giovedì 27 marzo 2014

Cristiani, non temete!


l.  La paura dei cristianiLa paura, di cui si parla in Mt 10,26-33 non è la paura naturale che ogni uomo avverte di fronte agli avvenimenti imprevisti della sua vita, che sono tanti e diversi, e su cui prevalgono il timore per la propria sicurezza e dei propri cari, quello di non farcela nella sofferenza, e soprattutto quello della morte.
La paura, di cui qui si parla, è quella che accompagna i cristiani nel corso della loro missione evangelizzatrice. Ha dei tratti in comune con le altre paure, ma ha in più la convinzione che, trattandosi di un invito rivolto agli uomini per un radicale cambiamento della loro vita, la missione del Vangelo non potrà essere accolta tranquillamente da chiunque.
Non è una paura irragionevole. È fondata su un’esperienza storica, che parte dalla pessima accoglienza che gli uomini riservarono a Gesù e agli apostoli, e che è continuata attraverso i secoli fino ad oggi. In termini contabili, si tratta di un’esperienza calcolata in oltre cinquanta milioni di morti.[2] E il calcolo dei morti non è tutto.

2.  Paura per la vitaPer entrare nello spirito delle ammonizioni di Gesù a non aver paura, bisogna tener presente che nel tempo in cui furono scritte le versioni evangeliche, era iniziata la lenta espansione cristiana nell’impero romano, a cui corrispondeva, con fiammate improvvise e non sempre brevi, la persecuzione di chi cercava di ostacolarla con metodi sbrigativi.
In questo contesto sono comprensibili l’ammonizione di Gesù (probabilmente figlia dell’intervento dei redattori evangelici della seconda metà del I secolo d.C.), rivolta ai suoi discepoli: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima" (v. 28) e l’assicurazione che quel Dio, che s’interessa anche delle creature più piccole dell’universo, non può abbandonare i discepoli di Gesù nel momento in cui devono testimoniare la loro fede di fronte al mondo (vv. 29-31).
Chi, nel leggere o nell’ascoltare queste parole di Gesù, pensa che oggi i tempi sono cambiati, e che i cristiani non hanno più da temere per la loro vita, s’inganna. Crede che tutto il mondo sia fatto ad immagine e somiglianza del suo Paese, dove vigono per legge il rispetto di ogni persona e la libera professione di ogni fede religiosa. Ma non è così. Un solo esempio: tra il 1990 e il 2002 un terzo degli abitanti dell'isola di Timor Est, in Asia, ha perduto la vita, nel tentativo di separarsi dall’Indonesia, governata secondo la sharìa islamica.

3.  Paure spiritualiAnche i cristiani che vivono in Paesi dove l’ordine è assicurato per legge, non sono esenti da paure, sebbene di ordine essenzialmente spirituali. Si tratta di sentimenti di inquietudine di fronte a varie manifestazioni, in cui esplode un livore anticristiano che normalmente è mascherato da relazioni rispettose verso i cristiani e le loro istituzioni religiose.
In una situazione di questo genere, i cristiani sono tentati di chiudersi in se stessi, di accettare passivamente l’emarginazione culturale e sociale in cui vengono progressivamente ridotti, e di non annunciare più il Vangelo «sulle terrazze», cioè in campo aperto, come insegnava Gesù (v. 27), ma solo nel chiuso delle loro chiese e nell’ambito di piccoli gruppi, per non dare fastidio a qualcuno.
No! Se di fastidio si deve parlare, è quello che prova ogni persona sensata, che vive in un sistema politico liberale, in cui c’è chi scrive con serietà o racconta con allegria che sta lavorando per una società nuova, che sia liberata dai tabù morali e religiosi. Questo oggi fa paura ai cristiani. Non per sé (la Chiesa ha attraversato tempi più bui), ma per il futuro del mondo.

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