La Prima Lettura del giorno (1 Re 21,
1-16) narra la vicenda di re Acab che, per mezzo della corruzione e
dell’assassinio di un uomo, riesce a diventare proprietario di un
terreno. Così, facendo un parallelo coi giorni nostri, il Pontefice che
detto che “sui giornali noi leggiamo tante volte: ah, è stato portato in tribunale quel politico che si è arricchito magicamente” oppure “è stato portato in tribunale quel capo di azienda che magicamente si è arricchito, cioè sfruttando i suoi operai” così come purtroppo leggiamo “un prelato che ha lasciato il suo dovere pastorale per curare il suo potere e si è arricchito troppo“.
Di questi “corrotti“, come li ha definiti il Santo Padre, “dappertutto ce ne sono… e dobbiamo dire la verità: la corruzione è proprio il peccato a portata di mano – ha detto – che ha quella persona che ha autorità sugli altri, sia economica, sia politica, sia ecclesiastica“.
È la vecchia tentazione dell’uomo che “si sente quasi Dio” e “quando uno ha autorità” è facile sentirsi così. Proprio per questo si tratta di una peccato “a portata di mano”
che all’apparenza, molte volte, non crea alcun danno. Ma invece
qualcuno paga i danni di tutto questo: nella Prima Lettura sono Nabot e
Stefano a pagarne il prezzo, mentre al giorno d’oggi sono “tanti, tanti… – che pagano la corruzione, che pagano la vita dei corrotti“.
“Questi martiri della corruzione economica, della corruzione politica e della corruzione ecclesiastica“, come li ha definiti Papa Francesco, sono le persone ricoverate negli “ospedali senza medicine, i bambini senza educazione, gli ammalati che non hanno cura” così come la corruzione dei sacerdoti “la
pagano i bambini, che non sanno farsi il segno della croce, che non
sanno la catechesi, che non sono curati. La pagano i carcerati privi di
attenzioni spirituali e la pagano gli ammalati che non sono visitati“.
In conclusione, “la corruzione viene pagata dai poveri” ha quindi detto il Vescovo di Roma, “poveri materiali, poveri spirituali“:
l’unica strada per uscire da questa corruzione è il servizio,
esercitare la propria autorità come servizio verso gli altri, come Gesù
ci ha insegnato.
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