E' la prova dell'esistenza
del governatore che condannò Gesù. Un altro tassello a favore
della veridicità dei Vangeli.
Pilato
nel film "Gesù di Nazareth" di Franco Zeffirelli.
Sembra
esagerato, ma la critica degli ultimi secoli non ha risparmiato
neppure il governatore della Giudea ai tempi di Gesù, e molti
sedicenti “storici” hanno concluso che Ponzio Pilato non è mai
esistito ma è stato solo un’invenzione, tra le tante, degli
evangelisti. Vedremo, nel corso di questo articolo, come il
veritiero piccone dell’archeologia abbia smantellato queste
ennesime incredulità sulla storicità dei vangeli.
Eppure, al di là
di eventuali scoperte archeologiche, questi illustri “studiosi”
non sapevano che esistono anche scrittori non cristiani che
parlano di Ponzio Pilato? Certamente che ne erano al corrente,
ma liquidavano il tutto con la solita battuta risolutiva: “si
tratta di aggiunte e interpolazioni di autori cristiani al fine
di ottenere dei falsi e dare delle basi storiche alla figura di
Ponzio Pilato”.
In effetti, del governatore Ponzio Pilato
che avrebbe governato la Giudea dal 26 al 36 d.C., fino a
qualche anno fa non esisteva traccia archeologica. Gli unici
documenti storici che ne parlavano erano Tacito, Filone
Alessandrino, Giuseppe Flavio, che però da alcuni erano tenuti
in poca considerazione perché la critica moderna li tacciava di
interpolazione circa quello che riguardava la vicenda di Gesù di
Nazaret e qualsiasi elemento ad esso collegato, compreso,
quindi, l’oscuro Pilato.
A dir la verità, la maggior parte degli
storici seri dava invece credibilità a ciò che queste fonti
extra-evangeliche riferivano circa Ponzio Pilato e se non era
saltata fuori qualche antica lapide con un’iscrizione che si
riferiva a lui era perché di certo non era stato un buon
governatore da ricordare… o magari non si era ancora “scavato”
bene!
Filone Alessandrino (+42/50 d.C)
scrive fra l’altro, riferendosi alle efferatezze di Pilato: «A
questo riguardo si potrebbe parlare della sua corruttibiità,
della sua violenza, dei suoi furti, maltrattamenti, offese,
delle esecuzioni capitali da lui decise senza processo, nonché
della sua ferocia incessante e insopportabile» (LegGai 302).
Tacito, negli Annales, riferendosi
ai cristiani accusati da Nerone di aver incendiato Roma,
scrive «Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto
l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal
procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita,
questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo
per la Giudea, focolare di quel morbo… »
Giuseppe Flavio: A quel tempo
apparve Gesù, un uomo saggio. Fu autore di molti fatti
sorprendenti, maestro che insegnava alla persone che amano la
verità, molti tanto giudei come greci lo seguirono. Alcuni dei
nostri uomini più importanti lo accusarono davanti a Pilato,
e lui lo condannò alla crocifissione. Molti di quelli che lo
avevano amato, continuarono a farlo, fino ad oggi il gruppo dei
cristiani, che a lui devono il loro nome, non è scomparso.
Bene… ma se gli storici antichi potevano
essere sospettati (a torto, come vedremo) dagli scettici di
interpolazione ad opera di qualche falsario cristiano, ci pensò
una scoperta archeologica a mettere a tacere ogni dubbio
sull’esistenza storica di Ponzio Pilato.
Parliamo
del ritrovamento nel 1961 di una lapide ad opera dell’équipe
italiana dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano
guidata da Antonio Frova, nel teatro da Cesarea Marittima. Tale
lapide, riporta l’unica iscrizione ritrovata che nomina Ponzio
Pilato.
Questa lastra Pilato l’aveva posta in un
tempio o in monumento che egli aveva eretto in onore di Tiberio.
Come mai fu ritrovata nel teatro di Cesarea? Evidentemente, in
dei lavori successivi di ricostruzione e ampliamento del teatro
ideato da Erode il Grande, alcuni operai presero questa bella
lastra che si trovava in qualche luogo di Cesarea e la posero in
cima ad una rampa di scalini. Per incastonarla con le altre
pietre della scalinata le diedero qualche martellata per
diminuire il suo spessore. Così facendo, però, ne asportarono
una parte e distrussero qualche lettera incisa sulla pietra di
quella vecchia lapide.
Si tratta di un blocco di calcare di 82
cm, largo 68 e spesso 20 cm. Su metà del lato destro si vedono
incise quattro righe di scrittura in latino, e che rimangono ben
leggibili tutt’oggi, nonostante sono state calpestate dagli
antichi spettatori dell’anfiteatro.
Ecco cosa riportano le scritte:
Prima riga:
S TIBERIÉUM
Seconda riga:
TIUS PILATUS
Terza riga:
ECTUS IUDA E
Non era difficile completare la seconda e
la terza riga, che erano certamente:
Seconda riga:
[PON]TIUS PILATUS
Terza riga:
[PRAEF]ECTUS IUDA[EA]E
Scrive Vittorio Messori, commentando questo
ritrovamento:
« “Le incertezze su alcuni particolari
dell’interpretazione – ricorda Jean-Pierre Lemonon – non
devono farci dimenticare il triplo interesse di questa
iscrizione per la conoscenza di Pilato: essa, infatti, attesta
il suo governo, il suo titolo ufficiale nell’amministrazione
dell’impero e la sua devozione all’imperatore, almeno
nell’aspetto ufficiale”. Lo straordinario reperto è
conservato ora nel Museo d’Israele, a Gerusalemme, ma le
autorità ebraiche, in segno di riconoscenza agli archeologi
italiani, consegnarono loro una copia perfetta e in grandezza
naturale che è possibile ammirare (magari meditandoci sopra:
cosa che, per quanto importa, chi scrive qui non manca di tanto
in tanto di compiere, passando da quelle parti) al Museo
archeologico del Comune di Milano, nel centralissimo corso
Magenta» (V. Messori, Patì sotto Ponzio Pilato, SEI,
Torino 1992, pag. 94).
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