Considerazioni
sullo Spirito Santo nell'Antico Testamento.
È
bello mettersi alla ricerca dello Spirito di Dio!
Dove
lo trovo? Dove si nasconde e dove si rivela il movimento delle sue ali, il
leggero fruscio del suo soffio, il calore della sua fiamma, la dolcezza del suo
suono?
Nella
Storia della Salvezza è Lui il protagonista, ad ogni passo. Dio Padre ha
preparato la culla per il suo Figlio con l’azione delicata e paziente dello
Spirito! E così il Figlio ora continua a portarci al Padre sospingendo le
nostre vele con lo spirare del vento dello steso Spirito!
Queste
meditazioni sono un tentativo di andare in cerca dello Spirito nelle pagine
della Sacra Scrittura. te le offro nella speranza di godere anch’io del frutto
della tua rinnovata preghiera allo Spirito Santo!
Don Vigilio Covi
1.
Ora
la terra era informe e deserta
e
le tenebre ricoprivano l’abisso
e
lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. (Gen 1,2)
Dio
ha scelto fin dal principio la strada o il metodo della gradualità, della
crescita, della pazienza; egli ha messo l’attesa come colore alle sue opere, e
l’umiltà come sapore costante di tutto il suo agire. Quando egli crea il
cielo e la terra, li crea bisognosi ancora di tutto. Del cielo sappiamo poco - o
nulla - perché esso è quella parte di creazione che i nostri occhi non
sfiorano e le nostre mani non raggiungono. Della terra è detto che era informe
e deserta: la terra era senza forma e senza vita. Ed essa è ancora senza forma
e senza vita: vari spazi, immensi, sono ricoperti di tenebra; o, per intenderci
meglio, così sembra a noi, che abbiamo spesso gli occhi chiusi e non ce li
lasciamo illuminare dalla sua luce!
La
creazione è ancora ed è sempre in cammino. E noi, che dimoriamo in essa,
dobbiamo ancora imparare a contemplarla e ad amarla con lo sguardo e il cuore di
Colui che l’ha creata.
Quando
la terra e l’abisso ricevono forma e luce?
Quando
la terra riceve significato?
Quando
sulle montagne e sulle colline spuntano e crescono la vita e la gioia?
Quando
l’abisso della morte, così spaventoso e orribile, viene illuminato in modo
che ogni tenebra fugga e lasci il posto alla pace?
Sulla
creazione di Dio, quella creazione che appare sempre agli inizi e di cui ci
sembra di non vedere mai la pienezza, aleggia lo Spirito di Dio. Questa
creazione è sempre in movimento, come le acque, talora tumultuose e
travolgenti.
Lo
Spirito di Dio sta sopra tutto. Egli non si mescola alle tenebre né si perde
nella terra deserta. Egli sta al di sopra. Lo Spirito di Dio è presente, e col
suo movimento - come lo sbatter tranquillo delle ali di un’aquila - apre il
nostro sguardo a vedere terra e abisso e acque divenire servitori dell’umile e
paziente amore del Padre!
Lo
Spirito di Dio dà forma alla creazione, la forma provvidenziale all’uomo,
conveniente perché l’uomo possa percorrere la strada che lo porta al Padre.
Lo
Spirito di Dio continua nei secoli e negli anni della mia vita ad animare tutta
la creazione, finché essa trovi nel mio cuore la risposta dello stupore e del
rendimento di grazie!
Lo
Spirito di Dio muove gli abissi e le realtà informi, e le porta vicino al mio
cuore, e muove il mio cuore, perché, grazie all’amore che egli suscita, anche
le varie cose e le varie situazioni divengano tessere del grande mosaico del
disegno di Dio, amico degli uomini!
Il
terremoto del mese scorso, le acque che inghiottirono la nave, le armi che hanno
travolto un popolo con la valanga di sofferenze e disperazione sono “la
terra informe e deserta” e “l’abisso”
ricoperto di tenebra.
Ma
lo Spirito di Dio non solo non è assente, egli “aleggia”, egli continua a confortare e infondere vita e a creare
nuovi movimenti di amore. Proprio là lo Spirito di Dio muove le realtà, che si
lasciano mettere in ordine dal suo soffio, a nuovi esercizi di amore, a nuovi
impulsi di fede generosa e fresca, a nuovi sguardi che s’innalzano verso il
Crocifisso, colui che nella tenebra dell’abisso più fondo è diventato luce e
speranza e risurrezione!
