ai suoi sacerdoti che suonano il corno, e le mura della città nemica crollano!
Non ci sono varchi nelle mura di quella città, che è una continua minaccia per il popolo di Dio. Essa lo minaccia con due mezzi, la forza e la seduzione.
La città che fa paura al popolo di Dio può usare l’esercito per impedirgli il cammino, oppure potrebbe usare l’arma ancora più temibile della seduzione, perché esso si arresti da solo: dar voce alle proprie divinità, farle apparire attraenti, dipingerle dello stesso colore dell’Arca santa, cioè far in modo che esse annuncino quegli stessi valori che nascono come frutto della fedeltà a Dio: prosperità, salute, armonia, unità, fraternità, eguaglianza, libertà!
Se le divinità di Gerico, col loro oro e col loro argento, fossero capaci di sedurre il popolo di Dio, questi farebbe pace: le accoglierebbe: sarebbe l’inganno peggiore, apostasia dal Dio vivente, morte del popolo.
Nessuno può abbattere Gerico. È una città troppo sicura, troppo salda e ben difesa. Ignorarla sarebbe pericoloso. Bisogna affrontarla. Giosuè si fa ispirare dall’angelo di Dio, si pone in ascolto. 
In ascolto dell’angelo di Dio, Giosuè apprende che le armi dell’uomo e gli uomini forti e valorosi e intelligenti non servirebbero a nulla. Qui ciò che serve è uno spirito nuovo: uno spirito povero, che si fida di Dio, uno spirito semplice che accoglie proposte persino infantili, uno spirito obbediente, solo obbediente, che per sette giorni faccia le stesse cose senza frutto, e al settimo giorno le ripeta ancora per sette volte prima di vedere qualcosa! Sette trombe suonate da sette sacerdoti: un suono che tiene l’animo desto e rivolto a Dio.
Sono i suoi sacerdoti che fanno vibrare l’aria donando speranza, la speranza che Dio può intervenire e interverrà per sbarazzare il cammino del popolo da ogni ostacolo pericoloso. 
Mi pare di udire il fragore di quelle sette trombe di corno d’ariete nel giorno di Pentecoste, a Gerusalemme! Questa volta non sono nemmeno i sacerdoti del Tempio che le suonano, sono angeli di Dio nascosti, invisibili.  
Quel fragore indica l’irrompere nel popolo nuovo, appena uscito dal deserto tremendo della morte in croce del suo unico Fondamento, l’irrompere dello Spirito: Spirito nuovo, Spirito di povertà, Spirito di semplicità, Spirito di obbedienza che dà coraggio a Dodici uomini di affrontare senza armi, con la sola tromba dell’Evangelo, le mura secolari della città del Mondo! 
Al suono della loro Tromba crolleranno le mura di città potenti, le città dell’odio, della vendetta, quelle della dea Venere e del dio Bacco, che rendono gli uomini schiavi dei loro piaceri, quelle di Mercurio e di Afrodite, di Iside e di Saturno, che col loro materialismo ed egoismo edonistico impediscono la fraternità e la pace, poiché impediscono i passi al popolo di Dio e cercano di sedurlo con la loro apparenza di bene e di religiosità.
Lo Spirito Santo di Dio è il suono che esce dalla Tromba degli Apostoli, l’unica arma che vince il mondo, mio nemico. Lo Spirito Santo è l’unica speranza, l’unica potenza su cui posso contare per il nostro cammino verso il Padre, l’unica forza che può liberare il mondo dalle sue schiavitù. Lo Spirito Santo è l’unica arma che posso indossare per risultare invincibile. 
Vieni Spirito Santo!

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