venerdì 21 febbraio 2014

Dove la fede costa di più


La persecuzione è sempre più un fatto quotidiano nella vita della Chiesa. Oggi in Europa viviamo in pace e siamo libe­ri di praticare la fede, senza dimentica­re che fino alla caduta del Muro di Berlino (solo vent’anni fa 1989) in metà Europa i cri­stiani erano perseguitati.  
Ma se allarghiamo lo sguardo ad Asia e Africa, vediamo che i cri­stiani subiscono discriminazioni gravi o an­che persecuzione in quasi tutti i paesi islamici e in tutti i paesi comunisti. Con due eccezioni, Libano e Bangladesh, paesi a maggioranza islamica più tolleranti.
La persecuzione anti-cristiana si verifica anche in altri paesi, sia pure in modo sal­tuario come India, Nepal, Sri Lanka, paesi dell’Asia russa, persino nelle regioni meri­dionali delle Filippine, si attaccano i villag­gi, le chiese e le istituzioni cristiane. Siamo informati sulla persecuzione in Cina, in al­cuni stati dell’India e paesi islamici, ma al­tre situazioni non le conosciamo nemmeno. Nell’Africa i cristiani sono perseguitati in Ni­geria, Zimbabwe, Eritrea e per conflitti inter-tribali i credenti in Cristo sono perseguitati perché si impegnano a cercare la pace e per­tanto sono visti come nemici.
Padre Armand Gagné Ost, primo diret­tore del Sit, che ha lavorato durante tutta la sua vita per i cristiani perseguitati, raccon­tava un fatto: aveva incontrato alcuni pre­ti vietnamiti, e uno di loro diceva che fra i “montagnards” del Vietnam, i martiri della fede si contano a centinaia durante la cam­pagna lanciata dal governo per “convertire” questi “orgogliosi tribali cristiani” all’ide­ologia del partito comunista, rinunziando alla propria fede religiosa. E raccontava di sacerdoti e catechisti arrestati e mandati in “campi di rieducazione”, di chiese chiuse o trasformate in sale di riunione del partito, di insegnamento dell’ateismo nelle scuole pub­bliche in cui la Chiesa cattolica veniva sem­pre presentata come serva dell’imperialismo e del colonialismo e quindi come un nemico da combattere.
Storicamente, dal 1946, dopo la seconda guerra mondiale, fino al 1989, la radice prin­cipale della persecuzione anti-cristiana è stata l’ideologia marxista-leninista-maoista. In tutti i Paesi ove il partito si era impadroni­to delle istituzioni e anche in quelli con forte tradizione cattolica come la Polonia, la Let­tonia, Cuba e alcune province dell’ex-Jugo­slavia, non era riconosciuta la piena libertà religiosa. Nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino, l’ideologia e i regimi comunisti si sono afflosciati e sono crollati per debolezza e inconsistenza ideale propria. Oggi non si è ancora estinta l’eredità di quella ideologia e dopo il 1990, a causa della prima “Guerra del Golfo” nel 1991, i protagonisti delle perse­cuzioni sono diventati i paesi a  maggioranza islamica; e tale situazione è ancora peggio­rata dopo il 2002 con l’inizio della seconda “Guerra del Golfo” che ha spodestato Sad­dam Hussein in Iraq e il regime dei “talebani” in Afghanistan.
Possiamo dire che nei circa trenta paesi a maggioranza islamica in Asia e Africa i cristiani soffrono quasi ovunque di pesanti discriminazioni e di pressioni per conver­tirsi all’islam con metodi coercitivi e perse­cutori. Persino i governi che si dichiarano democratici e filo-occidentali, come Turchia, Malesia, Indonesia, non riescono infatti a far rispettare la libertà religiosa delle minoran­ze. Ad esempio, la Malesia, molto ricca grazie al petrolio e alle altre ricchezze naturali, ove i musulmani sono solo il 65% della popola­zione, ma discriminano gli appartenenti ad altre religioni, costringendoli a fuggire all’e­stero o a sopportare vere e proprie angherie che rendono la vita quasi impossibile in loco. Per dare un’idea eccone alcune: un cattoli­co per sposare una musulmana, deve prima convertirsi all’islam; i cristiani non posso­no pronunziare o scrivere il nome di Allah; scuole e università, esercito e burocrazia sta­tale, discriminano i cristiani che, considerati cittadini di seconda categoria, non possono fare carriera né occupare posti di rilievo o di responsabilità; il governo favorisce in ogni modo i villaggi islamici e penalizza gli altri; a Kuala Lumpur è quasi impossibile costru­ire chiese anche se i cristiani aumentano di numero le chiese restano sempre le stesse; le librerie cattoliche non possono esporre in vetrina i libri cristiani, hanno una salet­ta all’interno e espongono questi libri, dove pero è proibita l’entrata ai musulmani; è proibito esporre all’esterno statue o immagi­ni di santi o della Madonna.
In Iraq la fuga continua dei cristiani ri­schia di sancire la scomparsa definitiva dei cristiani che vent’anni fa erano un milione. Tanto che i politici iracheni e i diplomatici arrivano a concepire un piano che creereb­be una sorta di “riserva indiana” nel Nord dell’Iraq, dove raccogliere i cristiani in pe­ricolo di vita. Anche in Tunisia, paese che si proclama democratico e liberale, la libertà religiosa non è rispettata.
In Arabia Saudita opera una polizia religio­sa, la Muttawa, che vigila sul comportamen­to islamicamente corretto della popolazione, compiendo raid nelle case degli immigrati fi­lippini o indiani che si riuniscono per recitare il rosario o leggere la Bibbia, reati considerati gravissimi nel territorio “santo” dell’islam e per i quali sono previsti il carcere, il seque­stro di ogni bene e il rimpatrio immediato. Altrove, la pressione si esercita in modo di­verso, impedendo per legge la conversione ad altre religioni e limitando amministrati­vamente la diffusione pubblica e privata del messaggio evangelico.
Se si abbandona l’islam si può essere messi a morte in Iran, in Sudan, in Maurita­nia, mentre in Pakistan si perde la tutela dei propri figli e il diritto di ereditare patrimoni dai propri parenti musulmani. Bisogna dire che la grande maggioranza della popolazio­ne di questi paesi non è affatto fondamen­talista, anzi, a sentire le suore e i sacerdoti che vivono in questi paesi dicono di sentirsi amati e anche protetti dalla gente comune. Eppure l’intolleranza violenta per chi non crede nel Corano è in crescita ovunque. Questo è dovuto ad una strumentalizzazio­ne della religione islamica, da parte dei par­titi politici e delle autorità  religiose.
La profonda religiosità del popolo viene sfruttata dalle caste politiche e religiose per l’affermazione del proprio potere. Quanto detto dei cristiani perseguitati e discrimi­nati nei paesi dell’islam, in parte si verifica anche in India, dove a livello popolare si manifesta sempre più violento l’estremi­smo indù con assalti a villaggi cristiani, con uccisioni di sacerdoti e di fedeli, incendi di chiese e distruzione di istituzioni cristiane; e ancora la minaccia giuridica delle leggi anti-conversione, adottate da dieci dei 28 stati dell’Unione Indiana. Anche nello Sri Lanka e in Birmania, il nazionalismo politico stru­mentalizza la religione di maggioranza, cioè il buddhismo, per promuovere azioni e di­scriminazioni contro le minoranza cristiana.

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