Lo
Spirito di Dio è sempre ancora lo Spirito del Risorto dai morti, di colui che
dal deserto più solitario e tremendo,
mosso dallo Spirito, viene per alitare
sui luoghi di morte e di tenebra della creazione di Dio!
Spirito
Santo, Spirito del Dio vivente, grazie della brezza vivificante con cui continui
a ristorare la terra nel suo cammino verso la pienezza!
Grazie
della tua presenza sopra tutti gli abissi e le tenebre, sopra i deserti e sopra
le situazioni che, ancora informi, col tuo agire diverranno amore!
Grazie
della luce con cui nell’abisso della morte ci illumini Gesù risorto!
2.
Allora
Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e
io non lo sapevo». 17Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile
questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». 18Alla
mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come
guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. (Gen,
28,16-18)
In
questo brano della Genesi non si parla direttamente dello Spirito Santo. Si
parla invece dell’olio versato su di una pietra per consacrarla a Dio. E noi
abbiamo imparato a collegare l’unzione con l’olio allo Spirito Santo di Dio.
Gesù stesso ci fa pensare allo Spirito Santo quando a Nazareth parla della
propria consacrazione: “Lo Spirito del
Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l’unzione...”
(Lc 4, 18)
Giacobbe
è sconvolto. Egli è in fuga: ha paura del fratello che ha scoperto d’esser
stato da lui ingannato. Quello è un fratello forte e violento.
Ora
la notte costringe Giacobbe ad una sosta nella fuga. Egli si ferma per riposare,
per dormire e riprendere le forze per portare al sicuro la propria vita
minacciata. In quella notte, nel sonno, egli ha un sogno. È il famoso sogno
della scala, che dalla terra raggiunge il cielo, una scala che serve agli angeli
e solo agli angeli per salire e scendere. Giacobbe non capisce perché gli
angeli salgano e scendano, non capisce nemmeno perché sia necessaria una scala.
Egli capisce che quel sogno è una parola di Dio per lui, pieno di paura e
angoscia.
Quel
sogno è un segno che Dio lo accompagna, che non lo abbandona. Quel sogno è un
segno che Dio non è rimasto presso la tenda di suo padre Isacco, ma lo sta
seguendo e precedendo nella sua corsa. Quel sogno è per lui un’esperienza che
ha reso visibile l’invisibile, vicino colui che è ritenuto lontano, presente
nella propria storia Colui che viene istintivamente pensato assente o distante.
Per
Giacobbe quel sogno ha reso la Presenza di Dio più concreta di quella pietra su
cui aveva tenuto poggiato il capo nella notte. Proprio quella pietra, il suo
guanciale provvisorio, resterà come segno di quell’incontro notturno. E
Giacobbe non si limita ad alzare la pietra, a metterla cioè in una posizione
tale che tutti capiscano che è un segno posto dalle mani e dalla volontà
d’un uomo, ma vi versa sopra dell’olio. L’olio è frutto della benedizione
data da Dio alla terra e al lavoro dell’uomo. L’olio è nutrimento, ma è
anche protezione delle membra dall’arsura del caldo, è ristoro alla
stanchezza, è unguento che fa brillare il volto di gioia! L’olio è dono di
Dio, di quel Dio che ama gli uomini come un Padre!
La
pietra unta con l’olio è segnata per sempre: essa è consacrata ad esser
ricordo di Dio, memoria del suo amore per l’uomo che fugge dal fratello. La
pietra unta con l’olio è una pietra qualunque, ma per un disegno meraviglioso
e misterioso, è un punto di contatto della terra col cielo!
Pietra
viva, consacrata, unta con l’unzione dello Spirito è Gesù. Egli è la prima
pietra innalzata come segno, luogo di contatto della terra col cielo, memoria
della Presenza di Dio nella storia dell’uomo. Unto dal suo Spirito sono
anch’io pietra viva, segno e ricordo dell’amore di Dio all’uomo che
cammina con angoscia nella notte del mondo.
Lo
Spirito Santo mi fa “casa di Dio”, abitazione del suo amore, membro vivo di
quell’edificio spirituale nel quale il Padre accoglie i suoi figli: la Chiesa!
