dal Catechismo della Chiesa Cattolica, numeri 1846-1857
I. LA MISERICORDIA E IL PECCATO
Il
Vangelo è la rivelazione, in Gesù Cristo, della misericordia di Dio
verso i peccatori [Cf Lc 15 ]. L’angelo lo annunzia a Giuseppe: “Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). La stessa cosa si può dire dell’Eucaristia, Sacramento della Redenzione: “Questo è il mio sangue dell’Alleanza, versato per molti in remissione dei peccati” ( Mt 26,28 ).
“Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi” [Sant’Agostino, Sermones, 169, 11, 13: PL 38, 923].
L’accoglienza della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe. “Se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è
in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci
perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa” ( 1Gv 1,8-9).
Come afferma san Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la Grazia”. La Grazia però, per compiere la sua opera, deve svelare il peccato per convertire il nostro cuore e accordarci “la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore”
(Rm 5,20-21). Come un medico che esamina la piaga prima di medicarla,
Dio, con la sua Parola e il suo Spirito, getta una viva luce sul
peccato.
La
conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il
giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica
dell’azione dello Spirito di verità nell’intimo dell’uomo, diventa nello
stesso tempo il nuovo inizio dell’elargizione della Grazia e
dell’amore: “Ricevete lo Spirito Santo”. Così in questo “convincere quanto al peccato”
scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza
e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il
Consolatore [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem, 31].
II. LA DEFINIZIONE DI PECCATO
Il
peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta
coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e
verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni.
Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana. È
stato definito “una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna” [Sant’Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, 71, 6].
Il peccato è un’offesa a Dio: “Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto”
(Sal 51,6 ). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e
allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, è una
disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di
diventare “come Dio” (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è “amore di sé fino al disprezzo di Dio”
[Sant’Agostino, De civitate Dei, 14, 28]. Per tale orgogliosa
esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di
Gesù, che realizza la salvezza [Cf Fil 2,6-9].
È
proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà,
che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua
molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei
capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati,
tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro,
abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del
Principe di questo mondo, [Cf Gv 14,30] il sacrificio di Cristo diventa
segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il
perdono dei nostri peccati.
III. LA DIVERSITÀ DEI PECCATI
La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La Lettera ai Galati contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito: “Le
opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,
idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa
queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non
erediterà il Regno di Dio” (Gal 5,19-21) [Cf Rm 1,28-32; 1Cor 6,9-10; Ef 5,3-5; 1852 Col 3,5-8; 1Tm 1,9-10; 2Tm 3,2-5 ].
I
peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa per
ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per
eccesso o per difetto, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono.
Si possono anche suddividere secondo che riguardano Dio, il prossimo o
se stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o
ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione. La
radice del peccato è nel cuore dell’uomo, nella sua libera volontà,
secondo quel che insegna il Signore: “Dal cuore, infatti, provengono i
propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i
furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che
rendono immondo l’uomo” (Mt 15,19-20). Il cuore è anche la sede della carità, principio delle opere buone e pure, che il peccato ferisce.
IV. LA GRAVITÀ DEL PECCATO: PECCATO MORTALE E VENIALE
È
opportuno valutare i peccati in base alla loro gravità. La distinzione
tra peccato mortale e peccato veniale, già adombrata nella Scrittura,
[Cf 1 Gv 5,16-17] si è imposta nella Tradizione della Chiesa.
L’esperienza degli uomini la convalida.
Il
peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una
violazione grave della legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il
suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene
inferiore.
Il peccato veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la ferisca.
Il
peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la
carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una
conversione del cuore, che normalmente si realizza nel Sacramento della
Riconciliazione (Confessione).
Quando
la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità,
dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso
oggetto, ha di che essere mortale... tanto se è contro l’amore di Dio,
come la bestemmia, lo spergiuro ecc., quanto se è contro l’amore del
prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc... Invece, quando la volontà
del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma
tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo, è il caso di
parole oziose, di riso inopportuno, ecc., tali peccati sono veniali [San
Tommaso d’Aquino, Summa Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, 88,
2].
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