Nella Parola di Dio troviamo spesso delle domande significative che ci fanno riflettere, in quanto vanno al di là del loro significato più immediato. Dio interpella continuamente l’uomo, lo interrogia e lo mette di fronte alle proprie responsabilità.
Una di queste domande la troviamo in Ge 4, 9: «Allora l’Eterno disse a Caino: "Dov’è tuo fratello Abele?" Egli rispose: "Non lo so; sono io forse il custode di mio fratello?" ».
La vicenda di Caino e Abele è ben nota e non sarà certamente l’oggetto di questa riflessione. Quello su cui vogliamo riflettere qui è il significato profondo che si nasconde tra le righe della domanda di Dio a Caino: « Caino, dov’è tuo fratello?». Una domanda simile, sulla quale abbiamo già avuto occasione di riflettere, Dio l’aveva rivolta anche ad Adamo dopo il peccato: « Adamo dove sei?». In quell’occasione era in gioco la relazione dell’uomo con se stesso, in quanto il peccato gli aveva fatto smarrire la sua dimensione interiore.
Nel caso di Caino invece entra in gioco la dimensione altruistica della relazione dell’uomo con il suo simile: «Caino, dov’è tuo fratello? ». La domanda è troppo impegnativa. Con il peccato l’uomo aveva perso la sua relazione con Dio e la rottura di questa relazione con Dio aveva inevitabilmente comportato anche la rottura di ogni altra relazione: anzitutto quella con sé stesso, ma anche e soprattutto quella con il proprio simile. Caino non sa cosa rispondere e la sua risposta è pertanto evasiva: Non lo so, sono forse io il custode di mio fratello? Come dire: Che m’importa di mio fratello? Che relazione vi è fra me e lui?
Con questa domanda fondamentale, Dio pone l’uomo di fronte alla grande questione della sua religiosità. Caino era un uomo religioso in quanto ci viene detto al versetto 3 che aveva fatto a Dio un’offerta dei frutti della terra, ma ci si deve chiedere se con tale offerta Caino avesse adempiuto veramente ad ogni suo obbligo nei confronti di Dio e se tale offerta fosse sufficiente a dar gloria a Dio.
Evidentemente no! Il comportamento di Caino nei confronti di Abele e la sua indifferenza alla domanda di Dio, ci dimostrano chiaramente che la religiosità di Caino era una religiosità superficiale, esteriore, formale, si potrebbe quasi dire interessata, perché preoccupata soltanto di assicurarsi il favore della divinità e non veramente di onorare Dio in tutte le sfere della sua esistenza. Pertanto un servizio reso a Dio che non sia anche un servizio reso al prossimo è un servizio del tutto inutile, privo di qualsiasi fondamento.
Il caso di Caino e di Abele è un caso paradigmatico, esemplare in quanto precorre nel tempo quella che sarà poi nel corso della storia la comprensione da parte dell’uomo del vero ed autentico rapporto con Dio. L’uomo ha sempre pensato di poter ridurre ogni suo rapporto con Dio ad un semplice atto di culto e all’osservanza di alcuni precetti religiosi, senza tener conto che il vero ed autentico rapporto con Dio tocca l’uomo in ogni ambito della sua esistenza, nessuno escluso. Un vero ed autentico rapporto con Dio non può quindi lasciare fuori dalla porta una nostra attenzione particolare verso il nostro fratello, verso il nostro prossimo, chiunque esso sia.
Il profeta Isaia stigmatizza questo tipo di religiosità che si rivolge a Dio ed ignora il prossimo con queste parole che troviamo nel cap. 1 dal v. 11 al v. 17: « Che m’importa la moltitudine dei vostri sacrifici, dice l’Eterno, sono stanco degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate, il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri non lo gradisco. Quando venite a presentarvi davanti a me, chi ha richiesto questo da voi, che calpestate i miei cortili? Smettete di portare oblazioni inutili; l’incenso è per me un abominio; non posso sopportare i noviluni e i sabati, il convocare assemblee e l’iniquità assieme alle riunioni sacre. Io odio i vostri noviluni e le vostre feste solenni; sono un peso per me, sono stanco di sopportarle.
Quando stendete le vostre mani, io nascondo i miei occhi; anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani sono piene di sangue.
Lavatevi purificatevi, togliete dalla mia presenza la malvagità delle vostre azioni, cessate di fare il male.
Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».
A queste parole di Isaia fa eco Giacomo il quale afferma: « Se qualcuno fra voi pensa di essere religioso, ma non tiene a freno la sua lingua, certamente egli inganna il suo cuore, la religione di quel tale è vana. La religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri dal mondo » (Gc 1, 26-27).
Il rapporto dell’uomo con Dio è essenzialmente un rapporto verticale verso l’alto, ma tale rapporto verticale presuppone anche un rapporto orizzontale che non può essere ignorato o sottovalutato senza rendere vana ogni nostra manifestazione di religiosità. Tale fatto viene messo in evidenza da 1 Gv 4, 20-21: «Se uno dice: "Io amo Dio" e odia il proprio fratello è bugiardo; chi non ama infatti il proprio fratello che vede, come può amare Dio che non vede? E questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: chi ama Dio, ami anche il proprio fratello »
Se il cristianesimo oggi ha perso la sua forza di messaggio liberatorio, ciò è dovuto in gran parte al comportamento della cristianità che nel corso del tempo ha dato la precedenza ad un rapporto con Dio di tipo intimistico e personalistico ignorando completamente la dimensione sociale del messaggio cristiano. In nome di questo tipo di religiosità sono state commesse e si commettono ancora le azioni più atroci, perché si dimentica che possiamo essere riconciliati con Dio solo se siamo riconciliati con il nostro prossimo.
Il nostro comportamento verso il prossimo si riflette inevitabilmente nel nostro rapporto con Dio. Ciò che noi facciamo o non facciamo al nostro prossimo è come se venisse fatto o non fatto a Dio stesso, per il semplice motivo che ogni essere umano riflette l’immagine di Dio.
La Parola di Dio ha una grande quantità di riferimenti che non possiamo ignorare, i quali ci riconducono tutti ad una verità molto semplice che non possiamo in alcun modo eludere: la nostra religiosità è veramente tale solo se si manifesta in un comportamento coerente verso il prossimo. Dal libro del Levitico fino ai Vangeli siamo inviati ad amare il prossimo come noi stessi. In questo comandamento ed in quello di amare Dio è racchiuso tutta il messaggio cristiano. Paolo stesso dice in Rm 13, 9 che tutti i comandamenti verso il prossimo si riassumono in uno solo: « Ama il tuo prossomo come te stesso ». Pertanto chi ama il suo simile ha adempiuto la legge.
Giovanni va anche oltre e ad un amore soltanto a parole contrappone un amore che si manifesta con atti concreti: 1 Gv 3, 11-18.
Infine per concludere non possiamo dimenticare che il giudizio finale sarà condizionato da ciò che noi avremo fatto o non fatto a colui che si trova nel bisogno e nel quale dobbiamo riconoscere la persona di Gesù stesso: Mt 25, 31-46.
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