Essa è l’appoggio sulla terra della scala che gli angeli continuano a
percorrere salendo e scendendo, portando in alto il bisogno di salvezza
dell’uomo e riportando dal cielo la risposta, Gesù, Salvatore donato per
tutti!
Spirito
di Dio, grazie che consacri il mio cuore, inerte come pietra, ad esser membro
del Corpo di Cristo e segno dell’amore del Padre!
Spirito
Santo e vivificante, gloria a te e alla tua azione trasformatrice: tu divinizzi
l’uomo, tu rendi me peccatore segno della grazia e della consolazione del
Padre!
3.
“L’angelo
del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto.” (Es 3,2)
La
fiamma di fuoco, cui Mosè vorrebbe avvicinarsi per soddisfare la propria
curiosità, mi ricorda le parole di Gesù: “Sono
venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!”
(Lc 12,49) e le parole del Battista, che presentò Gesù così: “Egli
vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco!” (Lc 3,17) E ancora la stessa
fiamma in mezzo al roveto mi porta al ricordo della prima Pentecoste dopo la
Resurrezione di Gesù: lingue come di fuoco risplendettero - senza consumare -
sopra i Dodici.
Fiamma
di fuoco che rivela la Presenza di Dio, del Dio vivente capace di parlare
all’uomo, capace di chiedergli impegni di vita! Dalla fiamma che non brucia
esce infatti una voce: è una voce amica, e proprio per questo esigente. Mosè,
all’udire quella voce che non gli permette di avvicinarsi se non scalzo, si
copre persino il volto per paura di vedere ciò che la fiamma già gli nasconde.
Il
fuoco che Gesù porta sulla terra è come questo, un fuoco che non brucia, un
fuoco che illumina, un fuoco che attira a sé l’uomo risvegliandogli il
desiderio prepotente di udire la Voce che parla pur senza scorgere il Volto
dell’Interlocutore, di udire la Parola, anche se questa stessa Parola esige
che l’uomo si privi dei suoi calzari, delle sue sicurezze.
Quel
fuoco che illumina Mosè gli mostra un nuovo cammino, una nuova direzione per la
sua vita: egli non vivrà per se stesso e per la propria famiglia, egli vivrà
per il suo popolo, quel popolo ormai così abituato ad essere schiavo, da non
desiderare più la libertà, perché troppo impegnativa e responsabilizzante.
Illuminato da quella fiamma e dalla Parola che ne esce
bruciante Mosè è cambiato. È ancora sì un pover’uomo che non sa parlare
speditamente la lingua dei suoi fratelli, è ancora uno su cui pesa il ricordo
del passato e dei suoi errori giovanili, è ancora uno che non gode la stima e
deve guadagnarsi la fiducia all’interno del proprio popolo, ma è pure un uomo
nel cui cuore brucia ora una fiamma che non lo lascia più chiuso in se stesso.
In lui ora brucia la sete di vedere salvi i suoi fratelli, di liberare i suoi
consanguinei dalla schiavitù, di far udire anche a loro quella Voce amica che
ha riempito i suoi orecchi e il suo cuore e non si separa più dalla sua mente.
Ecco
il fuoco in cui Gesù battezza i suoi. È un fuoco come quello che sull’altare
del tempio trasforma le vittime e le oblazioni e le fa salire in alto al
cospetto di Dio!
Fuoco
bruciante e trasformante è lo Spirito in cui Gesù immerge coloro che si
rivolgono a lui scalzi per udire la Parola ardente: fuoco che trasforma l’uomo
in offerta d’amore, fuoco che fa perdere all’uomo l’attenzione a se stesso
per rivolgerla tutta ai desideri di colui che lo incontra inaspettatamente e lo
vuole disponibile e pronto, anche se incapace e timoroso.
Fiamma
nel roveto: il roveto può rimanere spinoso e inestricabile come il cuore
dell’uomo, ma la fiamma col suo calore e la sua luce espande lontano la
propria influenza benefica. Fiamma nel roveto è lo Spirito che copre i Dodici
nella Pentecoste: ad ognuno di loro rimangono le spine della propria umanità,
debolezze e incapacità, ma da ognuno di loro si effonde l’azione benefica del
Dio che salva gli uomini dal loro peccato e dalla loro solitudine.
