Un po’ di tempo
fa, qualcuno mi regalò un’azalea. E fin qui nulla
di speciale, ma mettendola sotto il lucernario della soffitta,
accadde che, poco dopo, vidi uscire della terra uno stelo, piccolo,
rigido e tosto che sembrava così risoluto a vivere che
non l’estrassi dal terriccio.
Questo intruso crebbe e mi ritrovai qualche settimana dopo davanti
ad una pianticella dritta come un palo, senza foglie né
rami che alzava la sua sommità con testardaggine, mentre
la mia azalea sembrava già agonizzante.
M’incuriosì, ma non volli mai scoprirne la radice.
Ogni giorno mi sembrava di ricevere da lui una lezione di vita.
In un certo qual modo mi misi ad ascoltarlo. E un giorno mi parlò.
Capii vedendolo che lui era già qualcuno di preciso, aveva
un nome ed era programmato per un destino tutto suo, che si precisò
solo più tardi, quando con mille cure lo trasportai nell’orto.
E lo vidi diventare grande e mettere infine la prima foglia...
Era una quercia!
Lui mi insegnò, in questo
modo così indelebile, che il soffio della vita è
già presente in ognuno nel momento stesso della fecondazione.
Portava in sé il suo nome e il suo destino. Come l’ovulo
nel grembo della madre è già qualcuno non appena
viene fecondato. È già un essere umano e non potrà
dare niente altro, se non che un essere umano, con la sua vita,
la sua storia e la sua morte.
Così, ascoltando questo stelo minuto ma robusto, capii
molte cose importanti in un mondo in cui si discute se l’embrione
è già una persona o se è solo un grumo di
cellule.
Non si vuole ascoltare nulla della realtà della natura,
ma solo si vuole proiettare il nostro interesse sulle cose che
sono esterne a noi. Per ascoltare, l’uomo deve imparare
a tacere e ad entrare in compagnia di se stesso, dove trova il
“soffio di vita”, la sua coscienza...
In viaggio
verso l’ascolto
Questo mistero è il
regalo più bello che ci ha fatto Dio. In modo mirabile
la Genesi (2,6) narra: “Allora il Signore Dio plasmò
l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue
narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.
Il libro del Qoelet, nel suo pessimismo, nobilita la creazione
ponendola allo stesso livello dell’uomo, anche se non intravede
ancora una possibilità di vita oltre la morte: “Tutto
è vanità, infatti la sorte degli uomini e quella
delle bestie è la stessa; come muoiono queste, muoiono
quelli; c’è un solo soffio vitale per tutti. Tutti
sono diretti verso la stessa dimora: tutto è venuto dalla
polvere e tutto ritorna alla polvere. Chi sa se il soffio vitale
dell’uomo salga in alto e se quello delle bestie scenda
in basso nella terra?”.
Bisognerà attendere il libro di Giobbe per leggere: “Lo
spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell’Onnipotente
mi dà vita!” (33,4).
E San Paolo, pieno della rivelazione di Cristo figlio di Dio,
dichiara: “Se
c’è un corpo animale vi è anche un corpo spirituale,
poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo, divenne un
essere vivente ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore
di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale ma quello animale
e poi lo spirituale” (1 Cor 15,44-46).
Noi che siamo di Cristo abbiamo in noi lo Spirito di Dio, non
soltanto un soffio di vita ma come ha rivelato Gesù, lo
Spirito stesso, il datore della vita.
La sapienza
arriva quando ci fermiamo e decidiamo nel nostro cuore il santo
viaggio.
Il viaggio verso l’ascolto di questo Spirito di vita che
è la presenza di Dio in noi.
Pregare è entrare in rapporto con questo Spirito di vita,
tutti i grandi della vita spirituale lo confermano.
Madre Teresa mi ha sedotta da quando ho saputo della sua vita
interiore certe cose tenute nascoste. Certo, la sua vita è
tutta piena di gesti eroici per il servizio dei fratelli ma ciò
che mi colpisce di più e che obbediva a Gesù sempre,
e che pregava in continuazione. Che tutto ciò che ha fatto
lo ha fatto perché Gesù le ha chiesto di farlo
e che così obbediva a Lui e al suo confessore.
Molti sono capaci di fare grandi
cose per gli altri, anche senza essere battezzati! Ma uscire
dal convento per obbedienza e ritrovarsi sulla strada con la
paura nelle viscere per obbedienza, servire i più piccoli
fino alla fine e rispondere con tenerezza ad un Cardinale che
le chiedeva un consiglio sul vivere da cristiano a cui rispondeva:
«Quante ore al giorno prega?», beh, questa è
santità, cioè presenza di Gesù in una persona.
Non si può ascoltare se non si sa ascoltare, meglio ancora,
non si può ascoltare se non si è mai saputo che
c’è qualcosa da
ascoltare.
Oggi, ma probabilmente da sempre, sono rare le persone che accettano
di frequentare il silenzio, non soltanto il silenzio esteriore
che nella nostra civiltà del rumore già sembra
un orrore, ma il silenzio interiore in cui possono germinare
angoscia, domande sulla vita e sulla morte, paure e noie.
La via che
porta all’ascolto nasce da un granellino non più
grande di quello di senapa. Ma questo granellino è indispensabile.
Sarà stato gettato là da un divino seminatore?
Farà parte del destino dell’uomo? L’amico che
ha scritto il libro del Qoelet dice: “Hai messo nell’uomo
il senso dell’eternità che non gli dà pace...”.
Questo senso dell’eternità
sarà la traccia ineffabile del soffio vitale che Dio insuffla
in noi nel momento della creazione?
Beato l’uomo
che sa ascoltare tutto ciò che “non gli dà
pace!”.
Beato chi non si accontenta di sopravvivere, mangiare, bere,
dormire, come fa con innocenza una bestia.
Beato l’uomo che ha capito un giorno che è un uomo,
cioè
un figlio di Dio!
Istruirsi nelle vie divine
che sono alla sua portata seguendo le orme del Salvatore!
Beato chi decide di ascoltare.
Maddalena di
Spello
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