martedì 14 gennaio 2014

Il titolo della condanna

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La tavoletta del condannato:
perchè tutti vedessero...
 
Parliamo ora della tavoletta posta sopra il capo del Crocifisso, con la motivazione della condanna capitale. I Romani ci tenevano a rendere pubblica la sentenza di morte, anche a mezzo di scritte particolari, in modo che la gente della strada, anche quella, sapesse per quali ragioni si era giunti alla sentenza capitale. Certamente ne ebbero anche i due criminali condannati con Gesù, con le motivazioni del caso. In quella riguardante Gesù, il procuratore romano, Ponzio Pilato, ci fece mettere semplicemente gli estremi anagrafici e non accenni a crimini particolari. Il testo per disteso ce lo ha conservato solo S. Giovanni: “Gesù Nazareno Re dei Giudei”.
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Matteo ha: “Questi è Gesù il Re dei Giudei”
Marco, più breve: “Il Re dei Giudei”

Luca ripete Matteo quasi del tutto. Che fosse nelle tre lingue allora più note lo apprendiamo da Luca e Giovanni. Iniziava in ebraico, o aramaico, da destra a sinistra, che suonava presso a poco così:  “Joshua Nazir, melek Joudaim”.
 Il greco, da sinistra a destra, suonava: “Jesus Nazoreus,vasileos ton Joudeon”. Il latino lo conosciamo tutti: “Jesus Nazarenus rex Judeorum” (da cui  la nota sigla che vediamo sul capo di Gesù Crocifisso: JNRI).
La tavoletta con la scritta veniva appesa al collo del condannato, su cui pesava la croce, cioè la stanga traversa, o patibolum, in modo che, lungo il tragitto verso il luogo della esecuzione, tutti vedessero.
Giunto a destinazione, la tavoletta, o Titolum, veniva fissata sul vertice della croce.
Lungo la strada, la scritta veniva proclamata con un corno, o una tuba, da un legionario a cavallo, chiamato praeco o banditore, appunto perché dava il bando e annunciava per quali ragioni si era giunti a tanto.
Le tre lingue usate per il Titolo rendevano troppo manifesto lo scandalo: l’ebraico o aramaico, era per i palestinesi; il greco lo conoscevano tutti; il latino era la lingua dei dominatori. Pilato lo aveva usato per vendicarsi del sinedrio! Per questo una delegazione andò da lui e protestò: “Dovevi mettere non che è Re dei Giudei, ma solo che lo ha detto lui... ecco!”.
 
Ma Pilato ne aveva fin troppo di quelle teste surriscaldate, che proprio allora lo avevano costretto ad un atto ingiusto che gli pesava su la coscienza e urlò: “Quel che ho scritto, ho scritto”; cioè, basta con le vostre storie: comando io, comanda Roma e non voi.
Quelli se ne andarono, e il titolo reale è rimasto, non dei Giudei soltanto, ma del mondo, della storia, dell’eternità.

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