Vieni,
Spirito Santo! Vieni, ardi in me. Ardi nella Chiesa del Figlio di Dio. Dal tuo
fuoco la Parola, che trasforma e impegna gli uomini al servizio dei fratelli per
portarli a Dio, sarà accolta! Tu sei fuoco che rende la mia e la nostra vita
una vera offerta al Padre, gradita e santa!
4.
“Come
il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato il grande grido di guerra,
le mura della città crollarono.” (Giosuè, 6,20)
Un
grande clamore, un popolo che lancia un grido di guerra non appena ode il suono
della tromba, un popolo obbediente ai suoi sacerdoti che suonano il corno, e le
mura della città nemica crollano!
Non
ci sono varchi nelle mura di quella città, che è una continua minaccia per il
popolo di Dio. Essa lo minaccia con due mezzi, la forza e la seduzione.
La
città che fa paura al popolo di Dio può usare l’esercito per impedirgli il
cammino, oppure potrebbe usare l’arma ancora più temibile della seduzione,
perché esso si arresti da solo: dar voce alle proprie divinità, farle apparire
attraenti, dipingerle dello stesso colore dell’Arca santa, cioè far in modo
che esse annuncino quegli stessi valori che nascono come frutto della fedeltà a
Dio: prosperità, salute, armonia, unità, fraternità, eguaglianza, libertà!
Se
le divinità di Gerico, col loro oro e col loro argento, fossero capaci di
sedurre il popolo di Dio, questi farebbe pace: le accoglierebbe: sarebbe
l’inganno peggiore, apostasia dal Dio vivente, morte del popolo.
Nessuno
può abbattere Gerico. È una città troppo sicura, troppo salda e ben difesa.
Ignorarla sarebbe pericoloso. Bisogna affrontarla. Giosuè si fa ispirare
dall’angelo di Dio, si pone in ascolto.
In
ascolto dell’angelo di Dio, Giosuè apprende che le armi dell’uomo e gli
uomini forti e valorosi e intelligenti non servirebbero a nulla. Qui ciò che
serve è uno spirito nuovo: uno spirito povero, che si fida di Dio, uno spirito
semplice che accoglie proposte persino infantili, uno spirito obbediente, solo
obbediente, che per sette giorni faccia le stesse cose senza frutto, e al
settimo giorno le ripeta ancora per sette volte prima di vedere qualcosa! Sette
trombe suonate da sette sacerdoti: un suono che tiene l’animo desto e rivolto
a Dio.
Sono
i suoi sacerdoti che fanno vibrare l’aria donando speranza, la speranza che
Dio può intervenire e interverrà per sbarazzare il cammino del popolo da ogni
ostacolo pericoloso.
Mi
pare di udire il fragore di quelle sette trombe di corno d’ariete nel giorno
di Pentecoste, a Gerusalemme! Questa volta non sono nemmeno i sacerdoti del
Tempio che le suonano, sono angeli di Dio nascosti, invisibili.
Quel
fragore indica l’irrompere nel popolo nuovo, appena uscito dal deserto
tremendo della morte in croce del suo unico Fondamento, l’irrompere dello
Spirito: Spirito nuovo, Spirito di povertà, Spirito di semplicità, Spirito di
obbedienza che dà coraggio a Dodici uomini di affrontare senza armi, con la
sola tromba dell’Evangelo, le mura secolari della città del Mondo!
Al
suono della loro Tromba crolleranno le mura di città potenti, le città
dell’odio, della vendetta, quelle della dea Venere e del dio Bacco, che
rendono gli uomini schiavi dei loro piaceri, quelle di Mercurio e di Afrodite,
di Iside e di Saturno, che col loro materialismo ed egoismo edonistico
impediscono la fraternità e la pace, poiché impediscono i passi al popolo di
Dio e cercano di sedurlo con la loro apparenza di bene e di religiosità.
Lo
Spirito Santo di Dio è il suono che esce dalla Tromba degli Apostoli, l’unica
arma che vince il mondo, mio nemico. Lo Spirito Santo è l’unica speranza,
l’unica potenza su cui posso contare per il nostro cammino verso il Padre,
l’unica forza che può liberare il mondo dalle sue schiavitù. Lo Spirito
Santo è l’unica arma che posso indossare per risultare invincibile.
Vieni
Spirito Santo!
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