venerdì 10 gennaio 2014

Beati i poveri di spirito...




Gesù Cristo, vedendo la moltitudine che lo seguiva, e scrutando da Dio tutti quei cuori più o meno colmi di amarezze, salì su di un monte per cominciare a portarli in un’atmosfera di maggiore pace e dare loro un primo saggio di quella beatitudine che voleva proclamare. Là regnava la solitudine ed, essendo il luogo molto fertile, vi spirava quell’aura di pace, che, propria delle campagne, opera di Dio, non dovrebbe essere deformata dalla mano dell’uomo.
Si fermò e si pose a sedere, sia per stare più paternamente in mezzo ai suoi figli, sia per invitarli a sedere anch’essi sull’erba.
Volse lo sguardo su quella moltitudine di anime semplici, la paragonò alle folle orgogliose del mondo, vide l’enorme differenza che v’era fra la vita semplice e quella artefatta, vide la bellezza di una vita ancora più semplice, libera da impacci superflui e tesa tutta verso le grandezze della vera vita, ed esclamò: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Egli voleva dire prima di tutto a quei poveri che l’avevano seguito, abbandonando ogni interesse materiale, per ascoltare la parola del regno dei Cieli, che erano beati, e voleva cosi promulgare solennemente la beatitudine che Egli era venuto a portare sulla terra come Redentore.
Il suo regno non doveva essere formato da grandezze politiche, come si aspettavano gli Ebrei, contorcendo il senso delle scritture, non si fondava sulle ricchezze o sulla gloria terrena, ma sulla rinun¬zia ai desideri fugaci della vita e sull’aspirazione dei beni eterni.
I desideri terreni, infatti, sono come bevande gassose: dilatano lo stomaco ma non lo saziano; i desideri celesti invece sono come linfa benefica che si diffonde in tutte le fibre della vita e la fa fiorire.
Povero di spirito è chi è distaccato da tutto, pur possedendo, o chi, non avendo nulla, non desidera altro, e si acquieta nella vita, confidando in Dio solo.
Povero di spirito o nello spirito è chi non ha l’anima infarcita di sapienza umana, ma si apre con semplicità alla luce di Dio.

Povero di spirito è chi volontariamente abbandona ogni suo avere per abbracciarsi, senza ostacoli, al Sommo Bene,
chi sopporta con sapienza la perdita dei beni,
chi tollera in pace la sopraffazione ingiusta, e spregia i beni che gli vengono rapiti,
chi rinunzia alle sue agiatezze per consolare i poveri, e diventa come acquedotto della carità, sempre pieno e sempre vuoto di acque.
Povero di spirito è soprattutto chi confida in Dio solo, e riguarda come nullità le cose presenti, fissando gli occhi sempre alla dolce paternità del Signore,
chi si crede nullità e non confida nelle proprie forze, ma fa appello alla bontà ed alla misericordia di Dio.
Beati sono ancora i poveri di beni materiali, che mutano la loro povertà in ricchezze spirituali, uniformandosi alla divina Volontà e confidando nel Signore. La fiducia toglie l’angustia che cagiona la po¬vertà materiale, poiché Dio interviene sempre per soccorrere chi gli si abbandona, e rende non solo sopportabile ma beata la condizione di chi non ha niente. Questi, infatti, non è angariato dalle tasse, non teme i ladri, non ha preoccupazioni amministrative, non è circuito da quei troppo facili ammiratori che sperano carpirgli le ricchezze, è povero di affetti terreni e ricco di amore celeste, è operaio della vigna del Signore che vive alla giornata, ed è anche capace in certi momenti di godere più che i medesimi ricchi dei piccoli beni della vita. Il mettersi un indumento nuovo, il mettere un paio di scarpe che calzano meglio, il fare un pranzetto in una festa, sono piccole ma sincere gioie della vita pellegrina, ignote ai ricchi, soffocati e annoiati dalla loro stessa abbondanza, purché siano condite con lo spirito, col ringraziamento e la gratitudine al Signore.
Possiamo affermare con sicurezza che nessuno, per quanto istrui¬to, onorato e ricco, può godere un’ora sola della gioia di S. Francesco d’Assisi, quando, egli deposti i suoi abiti, si vesti di sacco, espo¬nendosi allo scherno dei suoi contemporanei. Francesco allora posse¬dette il regno dei Cieli, perché possedette l’intima amicizia di Dio, la ricchezza spirituale della grazia, e la sovrabbondante gioia della pace dell’anima.
Chi si distacca da tutto, e molto più chi abbraccia la povertà volontaria, entra nel vestibolo dell’eterna vita, poiché non tende che ai beni eterni, anticipa il distacco da tutto prima che la morte ve lo costringa, si trova libero e leggero nelle mani di Dio, per essere tutto ricolmato di grazie e benedizioni. Forse chi viaggia non stima una grande ventura portare solo un piccolo bagaglio o non portarne addirittura? La povertà volontaria o di spirito è precisamente l’alleggerimento del bagaglio della vita, è la libertà del volo dato allo spirito, è il possesso del regno dei Cieli promesso a chi abbandona tutto per amore di Dio. Il mondo appesantisce terribilmente la vita, e rende la morte un tormento spaventoso. È penosissimo dover guar¬dare la fossa angusta quando sembrarono angusti i castelli, doversi spogliare di tutto senza portare con sé neppure uno spicciolo!
Beati i poveri di spirito anche per questo: essi guardano sere¬namente al passo supremo, non debbono distaccarsi da nulla, sono già spogli ed aspirano al volo supremo nelle braccia di Dio.
 

Sac. Dolindo Ruotolo, La Sacra Scrittura, Vangelo secondo Matteo
 

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